Ci sembra profondamente ingeneroso e inconcludente il titolo con il quale il solito Corriere della Sera ha presentato un articolo di Sabino Cassese a proposito dell’annunzio del sottosegretario del Ministero delle pubblica amministrazione, Angelo Rughetti di un progetto di 450.000 assunzioni di giovani negli uffici pubblici: “la grande abbuffata degli statali” – vedi qui l’articolo.
Innanzitutto é ormai completamente sorpassata la locuzione “statali” quando si parla di pubblica amministrazione: con il poderoso decentramento di competenze e funzioni operato ormai da vent’anni dalle riforme Bassanini e con la conseguente ricomposizione degli equilibri, oggi la pubblica amministrazione é soprattutto Aziende Sanitarie locali (700.000 addetti), Scuola (1.130.000 addetti), Autonomie locali ( 620.000 addetti). Gli statali “classici”, cioè i mitici “burocrati” dei Ministeri sono ormai una netta minoranza: 275.000 addetti, la gran parte dei quali assegnati a uffici posti sul territorio nazionale. Per cui l’identificazione del dipendente pubblico con “lo statale” diventa una figura retorica – questa sì molto “attuale” – per presentare in modo volutamente derisorio una categoria di lavoratori. Ma non è solo una questione di forma.
Quando si parla di dipendenti pubblici, bisognerebbe avere ben chiaro che il lavoro che essi svolgono attiene a “pubbliche funzioni”, cioè a servizi che per la loro natura peculiare a beneficio dell’interesse generale dei cittadini e delle imprese, non possono essere assolti da soggetti privati. Potranno magari essere antipatici, non si è mai riusciti a conferire un’efficienza decorosa ai servizi che essi svolgono, ma rimane il fatto che le loro funzioni sono fondamentali e non sopprimibili. Se è vero questo, allora sarebbe opportuno comprendere subito che, se non si mette mano a un programma generale di assunzioni, l’amministrazione pubblica nel nostro Paese rischia di dissolversi nel giro di un decennio. Quelli presentati qui sotto sono i numeri che attestano l‘età media dei pubblici dipendenti:
Il sottosegretario Rughetti (vedi qui il suo intervento sul Corriere della Sera di ieri 21 settembre) – magari anche con un occhio attento ai consensi elettorali – ha espresso una semplice verità: nei prossimi 4 anni andranno in quiescenza 450.000 dipendenti pubblici, per cui, onde non aggravare ulteriormente una situazione ormai insostenibile di gestione dei servizi, é necessario procedere a un progetto di assunzione di un pari numero di addetti. Il progetto non necessita di leggi ulteriori perché è sufficiente applicare la “regola del turn-over” già prevista dalle leggi in vigore; per cui non verrebbero toccati i saldi di finanza pubblica già fissati. L’assunzione di 450.000 lavoratori darebbe risposta a due problemi gravissimi che vive il nostro Paese: la disoccupazione giovanile (intellettuale in particolar modo) e il depauperamento di risorse umane in corso nelle amministrazioni pubbliche.
Dov’è lo scandalo?
Affinché le buone intenzioni non finiscano per l’ennesima volta all’inferno, è tuttavia necessario presidiare le seguenti problematiche di contesto:
- C’è il problema della sistemazione di 150.000 precari (secondo le stime della Funzione pubblica) e di un numero significativo di personale assunto a tempo determinato, che da anni premono alle porte delle varie amministrazioni. Vanno ben distinte le situazioni: quelli fra loro che che hanno superato una o più selezioni (concorsi pubblici) per il reclutamento meritano sicuramente di coronare con il posto di lavoro l’impegno profuso in anni di studio. Vanno, invece, distinte le posizioni di chi ha trovato accesso nelle pubbliche amministrazioni (o in “società partecipate”) dalla “porta di servizio”;
- L’immissione di personale giovane nella pubblica amministrazione deve essere occasione di crescita del livello professionale medio delle pubbliche amministrazioni italiane; in altri termini va privilegiata l’immissione di alte professionalità e di nuove professionalità (informatici, statistici, ingegneri, etc) da collocare fin dal momento dell’assunzione in posizioni di responsabilità. Si vuole significare che deve terminare una prassi deteriore che ha visto negli ultimi vent’anni prevalere automatismi di massa che hanno portato alle posizioni apicali personale non provisto della professionalità necessaria per occupare quelle posizioni;
- L’assunzione di nuovo personale si deve accompagnare con investimenti molto più consistenti di quelli attuali sulla formazione del personale in servizio, in modo da coinvolgere in un piano unico e generale di crescita delle amministrazioni pubbliche , le risorse nuove e quelle già in servizio;
- La modalità di assunzione deve essere sempre e comunque rispettosa del principio costituzionale del concorso pubblico, limite invalicabile che caratterizza tutte le amministrazioni pubbliche dei paesi avanzati. Si possono introdurre innovazioni sulle modalità di concorso (quiz, test attitudinali, bagaglio accademico e professionale), ma i criteri di reclutamento devono essere oggettivi, trasparenti e affidati a commissioni di concorso per le quali sia garantita la terzietà del giudizio.
Il rispetto assoluto di principi di eguale opportunità per tutti coloro che aspirano a un posto di lavoro costituisce di per sé un elemento di fiducia che lo Stato ha l’obbligo di offrire ai molti giovani in gamba attualmente ancora in attesa di occupazione.
Giuseppe Beato