https://www.youtube.com/watch?v=cgAqTq6Clk0
Voce di Sandro Pertini: appello all’insurrezione.
A Sandro Pertini, membro del Consiglio di liberazione nazionale (CNL) e poi Presidente della Repubblica amatissimo dagli Italiani, toccò il compito nell’aprile 1945 di chiamare – attraverso la radio partigiana – le popolazioni settentrionali all’insurrezione contro le truppe nazifasciste. Nei giorni successivi ci fu la liberazione di tutto il territorio nazionale celebrata il 25 aprile di ogni anno .
Quella data poteva e potrebbe essere una ricorrenza importante per tutti gli Italiani. Ma una festa di un popolo è tale quando la nazione intera – spontaneamente e profondamente – si riconosce in essa. Così è per gli Stati Uniti alla data della loro indipendenza, il 4 luglio di ogni anno, per i Francesi la data della presa della Bastiglia il 14 luglio; gli inglesi ricordano il discorso di Winston Churchill il 18 giugno 1940 alla Camera dei Comuni in cui incitò alla resistenza al nazifascismo. Anche il popolo russo è ancora fortemente legato alle commemorazioni della “Guerra di liberazione patriottica” 1941- 1945. L’elenco potrebbe continuare a lungo.
Non così per noi Italiani.
Ci convincono le osservazioni che leggemmo su un fondo della Corriere della Sera del 24 aprile 2016 – clicca qui – nel quale il giornalista Marco Cianca, figlio di un eroe partigiano, prende atto del fatto che “abbiamo smarrito il senso di festeggiare la nostra libertà”. Da quel 1945, una parte degli Italiani ha voluto festeggiare questa festa annoverandosi fra i “vincitori”: impostazione errata, perché quel 25 aprile pose fine ad una vera e propria guerra civile, in cui Italiani combattevano contro Italiani. Difficile celebrare uniti una simile ricorrenza se non si tiene nel debito conto e rispetto i sentimenti di quella ingente parte di popolo italiano che – hanno dimostrato gli studi storici di Renzo De Felice – offrì un consenso di massa al fascismo. Difficile senza farsi carico – come suggeriva Luciano Violante – delle motivazioni dei ragazzi di Salò, di molti dei quali non si può negare fossero animati anche da ideali, ancorché totalmente sbagliati.
Una festa nazionale come quella del 25 aprile deve unire un popolo, non essere elemento divisivo. Non si è realizzato quanto sperava Alcide Cervi che, nel ricordare i 7 figli morti nella guerra partigiana, auspicò che “gli Italiani si riconoscano fratelli, che non si facciano dividere dalle bugie e dagli odi, che nasca finalmente l’unità d’Italia, l’unità degli animi” altrimenti “tanto sacrificio non è valso a niente“.
Ne esce fuori una “festa divisiva, opzionale, negletta, carsica“. Nessuna persona attenta può pensare che una festa nazionale (cioè di tutto un popolo ) possa essere vissuta come vittoria di una parte su un’altra parte. Un evento nazionale è tale se coinvolge tutto un popolo nella sua interezza.
Ci permettiamo con grande umiltà di concludere che il senso di festa che una parte degli Italiani – non importa quanto grande – vivono il 25 aprile, potrà diventare – e ce lo auguriamo – festa di tutti quando sarà vissuta con rispetto: rispetto reciproco e rispetto dei sacrifici e delle tragedie che vissero le nostre madri/padri e le nostre nonne/nonni . Il reciproco rispetto, al posto della derisione continua, dello spirito di sopraffazione, del malanimo ( c’è lo insegna Giacomo Leopardi nel suo “Discorso sullo stato degli Italiani” – clicca qui) è l’unico vero strumento in grado di unire un popolo e di renderlo nazione.
Il simbolo vivo di questo concetto è proprio la figura di Sandro Pertini, capo partigiano, che seppe tuttavia essere Presidente della Repubblica di tutti gli Italiani.
Giuseppe Beato.