Proseguiamo nella nostra carrellata sugli scritti più autorevoli intorno alla privatizzazione del pubblico impiego senza minimamente preoccuparci se tali scritti risalgano anche a molti anni fa. Il motivo è semplice: i problemi posti dalla riforma degli anni ’90 rimangono immutati nel tempo, salvo l’insorgere pericoloso d’ interventi legislativi spot sul testo del decreto legislativo n. 165/2001 (la famose “novelle“, da non confondere con quelle del Decamerone), che non risolvono mai un bel niente.
Oggi riproponiamo un vero e proprio saggio del prof. Alessandro Bellavista, Ordinario di diritto del lavoro all’Università degli studi di Palermo, comparso sul Giornale del diritto del lavoro nell’anno 2010, a ridosso quindi dell’emanazione del decreto legislativo n. 150, cosiddetto “decreto Brunetta”, che si colloca nella storia dell’Amministrazione italiana come una delle molte leggi di riforma mai attuate. Tuttavia, la tematica trattata in questo saggio è di straordinaria importanza, perché quel “datore di lavoro pubblico” altri non è nello scritto di Bellavista che il dirigente pubblico, figura fondamentale nell’economia della riforma perché – a dichiarazione unanime (anche dell’on. Bassanini che fu lo sponsor della privatizzazione dello status giuridico della dirigenza, malgrado i chiari avvertimenti contenuti negli scritti di Giannini, Rusciano e Cassese) – costituisce (“costituirebbe”, “avrebbe dovuto costituire”) il ganglio fondamentale in una logica di riproposizione nel pubblico della sana dialettica esistente nella contrattazione collettiva nel privato (imprenditore vs rappresentanti dei lavoratori). Bellavista analizza compiutamente tutti gli aspetti del rapporto di lavoro e d’ufficio dei dirigenti pubblici dal 1972 al 2009, anno in cui la politica, continuando ad annaspare penosamente, proponeva altri correttivi alla previsione legislativa di una figura centrale nella vita elle pubbliche amministrazioni attraverso la promulgazione della legge delega n. 15 (vedi) cui sarebbe seguita il sopracitato decreto legislativo 150. Di qualche interesse storico anche la contemporanea proposta di legge n. 950/2009 di Nicolais-Giovanelli (vedi) che costituì una sorta di “contro-canto” delle forze di sinistra in quel momento all’opposizione. Ci pare che l’abstract finale a pagina 150 riassuma bene il senso dello scritto: “La tesi centrale è quella che ancora oggi il datore di lavoro pubblico è sensibile a ragioni di tipo politico-elettoralee di pace sociale e trascura le esigenze dell’efficienza e dell’efficacia dell’amministrazione che governa nonché dell’effettiva soddisfazione degli utenti. La soluzione andrebbe trovata rafforzando le responsabilità dei vertici politici e le forme di controllo dei cittadini“.
Bellavista all’epoca non poteva prevedere che l’arroganza e la prepotenza della politica sarebbe arrivata in seguito al punto di sancire legislativamente la precarietà dello status del dirigente pubblico (vedi qui le tre norme capestro del 2010, 2011 e 2014 sulla-precariata-del-dirigente-pubblico, infilate di soppiatto dai Governi Berlusconi e Renzi in leggi omnibus sulla finanza pubblica) e di tentarne poi la rottamazione definitiva con l’abortito decreto legislativo che istituiva il ruolo unico della dirigenza come deposito scarti per dirigenti sollevati dall’incarico pur senza uno straccio di valutazione negativa (vedi qui). Un’unità d’intenti bipartisan che dovrebbe insospettire non poco l’opinione pubblica di questo Paese.
Di grandissimo interesse per lo studioso di pubblica amministrazione la ricchissima bibliografia a margine del saggio del prof. Bellavista.
Giuseppe Beato
Alessandro Bellavista. la figuradel datore di lavoro pubblico