Pubblichiamo la relazione introduttiva, tenuta dal Presidente di ANP (Associazione italiana presidi), prof. Giorgio REMBADO al Congresso dello scorso dicembre 2014. Ci sembra un documento utilissimo per la profondità delle analisi del profilo storico della situazione attuale della scuola italiana: esilarante, se non ci fosse da piangere, la ricostruzione puntuale che Rembado fa di tutte le iniziative di “abolizione del precariato nella scuola” del dopoguerra ad oggi (pag. 7), a dimostrazione della perenne incapacità riformatrice delle classi dirigenti succedutesi nel tempo e del loro rifugiarsi perpetuo in provvedimenti di sanatoria debole e abborracciata del disordine amministrativo prodotto in precedenza. Ricca, articolata e argomentata è anche la posizione espressa nella relazione relativamente al disegno riformatore del Governo Renzi (vedi qui “La buona scuola: facciamo crescere il Paese”del settembre 2014): il documento sviluppa alcune condivisibili proposte di riforma, tutte sostanzialmente orientate alla valutazione del merito (di professori e dirigenti scolastici) all’autonomia delle scuole e alla valorizzazione effettiva dei poteri e delle prerogative del dirigente scolastico (il buon vecchio Signor Preside della nostra giovinezza). Tutta proposte – come giustamente ricordato in relazione – che altro non fanno che ispirarsi ai modelli generalmente adottati in tutta Europa (Vedi in questo sito L’autonomia scolastica e il ruolo della dirigenza in Europa).
Condivisibile l’esigenza manifestata dall’Associazione maggiormente rappresentativa dei dirigenti scolastici di una sostanziale equiparazione dello status giuridico ed economico del dirigente scolastico a quello dei dirigenti amministrativi: le responsabilità e i poteri di carattere squisitamente gestionale e la immediatezza con quali questi poteri incidono sulla conduzione e sulla qualità degli andamenti di ciascuna singola scuola (dei nostri figli) richiedono ben altra attenzione e considerazione. Da evitare come la peste, tuttavia, la rivendicazione di tali prerogative in forme contrappositive o di concorrenza alla dirigenza amministrativa, ugualmente strategica per l’avvenire della pubblica amministrazione del paese (citiamo per tutte l’osservazione a pag 5:” A ben vedere, il vero dirigente gestionale a tutto tondo nelle pubbliche amministrazioni è quello della scuola, in quanto chiamato ad assumere quotidianamente decisioni in ambiti scarsamente regolati dalla norma; il che chiama in causa le sue competenze decisionali ed il suo ruolo di terminale verso l’esterno dell’Amministrazione. Al confronto, il dirigente amministrativo – oltre ad avere un incarico nella media molto meno ampio e gravoso – si muove all’interno di un sistema di regole e procedure quasi tutte definite a priori, nel quale sono esercitate soprattutto funzioni di adempimento e di conformità.).Si potrebbero ricordare quei dirigenti di alcuni Enti pubblici (INPS per esempio, oppure Agenzia delle entrate) chiamati magari a dirigere l’ufficio di Roma Casilino, con 100.000 utenti e 500 accessi quotidiani agli sportelli, oppure i dirigenti titolari di poteri diretti di spesa e di gestione del personale, chiamati, magari dopo anni dal loro pensionamento, a rispondere alla Corte dei Conti per responsabilità per danni sempre emergenti dal fatto di aver esercitato la propria funzione dirigenziale . Brutta cosa contrapporre una categoria di dirigenti ad un’altra, soprattutto in una situazione storica in cui la dirigenza pubblica nel suo complesso é debolissima, divisa e sottoposta ad attacchi politici e giornalistici all’essenza stessa di titolare di missione pubblica che la Costituzione le assegna. Non si deve, a parer nostro, fraintendere l’obiettivo polemico quando si stigmatizza giustamente un ritorno al “centralismo burocratico” (pag 8): la “vocazione all’immobilismo” va ascritta non tanto alla dirigenza statale (che evidentemente non è in alcune sue parti immune a questo difetto, ma che poco pesa e poco conta), quanto ai ceti dirigenti politici e sindacali (che invece pesano e contano moltissimo) che si sono susseguiti in ultimo nel passato ventennio. Quando c’è una reale e intelligente volontà politica riformatrice (ricordiamo per tutte la riforma della Direzione generale del Tesoro operata negli anni ’80 dal Ministro Beniamino Andreatta e da Mario Sarcinelli, che “rivoltò” completamente una struttura “burocratica” rendendola un centro amministrativo di prim’ordine dove sono passati Mario Draghi, Vittorio Grilli e dove opera Maria Cannata al debito pubblico, che elabora e produce per Parlamento, Governo e Paese i documenti di macroeconomia e di finanza pubblica) le piccole, micragnose e “raccomandate” resistenze individuali o di cricca crollano come le mura di Gerico. Ma dov’è oggi un ceto politico all’altezza di queste sfide?