Sempre nell’ottica di rappresentare il pensiero critico e ragionante in ordine alla riforma della privatizzazione, facciamo un salto indietro di circa vent’anni – tanto, i problemi sono identici oggi come allora – e andiamo a leggere ciò che scriveva l’allora Direttore generale dell’Ufficio Relazioni sindacali del Dipartimento della funzione pubblica, Antonio Zucaro. Nel testo edito per il Giornale del Diritto amministrativo diretto da Sabino Cassese egli, piuttosto che effettuare un lavoro di esegesi neutrale della legislazione appena varata, raccontava – con il “passo” dello storico e la consapevolezza di chi li viveva dall’interno – gli eventi istituzionali che avevano determinato il sorgere della riforma e ne stigmatizzava i punti di debolezza: sulla concertazione osservava che “sono del tutto assenti le organizzazioni delle imprese e dei cittadini/utenti, mentre il doppio ruolo svolto sia dal Governo che dalle Confederazioni sindacali ha condotto, come si vedrà, ad una confusione, più o meno voluta, di ruoli, obiettivi e strumenti negoziali” (pag. 13). Sul depotenziamento delle funzioni dell’ARAN, osservava: ” lo schema dei rapporti viene distorto dal fatto che la parte sindacale non tratta solo con l’Aran, ma anche con le autorità di vertice, per condizionarne dapprima l’esercizio del potere, di direttiva e poi quello di approvazione degli accordi” (pag. 29). Sull’affidamento alla contrattazione collettiva dei sistemi di carriera del personale : “l’esigenza di differenziare retribuzioni e percorsi di carriera in modo sensibile, generalmente riconosciuta come fondamentale per migliorare quantità e qualità delle prestazioni, si è rivelata poco compatibile con la contrattazione collettiva, che si fonda, per il tramite dei sindacati, sul principio di prevalenza della maggioranza. E la maggioranza del personale pubblico oppone, tradizionalmente, una forte resistenza ad ogni ipotesi di differenziazione delle retribuzioni” (pag. 36). Sulla distorsione della funzione della partecipazione nei confronti degli atti organizzativi interni, in teoria riservati alla dirigenza con i poteri del privato datore di lavoro: ” la stessa concertazione, del resto, si conclude con accordi vincolanti tra le parti. Anche quando tali materie sono affidate ad altre tipologie di relazioni sindacali diverse dalla contrattazione e dalla partecipazione – ovvero “esame”, “consultazione”, “informazione seguita da incontro” – poiché gli incontri si concludono con la relazione di “verbali”, ” protocolli” di accordo informali…. comunque ritenuti vincolanti dalle parti… si determina comunque una sorta di contrattazione” (pag. 37). Sul mancato effetto di selezione, incentivazione e rispetto dei vincoli di bilancio della contrattazione integrativa: “Gli enti, seguendo una tesi prospettata dai sindacati, hanno ritenuto che, una volta negoziati di passaggi di livello e individuate le relative risorse da impegnare, trattandosi di aumenti di stipendio, per gli anni successivi l’impegno relativo si sarebbe dovuto trasferire sui capitoli di spesa per il personale, mentre l’importo complessivo del fondo sarebbe ritornato intatto” (pag. 50); “la conseguenza fondamentale del nuovo sistema di gestione contrattata delle progressioni di carriera è un movimento molto ampio, in alcuni casi generalizzato, del personale verso l’inquadramento ai livelli superiori. Queste operazioni comportano un forte aumento della spesa del personale“(pag. 51). “Questa vicenda…. pone in rilievo una tendenza di fondo delle organizzazioni sindacali che puntano a negoziare non solo gli incrementi di retribuzione, o le voci di retribuzione accessoria, ma anche, attraverso la negoziazione delle dotazioni organiche e dei passaggi di livello, l’insieme della spesa del personale, ivi compresa quella consolidata.“(pag. 52).
Sulla sostanziale distruzione delle professionalità costituite dall’ex personale direttivo laureato, Zucaro registrava che ci si discostava da quel “privato” cui si diceva di ispirare: “respinta, per l’opposizione dei sindacati maggiori, l’ipotesi di estendere alle pubbliche amministrazioni l’area quadri, istituita nei settori privati dalla legge 190/1985“….”Sotto la pressione della massa del personale, le organizzazioni sindacali hanno imposto alle amministrazioni accordi che, nei criteri per i passaggi di livello, considerano le capacità professionali e il livello di istruzione e di formazione molto meno dell’anzianità di servizio” (pagg. 52-53).
Infine la vanificazione dell’autonomia della dirigenza di carriera ” la dirigenza, é insieme, soggetto ed oggetto nella contrattazione collettiva. È soggetto, perché è la controparte dei sindacati nella contrattazione decentrata; ma è una controparte debole………sul piano dei rapporti di forza, perché schiacciata tra il potere politico e quello sindacale….. Il rischio è che le grandi centrali sindacali, rappresentative anche dei lavoratori dipendenti, negoziando retribuzione, ma ancor più criteri di nomina e revoca dell’alta dirigenza, aumentino il proprio potere di condizionamento su questa, che è la loro controparte nella contrattazione integrativa….. le centrali sindacali utilizzano I rapporti privilegiati con le autorità politiche delle singole amministrazioni per sponsorizzare la nomina dei dirigenti a loro più vicini e chiedere la rimozione di quelli più distanti….. In questa partita è in gioco uno snodo centrale del processo di riforma: la contrattazione di diritto privato nelle amministrazioni pubbliche deve svolgersi tra i sindacati e una parte datoriale che, in base al principio della distinzione di ruoli tra organi politici e organi amministrativi, non può che essere l’alta burocrazia per tutto ciò che attiene ai problemi di gestione (organici, carriere, retribuzioni, produttività). Perché il sistema funzioni, è necessario l’alta burocrazia sia autonoma nella gestione di tali problemi, non solo rispetto al vertice politico ma soprattutto rispetto ai sindacati che rappresentano un punto di vista obiettivamente distinto, se non alternativo, agli interessi nelle amministrazioni” (pagg. 74-76).
Erano tutte osservazioni rese da chi era nel vivo del processo riformatore appena iniziato. Osservazioni, peraltro, che attenevano non alle modalità attuative della riforma (paravento dialettico dietro il quale si nascondono da vent’anni Franco Bassanini e coloro che continuano perseverare nell’errore), ma all’adeguatezza e bontà del suo impianto concettuale interno. Le osservazioni di Zucaro furono in seguito puntualmente confermate dai fatti. Nè qualcuno si preoccupò mai, né allora né poi, di prendere nella dovuta considerazione i rilievi non preconcetti che pervenivano da tanti dirigenti pubblici. Chi ha detto che la dirigenza consapevole non interviene nel dibattito sulla pubblica amministrazione? E’ più giusto parlare di un ceto politico e sindacale sordo a qualunque richiesta di effettiva riflessione e cambiamento.
Giuseppe Beato
Antonio Zucaro 2000: l’attuazione della riforma del pubblico impiego