Terminiamo la pubblicazione di scritti storici sulla privatizzazione del pubblico impiego – che il lettore può trovare alla voce dell’indice del sito “pubblico impiego” – con la riproposizione di uno degli eventi più antichi e più significativi: gli atti di un convegno avvenuto 12 e 13 gennaio 1989 sul tema “Ripensare il sindacato”, organizzato da Walter Cerfeda, Marco D’Alberti, Antonio Lettieri, Umberto Romagnoli e Riccardo Terzi.
Due erano le direttrici del convegno in questione: una prima riguardante la “crisi di rappresentanza sindacale” che pian piano emergeva coll’evoluzione del lavoro, già allora in corso, dalla produzione industriale ai servizi del terziario; la seconda direttrice era costituita proprio dalla “privatizzazione del pubblico impiego” che apriva ai sindacati un enorme bacino di rappresentatività.
L’ambizione all’epoca prevalente era quella di operare come tutori degli interessi non solo dei lavoratori pubblici, ma anche “generali” (si vedano la relazioni di Bruno Trentin e di Alfiero Grandi), cioè degli utenti della pubblica amministrazione.
Il convegno va collocato nel periodo di “interregno” fra una gestione giuridica del lavoro pubblico blindata dalle norme dello Statuto degli impiegati civili del 1957 e l’avvio della privatizzazione che avvenne quattro anni dopo con l’emanazione del decreto legislativo n. 29/1993: era vigente in quel momento la legge quadro del pubblico impiego (n. 93/1983 – vedi qui testo per documentazione) che non accontentava né gli innovatori né i difensori del regime di diritto amministrativo. Leggendo il resoconto dei vari interventi si percepisce chiaramente come i mondi sindacale, accademico e politico erano ormai decisi ad effettuare il gran salto verso la privatizzazione. La crisi della prima repubblica, tangentopoli e i governi orientati a sinistra avrebbero in seguito reso concreto tale progetto.
Ultima osservazione: l’assenza assoluta fra i relatori di quel convegno di rappresentanti della dirigenza pubblica! Cosa non nuova all’epoca e resistente nel seguito delle vicende: il ceto politico/sindacale/accademico del Paese ha sempre ritenuto di poter effettuare le riforme della pubblica amministrazione senza ascoltare e considerare il pensiero dei dirigenti pubblici: i dirigenti amministrativi, fin dalla riforma Cavour del 1853 , sono considerati come “esecutivi” e non parte del ceto dirigente del Paese. Cosa aspettarsi allora, sempre, se non una robusta resistenza passiva a ipotesi di riforma calate dall’alto? Un perverso gioco delle parti che ancora oggi è uno dei fattori prevalenti dello stallo di qualunque iniziativa riformatrice.
Marco D’ALBERTI: le sorti del lavoro pubblico;
Giuliano AMATO: l’impegno pubblico fra malessere e inefficienza
Vincenzo VISCO: un’inefficienza strutturale
Sabino CASSESE: un pubblico impiego con troppi padroni
Paolo Cirino POMICINO: come può cambiare la pubblica amministrazione
Laura BALBO: una cultura dei servizi
Bruno TRENTIN: privatizzare il rapporto di lavoro nel pubblico impiego
Vincenzo PAPADIA: la CGIL e la scelta della contrattazione.
Massimo PACI: le nuove domande sociali nell’azione della riforma
Alfiero GRANDI: il funzionamento dei servizi come impegno sindacale
Giacinto MILITELLO: le complicità del sindacato
Mario RUSCIANO: privatizzazione del pubblico impiego e unificazione della normativa del lavoro
Michele SALVATI: i limiti di un sindacato senza antagonisti