Come sempre nel nostro amato Paese, questioni della più grande delicatezza vengono ridotte dai quotidiani e dai talk show a risse fra spadaccini senza una decente cognizione del merito delle questioni. Lasciamo pertanto a chi è affamato di share e di click i gossip politici sulla contesa fra il ministro Calderoli, il prof Cassese e i quattro firmatari della lettera che alleghiamo: Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo (già ministro delle Finanze nel governo Ciampi nel 1993/94) e Alessandro Pajno (già presidente del Consiglio di Stato). Tanto per dire, quattro dei sei citati sono stati presidenti della Corte Costituzionale.
Più importante riepilogare i punti sostanziali della questione.
Alla base di tutto risiede il testo del “nuovo” titolo V della Carta Costituzionale che nell’anno 2001, all’articolo 116 (terzo comma), dettò la seguente disposizione a beneficio delle regioni NON a Statuto Speciale: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119.”
Il testo della disposizione è già in sé fonte di due interpretazioni opposte, l’una che considera le “forme e condizioni particolari d’autonomia” come una sostanziale estensione delle prerogative riconosciute alle cinque Regioni a Statuto Speciale e un’altra opposta, fortemente riduttiva, che considera il raggio di competenza dei nuovi possibili poteri limitato a “specifici compiti e funzioni”. Della prima interpretazione si sono fatte artefici le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che, dopo il referendum previsto, chiedono ai governi della Repubblica di procedere alla presentazione in Parlamento dei conseguenti proposte legislative. Dall’altro lato militano i non pochi oppositori che ritengono la stessa ipotesi di autonomia differenziata un vulnus all’unità del Paese e una forma pericolosa di egoismo localistico che istituirebbe un blocco di fatto al trasferimento di risorse finanziarie delle imposte dalle regioni più ricche verso le regioni più disagiate (chi scrive è fra questi).
Vista l’estrema gravità della questione, un certo buon senso è prevalso nelle opposte compagini è ha trovato all’inizio una modalità di mediazione nella fissazione da parte di leggi dello Stato di “livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (LEP). C’è concordia ora su un principio di massima: qualunque forma di autonomia regionale è accettabile e fattibile solo nella misura in cui a tutti i cittadini italiani, da San Candido a Lampedusa, siano garantite prestazioni civili e sociali non al di sotto di una misura minima valida per tutti. Qual’è la misura minima essenziale delle prestazioni sociali? Come si determina? Il Governo in carica ha proposto al Parlamento la creazione di una Cabina di regia presieduta del Presidente del Consiglio (vedi qui l’ articolo 1, commi 791/800 della Legge bilancio per l’anno 2023) e di un Comitato tecnico presieduto dal prof. Sabino Cassese e composto da 61 membri di altissimo livello (vedi qui i loro nomi dal relativo decreto del ministro Calderoli) che deve determinare ENTRO SEI MESI i livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali.
Qui si rinnova la contesa intellettuale, gestionale, giuridica e politica di cui è segno la lettera di dimissioni dei quattro componenti del Comitato, che sotto riprendiamo integralmente. Può una Commissione tecnica procedere alla ricognizione completa dei diritti civili e sociali dei cittadini italiani e alla misurazione dei suoi livelli essenziali di prestazione entro sei mesi? La nota di Amato, Bassanini, Gallo e Pajno illustra con dovizia di argomenti il fatto che il termine di sei mesi assegnato dalla legge di bilancio 2023 entra in contraddizione colla premessa stessa dell’autonomia differenziata che, in tanto è legittima costituzionalmente, in quanto sia conforme ai livelli essenziali di prestazione debitamente determinati e adombra esplicitamente come sia necessario “un ripensamento tale da riportare il percorso di attuazione dell’autonomia regionale differenziata nei binari definiti dalla Costituzione”. Un modo educato per significare che il rispetto del termine di sei mesi assegnato alla Commissione è irrealizzabile, per cui pretestuoso e “fuori dai binari definiti dalla Costituzione”.
Messa in questo modo, la polemica è di una gravità istituzionale che travalica la pur drammatica contesa politica; perchè coinvolge su fronti contrapposti persone che sono state al vertice dell’organo cui è demandata la lettura e l’interpretazione del dettato della Carta Costituzionale.
Giuseppe Beato