Quando Marco Pannella fu arrestato dal Commissario Ennio Di Francesco.

19INFO01_MGTHUMB-INTERNA

Ci piace ricordare Marco Pannella in una delle sue innumerevoli iniziative di lotta e di disobbedienza civile avvenuto nel 1975, quando decise di fumare uno spinello in pubblico, atto proibito dalla legge. L’episodio vide coprotagonista un simpatizzante della nostra associazione, allora Capo della sezione narcotici della questura di Roma: Ennio Di Francesco (vedi qui). Egli fu invitato in Via di Torre Argentina nella sede del partito radicale e praticamente “costretto” ad arrestare Pannella, in ossequio alla legge vigente. Di Francesco, nello stessa giornata, dopo averlo arrestato inviò un telegramma a Pannella che così recitava:”Se come funzionario ho dovuto applicare una legge anacronistica e iniqua, come cittadino mirante a una società più giusta e umana, non posso non esprimerle stima e ammirazione“. Di Francesco fu immediatamente trasferito all’Ufficio passaporti, ma così si realizzò l’incontro fra un maestro di etica politica e un protagonista a schiena dritta di etica pubblica-amministrativa.

Vedi qui la ricostruzione dell’episodio su Huffington post

Gli agenti della Polizia uccisi dai brigadisti a Pietra Papa nel 1987.

Pietra Papa

Un Paese mediamente distolto dai valori più alti della convivenza civile dimentica gli episodi più eroici che hanno visto per protagonisti concittadini in divisa. Chi ricorda la strage di Pietra Papa del 14 febbraio 1987 in cui furono uccisi dalle Brigate rosse Rolando Lanari (26 anni), e Giuseppe Scravaglieri (23) della Polizia di Stato, di scorta a un furgone portavalori delle Poste Italiane? Vedi la ricostruzione di questo episodio qui sotto.

I caduti di Pietra Papa.

Anticorruzione: la lingua specchio dei costumi.

Crusca accademia

Perché nel vocabolario italiano non esiste  una traduzione corretta e fedele dei termini inglesi whistleblower e accountability? L’articolo di Peter Gomez ci aiuta a comprenderne il motivo….il vincolo strettissimo con la problematica dei costumi e della corruzione in Italia emerge con chiarezza!

Corruzione all’italiana: due parole che non esistono – da “il Fatto quotidiano.it”

Trasparency: la classifica internazionale 2015 sulla corruzione percepita.

Screenshot 2016-01-30 16.36.17

Puntuale come una purga per le persone oneste arriva la classifica del 2015 sulla corruzione percepita (vedi qui la “cerimonia” di presentazione del rapporto – clicca qui dal Corriere.it per vedere anche la classifica interattiva). L’Italia si colloca al 61imo posto nel mondo e al penultimo in Europa, dopo Grecia e Romania.

VEDI QUI LA CLASSIFICA

Anche Maria Teresa Canessa é Pubblica Amministrazione.

Screenshot 2016-01-28 09.23.52    Screenshot 2016-01-28 09.23.09

 

Era più naturale – infatti così è stato – che un atto di “morbido e consapevole coraggio” partisse da una donna. Senza indulgere in sproloqui inutili – vista l’enorme capacità di “racconto” che hanno le foto pubblicate sul sito del Corriere della Sera (clicca qui) – annotiamo solo che l’atto della dirigente della Polizia di Stato Maria Teresa Canessa  di togliersi il casco “una volta accertatami che era calata la tensione“, di chiacchierare con i manifestanti e di stringergli la mano testimonia di una capacità profonda di interpretare il ruolo di servitore delle Istituzioni, di coraggio di mettersi in discussione e di metterci la faccia;  orgoglio del proprio ruolo unito al rispetto di chi lotta e chiede riconoscimento dei propri diritti. Etica pubblica insomma.

Non esistono solo i fannulloni – che vanno eliminati molto decisamente – nella pubblica amministrazione. Nè l’eliminazione –  assolutamente necessaria – dei fannulloni risolve il problema della riforma delle pubbliche amministrazioni….ma questa è un’altra storia….

I quarant’anni de “La Repubblica” – Una certa idea dell’Italia.

Logo di La Repubblica

Fa una strana sensazione sentire dal nuovo direttore Mario Calabresi che egli lesse il primo numero de “La Repubblica” quando aveva otto anni, in occasione della strage di Bologna del 2 agosto 1980. Altri, come chi scrive, erano presenti al teatro Eliseo di Roma nel dicembre 1975 quando Eugenio Scalfari annunziò ufficialmente la nascita di un nuovo quotidiano “che non si sarebbe occupato di sport“….Al di là delle convinzioni politiche di ciascuno, é inconfutabile che questo giornale, come del resto altri quotidiani storici, abbia accompagnato e per certi versi segnato la storia civile del nostro Paese. Ci pare un buon motivo per dare conto del commiato di Ezio Mauro da direttore, apparso ieri. E’ intitolato: “Una certa idea dell’Italia“, con chiaro ed esplicito riferimento al pensiero di Piero Gobetti.  Come tale, merita un posto nella nostra rassegna del “pensiero degli Italiani sù sé stessi” e sulla loro storia come comunità nazionale.

  Una certa idea dell’Italia

Giuseppe De Rita – Popolo della Sabbia.

de_rita_censis copia

Con una delle sue definizioni folgoranti che lo hanno reso celebre negli anni, Giuseppe De Rita, presidente del CENSIS, fotografa il processo di disgregazione della società italiana in atto ormai da anni: popolo della sabbia. Riprendiamo un’interessante intervista curata dalla rivista “Pandora” – vedi qui il sito – nell’aprile dello scorso 2015.

Screenshot 2016-01-09 11.06.04

Link all’intervista a Giuseppe De Rita.

Il cinema italiano e il “posto fisso”.

Quo vado

La vacanze natalizie e il tema di questo film di grandissimo successo di pubblico ci inducono a proporre qualche considerazione sul film “Quo vado?”, non fosse altro perché si occupa di due temi centrali nel nostro sito, quali il pubblico impiego e i “vizi” degli Italiani. Il protagonista del film è un impiegato pubblico che accetta tutto, anche un trasferimento ad una postazione scientifica al Polo Nord, pur di salvare il suo posto fisso  Continua a leggere

Gli italiani e la guerra – Giuseppe De Rita.

de_rita_censis copia

In un momento carico di incognite per i destini di tutti noi, Giuseppe De Rita – editoriale di ieri 11 dicembre 2015 sul Corriere della Sera – affronta con prudenza, ma anche con forza e profondità di argomenti – il tema del rapporto fra Italiani e la guerra. questione questa che non può mancare in una rassegna sulla nostra indole.

 Perchè gli italiani non si sentono in guerra

L’uso dello strumento digitale e la percezione della Pubblica amministrazione nel nostro Paese.

Milano finanza

La pubblica amministrazione nel nostro Paese non gode nel suo complesso di grande prestigio presso l’opinione pubblica. C’è una percezione diffusa degli uffici pubblici come soggetti “ostili” e “arroganti” nei confronti di cittadini, professionisti e imprese. Questi umori sono ben rappresentati dall’articolo comparso su Milano Finanza dello scorso 4 novembre 2015, che qui riproduciamo. Si parla dell’uso invalso in molte pubbliche amministrazioni  di utilizzare lo strumento informatico per scaricare sull’utenza l’onere della certificazione di stati di fatto e situazioni. Continua a leggere

L’Italia di oggi e di ieri come in “Prova d’orchestra”.

images

Alla fine del suo ultimo editoriale – bello e sconfortante – sui tanti uomini pubblici che hanno deciso di “mettersi e giocare con le istituzioni“, Sabino Cassese cita le frasi finali del film di Federico Fellini “Prova d’orchestra” (1979), concepito in un’Italia sessantottina in cui un gruppo di orchestrali tutto volevano fuorché svolgere il proprio ruolo di musicisti. Omette Cassese, forse per carità di patria, di ricordare che quel film terminava con un rombo terribile e un’enorme sfera di metallo che distruggeva le mura tutto intorno e gli strumenti dell’orchestra….

 Dal Corriere della Sera del 30 ottobre 2015 “Istituzioni e fratture, le nostre regole perdute” di Sabino Cassese 

Prova d’orchestra – video

Crisi del Sud-Italia – Preziose opportunità e istruzioni per l’uso.

ITALIA

Abbiamo già dato conto lo scorso mese di luglio del Rapporto SVIMEZ sul Mezzogiorno d’Italia – vedi qui. Sono prevalsi in quei giorni i soliti e stagionati toni di lutto per il divario ancora esistente fra Nord e Sud Italia, conditi con un nuovo slogan “Nel corso della recessione economica, dal 2008 l’Italia meridionale è andata peggio della Grecia”. Continua a leggere

L’Italiaccia di Giampaolo Pansa.

 Copertina Italiaccia

I nostri lettori sanno che sovente ci allontaniamo dai temi specifici della pubblica amministrazione per occuparci di “cosa pensano gli Italiani degli Italiani”…..in effetti si parla di questioni sottilmente affini, perché generalmente dalla capacità di coesione di una nazione nascono  amministrazioni pubbliche forti ed efficienti. Proseguiamo qui nella carrellata sui “giudizi su sé stessi”, richiamando l’ultima fatica editoriale di Giampaolo Pansa, uno dei protagonisti della nostra carta stampata, che da almeno 10 anni ha deciso di farsi beffe del “politically correct” preferendo la strada impervia, ma feconda, del “pensiero controcorrente” e della provocazione intellettuale. Con “Il sangue dei vinti” ha cercato di far traballere – “da ex di sinistra” – il mito della Resistenza (o meglio, il mito della Resistenza per quella parte di italiani – forse neanche maggioritaria – che questo mito ha sempre coltivato!!!). Con “l’Italiaccia senza pace” Pansa attacca un altro mito: quello del secondo dopoguerra come “epoca d’oro” di rinascita della democrazia e di slancio della società italiana. Tutto falso per Pansa: attraverso il filo conduttore della storia di una famiglia ebrea che cerca di scoprire il segreto della scomparsa del proprio padre, tradito e denunciato alla Gestapo da persone a lui vicine, e poi deportato ad Auschwitz, egli descrive l’ambiente di una provincia piemontese negli anni 1943-1949, delineando un affresco politico dominato da spietate lotte di parte, in cui  “De Gasperi incontrò il ministro degli Esteri francese, Georges Bidault, e gli presentò una richiesta che da sola testimoniava l’ asprezza dello scontro. E ottenne che, in caso di sconfitta della Dc, la Francia avrebbe accolto come rifugiati politici tutti i dirigenti del suo partito, famiglie comprese”….ma lasciamo descrivere proprio a Giampaolo Pansa, perché l’Italia è un’Italiaccia nella prefazione del volume pubblicata dal quotidiano “il Giornale” dello scorso 10 settembre 2015 e ripresa dal sito Dagospia.

Per parte nostra, osserviamo  con interessata curiosità il paralleo che Pansa traccia fra l’Italiaccia del ’46 e l‘Italiaccia di oggi, con un’aggravante ci pare: quello era un Paese distrutto e umiliato dalla guerra e, soprattutto, alla fine fu capace di fare le scelte giuste. Quello di adesso, invece, è un Paese forte economicamente, in grado di reggere qualunque sfida dal punto di vista delle intelligenze, della reattività costruttiva e della capacità di intraprendere, ma inaccettabilmente appesantito da un’amministrazione pubblica che dall’Unità non è mai stata “promotrice di sviluppo” ed è oggi  incapace di fornire quelle infrastrutture di base (scuola, ricerca, trasporti, giustizia efficiente, fisco, sistema delle licenze pubbliche) che consentono agli altri Paesi di investire sulle proprie capacità e talenti. Colpa dei burocrati? Anche. Colpa dei politici? Sicuramente…Ma non è pure in ballo proprio quello “spirito” che Pansa qualifica come “l’Italiaccia” e che noi potremmo tradurre in “individualismo”, “insofferenza alle regole”, “corporativismo radicato nelle menti di tutti”, “egoismo sociale”, perdita di quello “spirito della comunità” e “misericordia”, alla quale ci richiama sempre Papa Francesco? Varrebbe la pena di riflettere con serenità su questo.

pansa-italiaccia-senza-pace-708170

Gaimpaolo Pansa – Prefazione del libro “Italiaccia senza pace”

 

Roma capitale e non capitale

roma capitale

Roma e i romani non sono simpatici a molti, questo va detto per capire molte cose. Tuttavia, gli scandali, i disservizi, gli episodi a metà fra la farsa e il codice penale, fino alla tragedia del pedone ucciso a Piazza del Popolo – cioè in una zona che in qualunque metropoli europea sarebbe stata liberata dal traffico – tutti questi episodi hanno indotto il quotidiano della borghesia meneghina a “certificare”, attraverso la penna di Sergio Rizzo, il fatto che la questione romana non riguarda solo i romani, ma tutta l’Italia come Stato nazionale. Chissà, forse era necessaria la continua umiliazione della gente comune e normale di questa città perché un concetto così semplice fosse recepito nelle coscienze degli Italiani….

 LA CAPITALE QUESTIONE NAZIONALE

La Pubblica Amministrazione e i tesori d’arte antica.

Madonna_con_bambino

Sfugge sempre alla grande stampa e ai molteplici osservatori superficiali che la pubblica amministrazione italiana é un oggetto complesso, un’articolazione estesissima di fatti e  di situazioni dove si possono trovare non solo cose brutte, ma anche veri e propri tesori. E’ il caso di questa icona mariana del duecento che è stata ritrovata anni fa all’interno del Convitto INPS S. Caterina di Arezzo da uno staff del Museo nazionale di arte medioevale e moderna di Arezzo diretto dalla dr.ssa Paola Refice. Da una “crosta” esterna, dalla quale difficilmente poteva immaginarsi la preziosa opera originale nascosta, è stata estratta – dopo anni di accurato restauro – la Madonna col Bambino che si può vedere qui sopra. La presentazione al pubblico, avvenuta lo scorso 19 giugno 2015, è stata curata dal Presidio sponsorizzazioni e valorizzazioni dei beni dell’INPS diretto dal dirigente generale dr. Alessandro Tombolini. Nel filmato presentato qui sotto una breve interessantissima sintesi di questa bella storia di Amministrazioni pubbliche italiane.

Il restauro dell’icona mariana di Arezzo del 1200- clicca qui.

 

Dante Alighieri – il suo pensiero sull’Italia

Unknown

Non possono mancare nella rassegna che conduciamo sugli “Italiani visti dai Grandi Italiani” le quattordici terzine del VI canto del Purgatorio, con le quali sette secoli fa l’Alighieri inchiodò (per sempre?) la condotta morale, civile e politica nel nostro Paese. Lo splendido incipit “Ahi serva Italia….” rischia di nascondere il seguito del suo “ragionamento” a proposito dell’incapacità del suo popolo di trovare un minimo di unità anche dentro “quei ch’un muro e una fossa serra“. L’Italia civile viene raffigurata colla metafora del cavallo bizzosofiera fatta fella – che si muove rabbiosamente, frenato a malapena del “morso” delle “leggi”, ma senza consentire ad alcun “cavaliere” di mettersi alla sua sella e guidarlo. Le città d’Italia sono tutte piene di tiranni, dove “un Marcel diventa ogni villano” supportato da qualche fazione. Ogni città, Firenze in testa, “quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume hai tu mutato, e rinnovate membre!” in modo che “a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili.      Il riferimento a “cavalieri” tipo Mussolini, Berlusconi o Renzi suona in questo contesto fuori luogo e provinciale: più decisivo risulta il pensiero su un Paese che non è mai riuscito, se non per brevissimi interludi, a regalarsi leader come Churchill, Roosevelt, De Gaulle, Thatcher o Brandt per citare solo i più noti storicamente, uomini e donne in grado di guidare un popolo nelle epoche di difficoltà e di trasformazione…. “guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni“. Più che concetti quali “ordine”, “legalità” o “governo forte”, la metafora del cavallo bizzoso riesce a descrivere al meglio la realtà perché sposta il riferimento centrale, non sulla forma di governo (o meglio lo fa in subordine), ma sullo spirito del popolo italiano, questione molto più complicata, comunque “la” vera questione.

 Ahi serva Italia

I gufi d’Italia – gli italiani visti con gli aforismi di 160 “grandi firme”

gufi

Quanti Italiani sono qualificabili come “gufi”, secondo la terminologia renziana? Parecchi, solo a leggere i pensieri che tanti “grandi” italiani hanno formulato in forma icastica sui loro connazionali. I 160 aforismi che qui riproponiamo ci restituiscono un pensiero negativo, pessimista, deluso e disilluso. Colpisce anche un’ altra osservazione, cioè il fatto che il pensiero sull’Italia venga frequentemente esposto in forma di battuta sarcastica, di osservazione breve, senza desiderio né cura di “approfondire”, di sviluppare un ragionamento che vada a fondo rispetto al malessere che l’intuizione e l’esperienza vissuta generano. Almeno due grandi Italiani escono fuori dal recinto dell’aforisma, ma le conclusioni del loro approfondimento ragionato sono ancor più sconsolanti: L’Alighieri del VI canto del Purgatoriovedi qui – che spiega perché l’Italia non è “donna di provincie ma bordello” e Giacomo Leopardi con il suo Discorso sopra lo stato degli Italiani -vedi qui . C’é infine un altro grande Italiano che espresse le proprie valutazioni sulla’”agire civile” dei suoi connazionali, guarda caso con 221 aforismi: Francesco Guicciardini. Del suo pensiero intorno al “particulare” diede conto Francesco De Sanctis  nella sua Storia della letteratura italiana (vedi qui).

Non pensiamo bene di noi stessi dunque!      Ciò vale per le “grandi firme” come per la maggioranza di noi!

Eppure ci deve essere – e va inseguito – un punto di sintesi fra l’ottimismo a cui ci invita il Presidente del Consiglio Renzi e il pensiero pesante e disilluso che in molti cerchiamo di esorcizzare con battute sarcastiche ed aforismi: punto di sintesi da inseguire attraverso la ricerca di un’alchimia comune – verrà quando verrà – e di un pensiero comune in cui tutti riconoscersi e la liberazione dal “particulare” che non è una risorsa, ma un peso enorme, anche e soprattuto per i tanti singoli “particulari”.

 AFORISMI SUGLI ITALIANI

Intervento di Marisa Rodano alla Camera dei deputati in occasione del 70imo anniversario della Liberazione.

rodano

Onorevole Presidente della Repubblica

Onorevole Presidente della Camera dei Deputati
Onorevole Presidente del Senato della Repubblica
Onorevoli Parlamentari
Cari amici e compagni partigiani,
Ringrazio per l’invito a questa solenne celebrazione
E’ per me un grande onore parteciparvi e sono commossa ed emozionata per essere rientrata in quest’aula, nella quale ho trascorso tanti anni della mia vita parlamentare.
Mi si consenta di dedicare brevi parole al ruolo delle donne nella Resistenza.
– Fu lo sciopero delle lavoratrici torinesi nel marzo del 1943 a suonare la campana a morto per il regime fascista.
– L’8 settembre, nella battaglia in difesa di Roma, centinaia di donne spontaneamente scesero in strada ad aiutare i combattenti e furono ben ventotto le cadute in quella battaglia!; le donne romane aprirono la porta delle loro case ai fuggiaschi: li rivestirono, nutrirono, li nascosero, accolsero come figli i prigionieri alleati, Russi, Americani, Inglesi, Iugoslavi.
– Furono le donne, a Napoli, dal 26 settembre al 1 ottobre del 1943 a dare un contributo determinante all’insurrezione che costrinse l’esercito nazista a lasciare la città.
– E’ a una donna, la dottoressa Marcella Monaco, che due futuri Presidenti della nostra Repubblica, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat debbono la vita e la liberazione dal carcere di Regina Coeli , con falsi ordini di scarcerazione.
– Fu una donna, Giulietta (Lina) Fibbi, che con un viaggio avventuroso recapitò l’ordine dell’insurrezione del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia al CLN dell’Emilia
Per unanime riconoscimento sia del CLN che degli stessi comandi nazisti, senza la partecipazione di massa delle donne, compresa quella alla lotta armata, (si pensi ai reparti delle Volontarie della libertà e alle staffette) la lotta di Liberazione non sarebbe stata vittoriosa.
Le cifre sicuramente sono approssimative – si è detto che le donne combattenti fossero 35.000, 70.000 le partecipanti ai Gruppi di Difesa della Donna, 2900 le donne giustiziate o uccise in combattimento –
Vorrei in primo luogo, ricordare le eroine, cadute in combattimento o uccise tra atroci sofferenze dai nazisti o morte, dopo la deportazione, nei campi di sterminio e le decorate di medaglia d’oro alla memoria, da Gabriella degli Esposti a Ines Versari, da Anna Maria Enriquez a Norma Pratelli Parenti, da Irma Bandiera a Maria Assunta Lorenzoni, solo per citarne alcune.
Ma come erano giunte le donne italiane a schierarsi dalla parte giusta?
E’ nella Resistenza che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto “nello stato fascista la donna non deve contare”; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani.
Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza libertà pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare.
Nel moto resistenziale si saldarono la tradizione socialista delle lotte nelle fabbriche e nelle risaie; le idealità politiche dell’antifascismo; e l’opposizione segreta, ma profonda che tante donne avevano coltivato in modo più o meno tacito contro il fascismo, il regime delle cartoline-precetto, che strappava loro i figli e che aveva fatto della violenza e della guerra un cardine della propria politica e ideologia.
Dalle masse femminili veniva al moto resistenziale un patrimonio di valori e ideali tramandati nella famiglia e confluì nella Resistenza, in un comune impegno con le forze laiche e socialiste, la tradizione del mondo cattolico.
Un innesto di valori e tradizioni diverse, di esperienze tra loro lontane che, nella Resistenza si venne strutturando come movimento unitario, nazionale: i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà. (GDD)
Gli scopi dei GDD, definiti nel programma appello costitutivo, approvato nel ’44 a Milano: erano finalizzati alla lotta contro il nemico invasore, cioè a un obiettivo generale e comune a uomini e donne, ma l’appello conteneva in nuce alcune delle future rivendicazioni delle donne, in particolare delle lavoratrici, quali la proibizione del lavoro notturno, del lavoro a catena e del lavoro nocivo alle donne, un salario femminile (per lavoro eguale) uguale a quello dell’uomo e un’adeguata assistenza alle madri, E comunque, allora battersi per tali obiettivi diveniva allora un atto di guerra.
La Resistenza ha contribuito a far sorgere una comune coscienza nazionale tra donne di differenti ceti sociali, di diverso livello culturale e orientamento ideale, e, al tempo stesso, a far loro acquisire una nuova consapevolezza del proprio ruolo sociale e l’aspirazione a conseguire pienezza di diritti e di cittadinanza.
Non a caso i GDD affermavano che logica conseguenza della partecipazione delle donne alla Resistenza dovesse essere il diritto di voto.
La partecipazione delle donne alla Resistenza è stata dunque il fondamento per la conquista dei loro diritti civili, sociali e politici.
E’ conferma che il cammino delle donne italiane verso la conquista di piena cittadinanza, che vede oggi tante donne ricoprire cariche di responsabilità nel governo, nel parlamento, nelle Regioni e negli enti locali, e svolgere ruoli importanti nella vita culturale, economica e produttiva, ha le radici nella loro partecipazione alla Resistenza.

Marisa Rodano – 16 aprile 2015