…scritta 51 anni fa.
Profezia di Pier Paolo Pasolini
Recitata da Tony Servillo – clicca qui
Onorevole Presidente della Repubblica
Onorevole Presidente della Camera dei Deputati
Onorevole Presidente del Senato della Repubblica
Onorevoli Parlamentari
Cari amici e compagni partigiani,
Ringrazio per l’invito a questa solenne celebrazione
E’ per me un grande onore parteciparvi e sono commossa ed emozionata per essere rientrata in quest’aula, nella quale ho trascorso tanti anni della mia vita parlamentare.
Mi si consenta di dedicare brevi parole al ruolo delle donne nella Resistenza.
– Fu lo sciopero delle lavoratrici torinesi nel marzo del 1943 a suonare la campana a morto per il regime fascista.
– L’8 settembre, nella battaglia in difesa di Roma, centinaia di donne spontaneamente scesero in strada ad aiutare i combattenti e furono ben ventotto le cadute in quella battaglia!; le donne romane aprirono la porta delle loro case ai fuggiaschi: li rivestirono, nutrirono, li nascosero, accolsero come figli i prigionieri alleati, Russi, Americani, Inglesi, Iugoslavi.
– Furono le donne, a Napoli, dal 26 settembre al 1 ottobre del 1943 a dare un contributo determinante all’insurrezione che costrinse l’esercito nazista a lasciare la città.
– E’ a una donna, la dottoressa Marcella Monaco, che due futuri Presidenti della nostra Repubblica, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat debbono la vita e la liberazione dal carcere di Regina Coeli , con falsi ordini di scarcerazione.
– Fu una donna, Giulietta (Lina) Fibbi, che con un viaggio avventuroso recapitò l’ordine dell’insurrezione del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia al CLN dell’Emilia
Per unanime riconoscimento sia del CLN che degli stessi comandi nazisti, senza la partecipazione di massa delle donne, compresa quella alla lotta armata, (si pensi ai reparti delle Volontarie della libertà e alle staffette) la lotta di Liberazione non sarebbe stata vittoriosa.
Le cifre sicuramente sono approssimative – si è detto che le donne combattenti fossero 35.000, 70.000 le partecipanti ai Gruppi di Difesa della Donna, 2900 le donne giustiziate o uccise in combattimento –
Vorrei in primo luogo, ricordare le eroine, cadute in combattimento o uccise tra atroci sofferenze dai nazisti o morte, dopo la deportazione, nei campi di sterminio e le decorate di medaglia d’oro alla memoria, da Gabriella degli Esposti a Ines Versari, da Anna Maria Enriquez a Norma Pratelli Parenti, da Irma Bandiera a Maria Assunta Lorenzoni, solo per citarne alcune.
Ma come erano giunte le donne italiane a schierarsi dalla parte giusta?
E’ nella Resistenza che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto “nello stato fascista la donna non deve contare”; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani.
Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza libertà pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare.
Nel moto resistenziale si saldarono la tradizione socialista delle lotte nelle fabbriche e nelle risaie; le idealità politiche dell’antifascismo; e l’opposizione segreta, ma profonda che tante donne avevano coltivato in modo più o meno tacito contro il fascismo, il regime delle cartoline-precetto, che strappava loro i figli e che aveva fatto della violenza e della guerra un cardine della propria politica e ideologia.
Dalle masse femminili veniva al moto resistenziale un patrimonio di valori e ideali tramandati nella famiglia e confluì nella Resistenza, in un comune impegno con le forze laiche e socialiste, la tradizione del mondo cattolico.
Un innesto di valori e tradizioni diverse, di esperienze tra loro lontane che, nella Resistenza si venne strutturando come movimento unitario, nazionale: i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà. (GDD)
Gli scopi dei GDD, definiti nel programma appello costitutivo, approvato nel ’44 a Milano: erano finalizzati alla lotta contro il nemico invasore, cioè a un obiettivo generale e comune a uomini e donne, ma l’appello conteneva in nuce alcune delle future rivendicazioni delle donne, in particolare delle lavoratrici, quali la proibizione del lavoro notturno, del lavoro a catena e del lavoro nocivo alle donne, un salario femminile (per lavoro eguale) uguale a quello dell’uomo e un’adeguata assistenza alle madri, E comunque, allora battersi per tali obiettivi diveniva allora un atto di guerra.
La Resistenza ha contribuito a far sorgere una comune coscienza nazionale tra donne di differenti ceti sociali, di diverso livello culturale e orientamento ideale, e, al tempo stesso, a far loro acquisire una nuova consapevolezza del proprio ruolo sociale e l’aspirazione a conseguire pienezza di diritti e di cittadinanza.
Non a caso i GDD affermavano che logica conseguenza della partecipazione delle donne alla Resistenza dovesse essere il diritto di voto.
La partecipazione delle donne alla Resistenza è stata dunque il fondamento per la conquista dei loro diritti civili, sociali e politici.
E’ conferma che il cammino delle donne italiane verso la conquista di piena cittadinanza, che vede oggi tante donne ricoprire cariche di responsabilità nel governo, nel parlamento, nelle Regioni e negli enti locali, e svolgere ruoli importanti nella vita culturale, economica e produttiva, ha le radici nella loro partecipazione alla Resistenza.
Marisa Rodano – 16 aprile 2015
Nel suo discorso inaugurale, incentrato principalmente sull’esigenza di ritrovare l’unità del nostro popolo, Il Presidente Mattarella individua negli uffici pubblici il luogo in cui principalmente nasce e si alimenta (o deperisce) il senso della comunità e della partecipazione alle Istituzioni repubblicane. Egli cita esplicitamente il ruolo degli uffici e della dirigenza pubblica, prima nel punto in cui parla di “lotta alla corruzione e alle mafie”, successivamente nelle battute conclusive del suo discorso. Evidenziamo i due passaggi:
“La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile. Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci…….E’ allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti. Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.”
“Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. I volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti. Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto. Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi. Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri. Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto. Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose. Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace.
Viva la Repubblica, viva l’Italia!
C’è – ci dovrebbe sempre essere, ma molto spesso non c’è – un elemento che distingue la natura del lavoro pubblico da quello svolto dai privati: al lavoratore pubblico, meno soggetto degli altri lavoratori agli alti e bassi del mercato, la gente chiede, in cambio della maggiore stabilità del posto di lavoro, un elemento di qualità superiore al resto dei lavoratori: l’etica del servizio pubblico. Definire questo elemento porterebbe via pagine e pagine, ma é molto più semplice osservare che quest’etica la si può chiaramente leggere negli occhi di chi con orgoglio e convinzione non si tira mai indietro all’idea di rendere un servizio, di svolgere un lavoro che richieda un sacrificio “ulteriore” rispetto a quello ordinariamente atteso su un piano meramente “contrattuale” per l’incarico pubblico assegnato. Un lavoratore pubblico “dà di più” quando è necessario, semplicemente perché ciò è connaturato a quell’idea di “servizio pubblico” che è il “di più” che gli si chiede. L’Italia è piena di operatori pubblici che lavorano così.
Eppure, nell’evidenza delle notizie che “fanno colpo” sull’opinione pubblica, Il Corpo dei vigili urbani di Roma (non nuovo a comportamenti “anomali”, vedi l’articolo di Alberto Statera su “la Repubblica” “GLI INSUBORDINATI E LA TRIPPA PER GATTI “) fa più notizia dei medici e degli infermieri dell’Ospedale Spallanzani, pure di Roma, che hanno curato Fabrizio Pulvirenti, malato di ebola (Vedi: “Il Papa si congratula con i medici e i sanitari dell’ Ospedale Spallanzani impegnati con eroismo quotidiano”). L’idea che questa attenzione diversa dell’opinione pubblica sia determinata solo da un approccio demagogico – tweet del Presidente del Consiglio, dichiarazioni di Brunetta, pezzi di colore dei giornali in genere – non ci convince.
Certo, chi qualifica l’amministrazione pubblica guardando solo ai suoi aspetti degenerati offusca irreparabilmente l’immagine dell’impiego pubblico e dei suoi lavoratori. Tuttavia c’è qualcosa di più strutturale dietro il prevalere dell’attenzione sulle mele marce, invece che verso i tanti che svolgono il loro dovere (i poliziotti in servizio nei quartieri più a rischio, i carabinieri in servizio d’ordine pubblico che non reagiscono agli insulti e agli sputi, gli infermieri e i medici che ordinariamente lavorano di notte o nei pronto soccorsi, gli insegnati malpagati che non rinunciano a portare avanti la propria missione educativa, i vigili del fuoco, etc). Perché prevale allora l’attenzione sui “cattivi”, pure presenti in tutti gli ambiti del pubblico impiego? Secondo noi, ciò dipende dal fatto che c’è un vizio di fondo del sistema attuale del lavoro pubblico: l’assenza totale dell’etica della valutazione. L’onda anomala della sacrosanta lotta per la tutela dei diritti si è tradotta negli ultimi venti anni nel pubblico impiego in un rifiuto generalizzato di accettare un’idea semplice, chiara anche ai bambini che frequentano le scuole elementari: valutare ed essere valutati. L’etica del servizio pubblico non può prevalere se non è accompagnata dall’altra regola della tutela e del riconoscimento dei buoni comportamenti, parallela alla severità nel giudicare, emarginare e licenziare chi ogni giorno con protervia, arroganza e delinquenza fa strame dell’etica del lavoro e del servizio pubblico. Se non c’è valutazione, la buona fede e l’alto senso etico di chi opera con sacrificio nelle pubbliche amministrazioni rimangono relegati alla buona volontà e al profilo morale dei singoli che la pongono in essere. Per diventare SISTEMA le buone pratiche dei più hanno necessità di essere ricondotte ad un criterio generale di funzionamento degli uffici in cui si sappia tutti (operatori e cittadini) che chi opera bene è tutelato e riconosciuto, mentre chi si fa beffe dell’etica di servizio viene messo alla porta.
Le disposizioni di legge per applicare questo principio ci sono già. E’ necessario, tuttavia, avviare una riconversione della politica, dei sindacati, della dirigenza e dei lavoratori pubblici verso la convinzione operativa che queste leggi vanno applicate. Da questo punto di vista vediamo uno spiraglio di luce finalmente nitida nelle dichiarazioni di Rossana Dettori, responsabile nazionale della CGIL funzione pubblica (vedi qui)che, forse per la prima volta, abbandona l’idea della difesa “a prescindere” dei “diritti” e qualifica il ricorso pretestuoso allo sciopero selvaggio, alle donazioni di sangue, alle “tutele di legge” per quello che sono: dei miseri pretesti per non fare il proprio dovere.
Non è utile far rullare i tamburi per annunciare la pur necessaria riforma della pubblica amministrazione. Si tratta, più efficacemente, di sostenere nell’immediato – pubblicamente e individualmente – l’azione di coloro i quali dentro le pubbliche amministrazioni cercheranno di dare attuazione alle leggi esistenti: il criterio della valutazione va applicato dall’interno della pubblica amministrazione, facendo riferimento alle forze sane che in grande numero vi operano. In ciò sono necessari coraggio e determinazione. Dall’esterno, al posto degli annunci, arrivino appoggi istituzionali e concreti a chi si muove nella direzione necessaria.
Non c’è niente di buono nell’ultimo rapporto Demos 2014 sulla “Fiducia nelle Istituzioni” da parte degli Italiani. Dal 2013 a oggi si è verificato un crollo verticale di fiducia nei confronti di tutte le Istituzioni della comunità nazionale ed europea. Riportiamo anche l’articolo di commento – pubblicato su La Repubblica di ieri 29 dicembre – di Ilvo Diamanti su questa penosa situazione che, oltre alla sfiducia verso “ciò che è organizzato per il bene della collettività”, racconta anche e soprattutto di una sfiducia profonda in noi stessi come comunità vivente di donne e di uomini.
Partiti, Istituzioni, Europa: la fiducia va a picco – Ilvo Diamanti
L’etica e le convinzioni profonde, buone o cattive che siano, sono sostanze impalpabili, legate al cuore insondabile e alla coscienza di ciascuna persona. Eppure questa “categoria” dell’agire umano é la forza più potente nella vita di qualunque Comunità o organizzazione. I convincimenti intimi radicati nelle coscienze sono capaci di dare senso, forza e valore a un’istituzione oppure di corroderla dall’interno, qualunque siano le regole, le sanzioni o le situazioni in essere.
In questa ottica ci pare vadano lette le parole di un Uomo che fino a pochi giorni prima di diventare Papa attraversava le periferie malfamate di Buenos Aires, a piedi da solo, per andare a cercare anime. Egli, nell’omelia dello scorso 22 dicembre, non descrive solo le malattie e le tentazioni della Curia romana, ma il male etico che sempre minaccia di corrodere le menti e il cuore di chi è classe dirigente, in qualunque ambito di attività, di funzione e di lavoro si trovi ad operare. Nulla da aggiungere a queste parole, salvo la considerazione che la corruzione materiale segue sempre a ruota quella morale….stiamo parlando di Amministrazione pubblica, se ciò non fosse chiaro.
In un frangente drammatico in cui il nostro Paese si trova immerso nella melma di scandali pervasivi, pervadenti e senza fine, una delle domande da farci, come Associazione Nuova Etica pubblica, potrebbe senz’altro essere: “Gli onesti che cosa ci fanno in una dimensione compromessa come quella emersa?”. Non abbiamo bisogno di impegnarci: la risposta ce l’ha già data nel 1980, 35 anni fa, Italo Calvino….tutto é stato già scritto.
Calvino-apologo sull’onestà in un Paese di corrotti
Pubblichiamo, a cura di Antonio Zucaro, la recensione del testo di Sabino Cassese, Governare gli Italiani – storia dello Stato, nel quale l’autore ripercorre tutte le fasi successive del dispiegarsi dell’azione dello Stato italiano – come somma di istituzioni pubbliche di governo della comunità – dall’Unità d’iItalia in poi. L’ attenzione è posta soprattutto su due temi: la forza (o la debolezza, a seconda dei casi) dell’istituzione “Stato” nel corso della storia nazionale e, oggi, nei confronti delle Istituzioni internazionali le quali, attraverso un complesso sistema di regole in qualche modo imbrigliano e orientano la sovranità degli Stati nazionali.
Particolarmente interessanti e azzeccati i riferimenti specifici alla “burocrazia ministeriale“, composta “dalle burocrazie ministeriali in senso proprio….da sempre strutturalmente deboli ” e da un “nomenklatura” costituita ” dai capi di gabinetto, categoria quest’ultima che ai corpi burocratici è sostanzialmente esterna, tranne qualche eccezione” e che è “cresciuta di peso come tramite fra una politica debole e un’amministrazione sottomessa”.
Recensione del libro di Sabino Cassese: Governare gli Italiani – anno 2014.
Quelli che amano l’Eroe dei due Mondi visitano in Sardegna la sua casa di Caprera (e lo splendido museo inaugurato nell’isoletta lo scorso 2011), unico “benefit” che il Generale Giuseppe Garibaldi si concesse dopo aver regalato l’Italia ai Savoia. Piace qui riprodurre la foto del suo letto che lui volle fosse rivolto al mare, in direzione di Nizza dove era nato…chissà perché esistono pochissime foto di questo luogo bellissimo, né l’occhiuta vigilanza interna consente che vengano effettuate (regole del Ministero dei Beni culturali vien detto)…. ai più piacciono altri tipi di vedute…questioni di gusti.
“Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni“. Questa massima di Max Weber – incontestabile secondo noi – è il fulcro dell’articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera dell’8 agosto 2014 sulla questione delle resistenze della burocrazia della Camera ai tagli annunciati sui propri stipendi. In un contesto migliore di quello attuale, si potrebbe agevolmente argomentare che le tendenze monopolizzatrici delle burocrazie possono essere validamente arginate e ricondotte ad utile e preziosa energia pubblica da un sano gioco di pesi e contrappesi democratici, in cui gli altri soggetti protagonisti della vita della comunità – buona politica, buon sindacato, opinione pubblica, associazioni degli utenti – sappiano verificare, controllare, sostenere e dirigere la forza – per definizione neutra e neutrale – della burocrazia pubblica.
I funzionari della Camera costano 9000 euro più della Merkel – Corsera 8 ago 2014
Riportiamo un fondo di Mario Deaglio pubblicato sulla Stampa del maggio 2013 che fotografa, crediamo fedelmente, la situazione psicologica e storica della generazione cresciuta subito dopo la seconda guerra mondiale, prima trionfante e battagliera ora chiusa in un crepuscolo tutto sommato inglorioso.
1943- 2013 – La generazione perfetta compie settant’anni
…dalla lettera scritta a una Preside di un liceo di Padova da Paolo Borsellino il mattino del 19 luglio 1992, giorno dell’attentato a lui e alla sua scorta: “Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l’imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l’accaparramento degli appalti pubblici, fornendo nel contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro etc, che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato. E’ naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l’imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato a taluni (pochi) togliendolo ad altri (molti).”
……..da un’intervista di Giovanni Falcone ad Attilio Bolzoni: “Io sono solo un uomo di questo Stato. Io credo nelle istituzioni”…….e da un’altra a Francesco La Licata: “io sono solo un servitore dello Stato“.
La disillusione, il disincanto, la frustrazione che hanno accompagnato le celebrazioni del 150imo dell’Unità d’Italia sono legate all’idea che l’unità e uno sviluppo armonico del nostro Paese non sono stati realizzati. Eppure, nel cuore dei più, rimane ferma, poetica e leggendaria la storia dei mille di Giuseppe Garibaldi, figura di uomo italiano che nessuno è riuscito ancora a scalfire. Bellissima l’ultima puntata del racconto di Paolo RUMIZ, quando approda a Caprera, ultima dimora dell’Eroe dei due mondi, luogo delle sue spoglie mortali, isola degli Italiani onesti.
PAOLO RUMIZ 2010 – SULLE STRADE DELLE CAMICIE ROSSE
Riportiamo un articolo del Sole 24 ore del 25 gennaio 2014, a firma Sergio Fabbrini, che, prendendo spunto dalle vicende in pieno corso sulla nuova proposta di legge elettorale e dalle polemiche derivate in pieno corso, individua nel massimalismo, particolarismo e consensualismo i tre vizi che inchiodano l’Italia all’immobilismo.
Ci pare che l’analisi vada oltre la vicenda attuale della legge elettorale.
Sergio Fabbrini – I tre vizi dell’immobilismo italiano
C’è un “fil rouge” che unisce il pensiero di Barbara Spinelli, così come lo leggiamo nel suo articolo su “La Repubblica” del 23 nov 2013, in occasione della decadenza di Berlusconi da Senatore, e quello di chi l’ha preceduta da lunghissimo tempo in questa riflessione – due nomi per tutti: Piero Gobetti e Paolo Sylos Labini: quello della contestazione di un’idea consolatoria che piace a troppi: immaginare che taluni eventi della storia del nostro Paese – il fascismo, l’8 settembre, il “berlusconismo” – siano delle parentesi, degli incidenti, qualcosa che denoti un altro da sé rispetto alle caratteristiche intrinseche di noi come popolo, come nazione. Questa idea di “anomalia” nel corso della storia si accompagna ad un’altra ugualmente perniciosa: l’idea che esista una “società civile” integra e buona ed una classe politica incapace e corrotta. Pubblichiamo, senza ulteriori commenti, l’articolo in questione e, in stretta successione, “Gli anticorpi perduti della società italiana”, pubblicato su “la Repubblica del 14 mag 2002 da Paolo Sylos Labini e “L’elogio della ghigliottina ovvero il fascismo come autobiografia della nazione” pubblicato su “la Rivoluzione liberale” da Piero Gobetti il 23 nov 1922.
Barbara Spinelli – Quel che resta del ventennio
Paolo Sylos Labini – Gli anticorpi perduti della società italiana
Piero Gobetti – Fascismo come autobiografia della nazione
Piero Gobetti, dalle colonne della rivista “la Rivoluzione Liberale”, da poco fondata, scrive – poco meno di un mese dopo la marcia su Roma – a proposito dello stretto collegamento esistente fra il successo del fascismo e il carattere profondo degli Italiani: il fascismo come autobiografia della nazione.
“La Rivoluzione Liberale” del 23 novembre 1922 – Elogio della ghigliottina
Pubblichiamo del materiale sulla biografia e su alcuni interventi di Paolo Sylos Labini a proposito dell’Italia e degli Italiani
Sylos-Labini – Una certa idea dell’economia -conversazione del 12 gen 1993
GLI ANTICORPI PERDUTI DELLA SOCIETA’ ITALIANA – 14 mag 2002
Messaggio inviato per la Manifestazione di San Giovanni del 14 settembre 2002
La nostra associazione, anche col rischio di sbagliare, preferisce “curiosare” fra quelle posizioni e percezioni che gli Italiani, o alcuni Italiani, hanno della politica, qualunque sia la “parte” politica che tali opinioni esprime. Oggi ripubblichiamo l’intervento del deputato Alessandro Di Battista del movimento 5stelle tenutosi alla Camera dei Deputati lo scorso 23 dicembre. L’aggressività del suo intervento è sicuramente dettata dallo sdegno di un cittadino arrabbiato per i “giochetti” della politica politicante. Ma, al di là dell’aggressività, sono richiamati fatti e argomenti pesanti come pietre. O ci si confronta con i fatti denunciati, smentendoli o sanandoli prontamente, oppure lo sdegno e la furia sono destinati a crescere e magari tracimare, come sempre accade quando non c’è capacità di emendarsi in tempo, in soluzioni rozzamente giacobine.
Intervento del 23 dic 2013 alla Camera del Deputato Alessandro Di Battista
Seguiamo con interesse gli articoli di fondo che Ernesto Galli della Loggia pubblica sul “giornale della borghesia”, sia per il loro valore intrinseco, sia perché un fondo del Corriere della Sera è sempre in qualche modo esemplificativo di un’ idea di sé che la classe dirigente di questo Paese sviluppa. Nel suo fondo del 20 ottobre 2013, il Nostro compie un’analisi della situazione del Paese – la definiremmo rassegnata – nella quale esprime il proprio giudizio, netto e negativo, sull’Amministrazione pubblica, sul capitalismo privato e sulle banche. Quindi “non” – o meglio – non solo la Pubblica amministrazione come palla al piede dello sviluppo del nostro Paese, ma, diremmo, tutto ciò che è “alta classe dirigente”, pubblica o privata che sia. Il pregio di accomunare i tre plessi di funzioni nella stessa valutazione negativa ci sembra risiedere tutto nell’idea che tutti e tre partecipano e contribuiscono a una crisi che, prima di essere economica, è di etica, di morale. In tutti e tre i “plessi” – complessivamente considerati – di cui parla Della Loggia sono prevalse, soprattutto negli ultimi due decenni, spinte corporative, egoistiche, personalistiche, infingarde, miopi: il nostro Paese non potrà salvarsi senza l’affermarsi di una prevalenza dei parametri di moralità nelle scelte piccole e grandi che compirà la sua classe dirigente.
GALLI DELLA LOGGIA – 20 ottobre 2013: IL POTERE VUOTO IN UN PAESE FERMO