Pubblicato in Gazzetta ufficiale, il testo della Legge di stabilità 2016, n. 208 del 28 dicembre 2015.
Allegati Legge 208 2015 stabilità 2016
Tabella E Legge 208 2015 stabilità 2016 copia
Pubblicato in Gazzetta ufficiale, il testo della Legge di stabilità 2016, n. 208 del 28 dicembre 2015.
Allegati Legge 208 2015 stabilità 2016
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Le elezioni regionali in Francia di ieri hanno attirato l’attenzione sugli aspetti squisitamente politici della contesa fra partiti. In ombra, invece, gli aspetti istituzionali-amministrativi di questa vicenda: infatti, queste elezioni sanciscono un evento auspicabile anche da noi in Italia: la diminuzione del numero delle regioni francesi – con decorrenza 1° gennaio 2016 – da 27 a 13 (vedi cartina qui sopra). Le regioni francesi sono poco assimilabili al nostro assetto costituzionale perché l’articolo 72 della Costituzione francese – vedi – dispone che le stesse possono essere modificate quanto a circoscrizioni e a funzioni con legge dello Stato. E’ sempre la legge (art 34 Cost.) che determina i principi fondamentali dell’autonomia degli Enti locali, delle loro competenze e risorse. Indubbiamente un sistema costituzionale in cui è prevalente lo Stato-organizzazione. Tuttavia, a dispetto dell’apparente centralismo e dirigismo, la rete dei rapporti fra Stato e Regioni, Stato Enti locali ed Enti locali fra loro è organizzata in forma concordata e tendenzialmente paritaria: infatti lo strumento di pianificazione adottato per l’attuazione delle politiche pubbliche e dei piani strategici nazionali é quello dei “contrat de plan” fra Stato e Regioni, previsto dalla loi n 82-653 del 29 luglio 1982 (vedi qui testo in italiano): sono questi dei veri e propri accordi fra Stato e singole Regioni, regolati nelle procedure da tale legge, finalizzati a dare corso alle politiche pubbliche nazionali, anche attraverso una diversa ripartizione delle reciproche competenze dello Stato centrale e degli enti territoriali, in deroga alle regole generali. Un ottimo strumento di applicazione del principio di sussidiarietà.
Riproduciamo per eventuali approfondimenti un rapporto di qualche anno fa – La public governance in Francia della collana “i quaderni del Formez“- ove sono illustrati con dovizia di particolari i contrat de plan (pag. 27), il principio di sussidiarietà e della devolution (pag. 43) , la governance interistituzionale Stato – Enti locali (pag. 25), fra Enti locali (pag 34) con l’Unione europea (pag. 39). Ci pare che la Francia, munita di una sano spirito pragmatico nel darsi le proprie regole normative, abbia realizzato un efficiente sistema di multilevel governance, nel quale tutte le istanze trovano voce; si badi bene, i Comuni francesi sono circa 37.000, il quadruplo dei comuni italiani, eppure un modello di governance esiste e funziona. Nulla a che vedere con le inutili declamazioni, i contenziosi continui, le gelosie e gli antagonismi che caratterizzano in Italia il rapporto fra Stato, Regioni ed Enti locali. Ai cittadini e alle imprese non interessa nulla su “chi” si debba fregiare della coccarda di gestore dei servizi pubblici: essi vogliono semplicemente che funzionino!
Governance pubblica in Francia
…Non siamo solamente noi a dirlo – circostanza in sé poco influente (vedi qui) – quanto esperti del calibro di Mauro Marè, Giampaolo Galli e Alessandra del Boca, la cui opinione viene ospitata sui giornaloni che contano, Sole 24 ore (vedi qui MARE’) e Corriere della Sera (vedi qui DEL BOCA): la “proposta Boeri” sul taglio delle alte pensioni in godimento, non solo è incostituzionale e antigiuridica (il che in uno Stato serio dovrebbe essere sufficiente per un immediato cartellino rosso), ma non risolve il problema della sostenibilità delle pensioni di chi oggi ha trenta o quarant’anni. Lo stesso Tito Boeri ha tenuto ieri ha lanciare l’allarme – atto in sé giusto e moralmente da apprezzare – affermando che, con l’attuale sistema, i giovani andranno in pensione a 75 anni con importi miseri – vedi qui.
E allora? Noi riprendiamo il filo di ragionamento di Boeri con una battuta (che non è poi tanto tale) e con un successivo ragionamento sulla questione della sostenibilità del sistema pensionistico . La “battuta” é la seguente: e se la vera copertura delle pensioni dei nostri figli risiedesse nel ritorno al principio della pensione retributiva? Lasciando la questione a migliori approfondimenti statistico-attuariali ed economico-politici, affermiamo tuttavia che il sistema contributivo garantisce nel tempo solo le fasce alte di retribuzione che saranno – al momento della cessazione dal servizio – le uniche ad aver garantito un trattamento di pensione adeguato. Sul punto, ricordiamo ai moralisti “à la carte” schieratisi contro le “pensioni d’oro” un fatto storico: la legge finanziaria del 2001 (Legge 388/2000, articolo 69, comma 6) bloccò in fretta e furia la facoltà di opzione fra sistema contributivo e sistema retributivo perché proprio gli alti dirigenti statali stavano esercitando in massa l’opzione al sistema contributivo, all’epoca prevista per tutti dall’articolo 1, comma 23 (vedi) della Legge Dini n. 335/1995 (per chi voglia approfondire suggeriamo la lettura le circolari INPS e INPDAP dell’epoca). Cosa vuol dire questo? Una cosa semplice: che il sistema retributivo, lungi dalle ciarlatanerie propugnate da molti “esperti”, favorisce (favoriva) solo i milioni di lavoratori con bassi redditi e periodi contribuzione intermittenti. Questo sia detto per la chiarezza concettuale.
Che poi il sistema retributivo così come congegnato dalle classi dirigenti della seconda repubblica fosse qualcosa di assolutamente insostenibile – soprattutto a motivo del fatto che consentiva fino a solo 10 anni fa di andare in pensione a 57 anni – è un fatto ugualmente incontrovertibile. Ma, allora, il nodo ancora da sciogliere non era e non è tanto la scelta fra sistema di liquidazione con il metodo di calcolo retributivo oppure contributivo, quanto quello della sostenibilità dell’intero sistema, cioè: “chi paga le pensioni?”. Anche su questo problema hanno la meglio le tesi dei confusi di testa e di spirito: credere e pensare che il nostro sistema di Stato sociale possa sostenere l’onere delle pensioni con i soli contributi – in presenza di una ormai altissima aspettativa di vita – é da stolti: é inevitabile pensare a un sistema pensionistico nel quale – come in moltissimi paesi quali ad esempio Svizzera e Olanda – sia introdotto uno zoccolo di finanziamento a carico della fiscalità generale. Non c’è alternativa a questa prospettiva ove non si voglia distruggere per i nostri figli il welfare state come lo abbiamo conosciuto e goduto finora.
In questo senso si tratta di uscire dal papocchio gestito da 30 anni in INPS (il riferimento specifico è all’articolo 37 della Legge n 88 del 1989 – vedi qui) che, confondendo fra “assistenza” e “previdenza”, garantisce apporti finanziari non trasparenti e non controllati ad alcune gestioni speciali e/o a “pezzi” di trattamenti pensionistici minimi. Si tratta di uscire da questo equivoco e regolare secondo idonee compatibilità finanziarie generali il pezzo di fiscalità generale da destinare alle pensioni.In questo senso ripubblichiamo uno studio dello scorso anno 2013 del MEFOP (Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione, partecipata a maggioranza assoluta dal MEF presieduta proprio dal sunnominato Mauro Marè) che ipotizza un criterio misto di sostenibilità finanziaria della previdenza basato su tre pilastri: uno di base alimentato dal sistema tributario, un secondo contributivo obbligatorio e un terzo dei fondi pensione, volontario (pag. 23 e segg. de “I pilastri delle pensioni” vedi qui sotto).
Giuseppe Beato
13 nov 2015 – Il tema del convegno di Avellino.
Pubblichiamo la registrazione video degli interventi dei partecipanti al Convegno tenutosi nei locali della Provincia di Avellino lo scorso 13 novembre 2015 sulla tematiche delle politiche pubbliche sul territorio e sulla coesistente necessità per le Amministrazioni pubbliche di “fare rete“, meglio, di applicare i principi di “sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione” previsti dall’articolo 118 della Carta costituzionale. Il prossimo numero di gennaio 2016 della nostra rivista on line “Nuova etica pubblica” sarà interamente dedicato a questi temi e farà tesoro dei contenuti emersi nel convegno.
Introduzione di Daniela Carlà, Direttrice della rivista “Nuova etica pubblica” – clicca qui.
Carlo Sessa, Prefetto di Avellino – clicca qui.
Serena Angioli, Assessore della Regione Campania per i fondi europei – clicca qui 1 clicca qui 2.
Antonella Ciaramella, Vice-presidente della “Commissione semplificazione” del Consiglio regionale della Campania – clicca qui.
Domenico Gambacorta, Presidente della Provincia di Avellino – clicca qui.
Relazione al convegno di Antonio Zucaro, Presidente dell’Associazione “Nuova etica pubblica” – clicca qui.
Dario Ciccarelli, Direttore della Ragioneria territoriale dello Stato di Avellino – clicca qui.
Agostino Della Gatta, Consigliere nazionale dell’Associazione Alberghi Diffusi – clicca qui.
Maria Luisa Palma, Direttrice della Casa circondariale di Benevento – clicca qui.
Sandro Mameli, Responsabile del Dipartimento Management della Scuola Nazionale dell’Amministrazione – clicca qui.
Gianluigi Mangia, Professore di Organizzazione aziendale all’Università “Federico II” di Napoli – clicca qui.
Conclusioni di Paolo De Joanna, Presidente dell’OIV del Ministero Economia e Finanze e consigliere del Presidente della Regione Campania – clicca qui 1 clicca qui 2 .
Il prossimo 25 novembre 2015 il dr. Vito Tenore, consigliere della Corte dei Conti, presenterà la terza edizione del “Manuale per il pubblico impiego privatizzato”. La presentazione nella sede della Scuola nazionale dell’Amministrazione sarà occasione per discutere di questioni non solo accademico-dottrinarie, ma anche di viva attualità.
SNA presentazione del Manuale del pubblico impiego privatizzato- 25novembre2015
Si chiama Giuseppe Migliore, ha 40 anni e opera al Villa Sofia di Palermo. E’ stato giudicato come com “miglior radialista dell’anno” dai migliori cardiologi del mondo della commissione internazionale riunitasi a Chicago furente il Congresso Aim Radial 2014 – Vedi articolo su Palemo today dello scorso ottobre 2014. Ci piace ricordarlo perché risultati di eccellenza dei singoli rimandano anche a un “contesto” di riferimento – il servizio sanitario in Italia- che avrà pure molte pecche, ma che rimane uno dei sistemi sanitari pubblici all’avanguardia nel mondo – Vedi qui il rapporto Bloomberg dello scorso anno.
Pubblichiamo il documento “apocrifo” del Presidente dell’INPS Tito Boeri, difficilmente reperibile sul sito dell’INPS per qualunque persona dotata di intelligenza media.
E’ un vero e proprio articolato di legge, con tanto di relazione illustrativa! Se il Governo è d’accordo – Renzi sta dalla parte di Boeri oppure da quella del suo Ministro del Lavoro? – è bella pronta per la Commissione lavoro della Camera! Peccato che un’idea in sé buona – il supporto ai 55enni privi di reddito e l’immissione di un reddito di garanzia – si traduca in una proposta di sistema di finanziamento incostituzionale: la proposta – vedi articolo 12 – è quella di riliquidare in pejus le pensioni già vigenti di importo uguale e superiore a 3.500 euro lordi (vedi commi 1 e 3) apportando una quota di riduzione “pari al rapporto tra il coefficiente di trasformazione relativo all’età dell’assicurato (vigente nel regime contributivo) e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età dell’assicurato al momento del pensionamento”, applicando (inoltre) – all’indietro negli anni – gli aggiustamenti automatici dell’aspettativa di vita. Al di là del tecnicismo astruso della proposizione legislativa, ciò significa che l’intervento non riguarda le pensioni di 5000 euro lordi, ma quelle pari e superiori ai 3500 euro lordi (i successivi commi 4 e 5 regolano solo gli aggiustamenti per pensioni da 3500 euro a 5000 euro e per pensioni da 5000 euro in su). La manovra è astuta e demagogica perché Boeri può affermare che verrebbero toccate le pensioni di “soli” 190.000 pensionati su un totale di 16 milioni e mezzo (vedi qui la distribuzione delle pensioni INPS per classi di reddito). La proposta non é solo anticostituzionale, ma profondamente “sovietica” perché colpisce selettivamente chi ha pagato contributi per decenni proporzionalmente – il riferimento è al grande numero di “carriere retributive piatte”- alle alte retribuzioni che percepiva: lo Stato infrangerebbe così un “patto previdenziale” scritto con norme di legge nel corso di 40 anni della sua storia. Solo intelletti profondamente distorti potevano concepire un simile vulnus ai principi elementari del diritto e alla certezza dei diritti soggettivi vigenti legittimamente acquisiti: oggi le pensioni più alte, domani, magari, i diritti di credito bancario o altri diritti tutelati per legge? Semplicemente folle. Risulta, inoltre, insopportabile e odioso il fatto che si accomunino le pensioni più alte ai vitalizi dei parlamentari che nulla hanno a che vedere con un rapporto previdenziale e che remunerano periodi di tempo, a volte brevissimi, di permanenza nella carica. In ultimo, osserviamo che sarebbe più equo e legittimo che il Presidente Boeri reperisse i danari necessari per il finanziamento di nuove prestazioni assistenziali, non andando a intaccare la previdenza pubblica, ma procedendo alla ricognizione di 94 miliardi di credito incerto che egli stesso ha denunziato esistere in INPS sei mesi fa davanti alla Commissione bicamerale di controllo sulle attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale – Clicca qui.
Di seguito la desolante lettura di questa “proposta”.
I dati che presentiamo di seguito non hanno lo scopo di costituire precisi riferimenti statistici, vista la latitanza di riferimenti istituzionali di sintesi: le fonti pubbliche di questo tipo di dati sono l’ISTAT (clicca qui), il conto annuale della PA (clicca qui) curato dalla Ragioneria generale dello Stato e le statistiche ARAN sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti (clicca qui); fonti complete quanto alla specificazione di aspetti diversi della realtà delle pubbliche amministrazioni italiane, ma che non danno conto della loro “consistenza complessiva” .
Astraendoci dalla collocazione temporale dei dati qui riportati, possiamo dire con buona approssimazione che le pubbliche amministrazioni italiane sono circa 10.000 (9.867 nell’anno 2010 secondo la sintesi curata all’epoca da ForumPa – vedi qui meglio): la quantificazione comprende presumibilmente, per quanto riguarda le AP regionali e locali, anche gli Enti pubblici regionali.
Il conto in questione, tuttavia, non tiene conto di un migliaio fra ASL e Strutture di ricovero pubblico (Vedi i dati del Ministero della salute – clicca qui) e delle Scuole pubbliche (in numero di 44.704 fra Scuole d’infanzia, scuole primarie e secondarie – Vedi qui statistiche ISTAT sulla scuola) che costituiscono “plessi” funzionali autonomamente organizzati: pertanto non sembra errato parlare di circa 55.000 fra amministrazioni e uffici pubblici con autonomia funzionale e finanziaria nel nostro Paese.
Vedi anche:
Numero e distribuzione dei Comuni italiani.
Numero dei dipendenti pubblici in Italia.
Distribuzione dei dipendenti pubblici per comparto e per Regione.
Elenco completo delle Amministrazioni pubbliche italiane.
ARAN: rapporto 2014 sulle retribuzioni medie dei pubblici dipendenti.
Distribuzione di genere dei dipendenti pubblici.
Nell’intervista concessa da Raffaele Cantone – Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione – al direttore de La Repubblica Ezio Mauro la polemica sul limite di utilizzo del contante spostato a 3000 euro ha affievolito l’attenzione su due altre affermazioni a nostro avviso di gravità molto maggiore. Con riguardo alle “società pubbliche” (cosiddette partecipate), Cantone ha affermato che esse sono “il vero disastro per la corruzione in Italia….sono state create come escamotage per trasferire gli affari a questi meccanismi”. Ma l’affermazione più pesante e incisiva di tutte è passata nel disinteresse completo dei più: Cantone ha affermato che “il post-tangentopoli ha prodotto norme che hanno finito per facilitare la corruzione. La più criminogena è la riforma del titolo V della Costituzione che ha spostato la capacità di spesa in zone sottratte al controllo: le rimborsopoli delle Regioni sono frutto di tutto questo”. Raffaele Cantone è uomo attento, preparato e avveduto e ciò trasforma in veri e propri macigni le sue affermazioni: Vedi qui da La Repubblica.it del 19 ottobre il testo integrale dell’intervista.
Registriamo che le affermazioni del Presidente dell’anti-corruzione corrispondono – diremmo al 100% – a quanto noi sosteniamo da sempre come Associazione da questo sito in ordine alle società partecipate (vera e propria “para-amministrazione” pubblica, in parte cospicua sottratte a qualunque controllo pubblico) e al vero e proprio smantellamento dei controlli esterni operato dall’abrogazione degli articoli 125 e 130 della Carta costituzionale vera, cioè quella scritta dai Padri costituenti nel 1946.
Chi voglia approfondire queste tematiche potrà cliccare su:
Lo scandalo delle società partecipate.
Roma mafia – Tre questioni di natura amministrativa.
Il sistema dei controlli di regolarità amministrativo contabile di Regioni e Comuni.
L’articolo di Lorenzo Mania su “la Repubblica Affari e finanza” dello scorso 5 ottobre 2015 fotografa con buona fedeltà la situazione delle relazioni e dei rapporti di forza attuali nel pubblico impiego.
Pubblico impiego: meno sindacati al tavolo
Il presente ha un cuore antico. Capire lo stato dei rapporti fra politica e dirigenza nel nostro Paese significa anche ripercorrere le varie fasi delle sue negative vicissitudini. Ciò che emerge dalla narrazione di 150 di storia dall’Unità d’Italia è sintetizzato dall’abstract dello scritto di Guido Melis, pubblicato sulla Rivista “Scienza e politica” – n. 50 del 2014:
” In Italia una specifica legislazione sulla dirigenza amministrativa è stata tardiva e la sua retorica si è rivelata in contraddizione con la traduzione pratica. Il rapporto della dirigenza con la politica è stato caratterizzato o da un’eccessiva distanza o da una patologica prossimità oppure da indifferenza rispetto ai fini delle politiche che avrebbe dovuto in-terpretare. La dirigenza amministrativa si è così auto-esclusa dalle élite nazionali e non c’è stata mai una sua reale mobilitazione negli ambiti decisionali del Paese.”
Invito al convegno del 15 ottobre 2015 sulla legalità, in occasione della presentazione dell’ultimo numero della Rivista “Nuova Etica Pubblica”, diretta da Daniela Carlà, con interventi di:
Paola Severino, Eugenio F. Schlitzer, Angelo Rughetti, Alberto Stancanelli
Vedi qui sotto:
Un convegno e le riflessioni che ne scaturiscono non possono certo mutare da soli le sorti della pubblica amministrazione italiana. Tuttavia, quando gli ospiti sono acuti pensatori, è garantito un risultato di crescita delle buone idee e un chiarimento comune per chi ragiona sui nodi di un problema irrisolto: potrebbe essere questa la sintesi dell’incontro organizzato dalla nostra Associazione “Nuova Etica Pubblica” con Guido Melis, uno dei massimi storici della pubblica amministrazione del nostro Paese, nella splendida sala parrocchiale di S. Maria degli Angeli a Roma lo scorso 16 settembre 2015.
Vedi qui gli interventi al convegno.
INTERVENTI AL CONVEGNO PER LA PRESENTAZIONE DEL TESTO DI GUIDO MELIS
I nostri lettori sanno che sovente ci allontaniamo dai temi specifici della pubblica amministrazione per occuparci di “cosa pensano gli Italiani degli Italiani”…..in effetti si parla di questioni sottilmente affini, perché generalmente dalla capacità di coesione di una nazione nascono amministrazioni pubbliche forti ed efficienti. Proseguiamo qui nella carrellata sui “giudizi su sé stessi”, richiamando l’ultima fatica editoriale di Giampaolo Pansa, uno dei protagonisti della nostra carta stampata, che da almeno 10 anni ha deciso di farsi beffe del “politically correct” preferendo la strada impervia, ma feconda, del “pensiero controcorrente” e della provocazione intellettuale. Con “Il sangue dei vinti” ha cercato di far traballere – “da ex di sinistra” – il mito della Resistenza (o meglio, il mito della Resistenza per quella parte di italiani – forse neanche maggioritaria – che questo mito ha sempre coltivato!!!). Con “l’Italiaccia senza pace” Pansa attacca un altro mito: quello del secondo dopoguerra come “epoca d’oro” di rinascita della democrazia e di slancio della società italiana. Tutto falso per Pansa: attraverso il filo conduttore della storia di una famiglia ebrea che cerca di scoprire il segreto della scomparsa del proprio padre, tradito e denunciato alla Gestapo da persone a lui vicine, e poi deportato ad Auschwitz, egli descrive l’ambiente di una provincia piemontese negli anni 1943-1949, delineando un affresco politico dominato da spietate lotte di parte, in cui “De Gasperi incontrò il ministro degli Esteri francese, Georges Bidault, e gli presentò una richiesta che da sola testimoniava l’ asprezza dello scontro. E ottenne che, in caso di sconfitta della Dc, la Francia avrebbe accolto come rifugiati politici tutti i dirigenti del suo partito, famiglie comprese”….ma lasciamo descrivere proprio a Giampaolo Pansa, perché l’Italia è un’Italiaccia nella prefazione del volume pubblicata dal quotidiano “il Giornale” dello scorso 10 settembre 2015 e ripresa dal sito Dagospia.
Per parte nostra, osserviamo con interessata curiosità il paralleo che Pansa traccia fra l’Italiaccia del ’46 e l‘Italiaccia di oggi, con un’aggravante ci pare: quello era un Paese distrutto e umiliato dalla guerra e, soprattutto, alla fine fu capace di fare le scelte giuste. Quello di adesso, invece, è un Paese forte economicamente, in grado di reggere qualunque sfida dal punto di vista delle intelligenze, della reattività costruttiva e della capacità di intraprendere, ma inaccettabilmente appesantito da un’amministrazione pubblica che dall’Unità non è mai stata “promotrice di sviluppo” ed è oggi incapace di fornire quelle infrastrutture di base (scuola, ricerca, trasporti, giustizia efficiente, fisco, sistema delle licenze pubbliche) che consentono agli altri Paesi di investire sulle proprie capacità e talenti. Colpa dei burocrati? Anche. Colpa dei politici? Sicuramente…Ma non è pure in ballo proprio quello “spirito” che Pansa qualifica come “l’Italiaccia” e che noi potremmo tradurre in “individualismo”, “insofferenza alle regole”, “corporativismo radicato nelle menti di tutti”, “egoismo sociale”, perdita di quello “spirito della comunità” e “misericordia”, alla quale ci richiama sempre Papa Francesco? Varrebbe la pena di riflettere con serenità su questo.
Gaimpaolo Pansa – Prefazione del libro “Italiaccia senza pace”
Roma e i romani non sono simpatici a molti, questo va detto per capire molte cose. Tuttavia, gli scandali, i disservizi, gli episodi a metà fra la farsa e il codice penale, fino alla tragedia del pedone ucciso a Piazza del Popolo – cioè in una zona che in qualunque metropoli europea sarebbe stata liberata dal traffico – tutti questi episodi hanno indotto il quotidiano della borghesia meneghina a “certificare”, attraverso la penna di Sergio Rizzo, il fatto che la questione romana non riguarda solo i romani, ma tutta l’Italia come Stato nazionale. Chissà, forse era necessaria la continua umiliazione della gente comune e normale di questa città perché un concetto così semplice fosse recepito nelle coscienze degli Italiani….
LA CAPITALE QUESTIONE NAZIONALE
Il Governo Renzi si sta dimostrando particolarmente attivo nel campo dell’informatica digitale. Ne sono prova, non solo le previsioni presenti all’articolo 1 della legge delega del pubblico impiego (che tuttavia appartengono sempre alla categoria della “legge come annuncio” della “legge- buone intenzioni” di cui notoriamente è lastricata la via dell’inferno) Continua a leggere
Un settore in cui il Governo si mostra particolarmente attivo è quello dell'”Italia digitale” – vedi qui sito Agid. Prima dei programmi in cantiere e in esecuzione, forniamo qui alcuni riferimenti statistici che descrivono alcuni grandi fenomeni attuali dell’Italia digitale.
Utilizzo – in % della popolazione – della tecnologia NGA per la rete fissa, che garantisce collegamenti a minimo 30 Mbps – clicca qui
Le slide nascono come utile strumento di sintesi di concetti e pensieri, presentato soprattutto nei corsi di formazione e nei convegni per chiarire e registrare al meglio il pensiero del suo autore. Con il governo Renzi, le slide hanno modificato la loro funzione originaria diventando la traduzione “in termini semplici” delle incomprensibili enunciazioni legislative, con un occhietto d’intesa alle persone, del tipo: “adesso ti spiego io semplicemente il vero significato delle leggi che i burocrati mi hanno scritto”. All’inizio magari funzionava, invece adesso risulta sempre più chiara la limitatezza di questo strumento che non va – né può andare – al di là delle semplici enunciazioni di principio e di buone intenzioni ….Peggio poi se chi critica i programmi governativi (nel caso che segnaliamo è la CGIL), crede di operare efficacemente opponendo altre slide sull’argomento con affermazioni altrettanto apodittiche e prive di argomentazione.
Riformapa – slide Presidenza del Consiglio
CGIL – Cos’è davvero la riforma MADIA
Invece, quando viene approvata una legge che avvia una grande politica pubblica, la collettività nazionale meriterebbe un approccio maggiormente rispettoso, garantito attraverso una procedura molto semplice: l’elaborazione di testi chiari e circostanziati – piani industriali o come meglio si vogliano definire – nei quali fossero evidenziati situazioni di partenza, gli obiettivi concreti perseguiti, il tempo previsto di realizzazione, le risorse finanziarie poste a disposizione e gli Organi dello Stato cui si demanda la regia dell’intero progetto. Ciò a beneficio, non solo dell’opinione pubblica, ma anche e soprattutto del Parlamento il quale, a sua volta, dovrebbe e potrebbe utilmente valorizzare le proprie funzioni di vigilanza politica sul Governo e sull’attuazione delle politiche pubbliche, che sono uno dei due cardini della propria attività (insieme a quello di produzione normativa).
Invece, il contenuto e l’applicazione futura delle leggi fondamentali, da una parte, vengono ridotti a dichiarazioni da bar dello Sport (con il massimo rispetto per i bar dello sport dove si conoscono e si discutono assai meglio le materie trattate), dall’altra parte vengono rinviati all’emanazione futura di mitici “decreti delegati” che, regolando giuridicamente tutta la materia, saranno la grande levatrice delle riforme attese.
Il fenomeno delle mancate riforme é soprattutto il frutto, più che di debolezze dei contenuti, di un infelicissimo approccio a un qualsivoglia metodo di organizzazione ed applicazione delle politiche pubbliche previste nelle leggi di riforma approvate in Parlamento.
Secondo un’indagine effettuata dall’Associazione Openpolis – vedi qui l’articolo completo – fra le 15 città più grandi d’Italia, Roma ha la spesa pro capite per i rifiuti (€ 303 a cittadino) più alta d’Italia, pari a quasi il doppio della media delle 15 città monitorate (€ 164 a cittadino). L’articolo precisa anche, a scanso di equivoci, che i dati di Openbilanci riguardano solamente i bilanci dei Comuni, non includendo quindi eventuali budget di partecipate a cui l’amministrazione affida la gestione dei rifiuti. Sarebbe interessante sapere a questo punto se nella spesa pro capite da loro calcolata per la città di Roma siano incluse o meno le bollette pagate dai cittadini romani direttamente all’AMA…….
In ogni caso per cittadini della Capitale un altro motivo d’orgoglio e di soddisfazione……