Pubblichiamo il link al sito del Partito Radicale, contenente la registrazione audio della giornata di studio organizzata dall’Università “Roma Tre” in occasione degli 80 anni del prof. Sabino Cassese.
Programma-convegno-80 anni di Sabino Cassese
Pubblichiamo il link al sito del Partito Radicale, contenente la registrazione audio della giornata di studio organizzata dall’Università “Roma Tre” in occasione degli 80 anni del prof. Sabino Cassese.
Programma-convegno-80 anni di Sabino Cassese
I dati che presentiamo di seguito non hanno lo scopo di costituire precisi riferimenti statistici, vista la latitanza di riferimenti istituzionali di sintesi: le fonti pubbliche di questo tipo di dati sono l’ISTAT (clicca qui), il conto annuale della PA (clicca qui) curato dalla Ragioneria generale dello Stato e le statistiche ARAN sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti (clicca qui); fonti complete quanto alla specificazione di aspetti diversi della realtà delle pubbliche amministrazioni italiane, ma che non danno conto della loro “consistenza complessiva” .
Astraendoci dalla collocazione temporale dei dati qui riportati, possiamo dire con buona approssimazione che le pubbliche amministrazioni italiane sono circa 10.000 (9.867 nell’anno 2010 secondo la sintesi curata all’epoca da ForumPa – vedi qui meglio): la quantificazione comprende presumibilmente, per quanto riguarda le AP regionali e locali, anche gli Enti pubblici regionali.
Il conto in questione, tuttavia, non tiene conto di un migliaio fra ASL e Strutture di ricovero pubblico (Vedi i dati del Ministero della salute – clicca qui) e delle Scuole pubbliche (in numero di 44.704 fra Scuole d’infanzia, scuole primarie e secondarie – Vedi qui statistiche ISTAT sulla scuola) che costituiscono “plessi” funzionali autonomamente organizzati: pertanto non sembra errato parlare di circa 55.000 fra amministrazioni e uffici pubblici con autonomia funzionale e finanziaria nel nostro Paese.
Vedi anche:
Numero e distribuzione dei Comuni italiani.
Numero dei dipendenti pubblici in Italia.
Distribuzione dei dipendenti pubblici per comparto e per Regione.
Elenco completo delle Amministrazioni pubbliche italiane.
ARAN: rapporto 2014 sulle retribuzioni medie dei pubblici dipendenti.
Distribuzione di genere dei dipendenti pubblici.
Nell’intervista concessa da Raffaele Cantone – Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione – al direttore de La Repubblica Ezio Mauro la polemica sul limite di utilizzo del contante spostato a 3000 euro ha affievolito l’attenzione su due altre affermazioni a nostro avviso di gravità molto maggiore. Con riguardo alle “società pubbliche” (cosiddette partecipate), Cantone ha affermato che esse sono “il vero disastro per la corruzione in Italia….sono state create come escamotage per trasferire gli affari a questi meccanismi”. Ma l’affermazione più pesante e incisiva di tutte è passata nel disinteresse completo dei più: Cantone ha affermato che “il post-tangentopoli ha prodotto norme che hanno finito per facilitare la corruzione. La più criminogena è la riforma del titolo V della Costituzione che ha spostato la capacità di spesa in zone sottratte al controllo: le rimborsopoli delle Regioni sono frutto di tutto questo”. Raffaele Cantone è uomo attento, preparato e avveduto e ciò trasforma in veri e propri macigni le sue affermazioni: Vedi qui da La Repubblica.it del 19 ottobre il testo integrale dell’intervista.
Registriamo che le affermazioni del Presidente dell’anti-corruzione corrispondono – diremmo al 100% – a quanto noi sosteniamo da sempre come Associazione da questo sito in ordine alle società partecipate (vera e propria “para-amministrazione” pubblica, in parte cospicua sottratte a qualunque controllo pubblico) e al vero e proprio smantellamento dei controlli esterni operato dall’abrogazione degli articoli 125 e 130 della Carta costituzionale vera, cioè quella scritta dai Padri costituenti nel 1946.
Chi voglia approfondire queste tematiche potrà cliccare su:
Lo scandalo delle società partecipate.
Roma mafia – Tre questioni di natura amministrativa.
Il sistema dei controlli di regolarità amministrativo contabile di Regioni e Comuni.
Pubblichiamo la recentissima Sentenza n 4641 del 13 ott 2015 della IV sezione del Consiglio di Stato che – su ricorso dell’Associazione Dirpubblica e capovolgendo il precedente giudizio di merito del T.A.R. Lazio – ha ordinato all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, all’Agenzia delle Entrate e al Ministero dell’economia e delle Finanze di provvedere all’adozione del “Sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa” entro 180 giorni dalla notificazione della sentenza, salva la nomina di un Commissario ad acta in caso di ulteriore inadempimento. Piove sul bagnato per le agenzie governative! Dopo la Sentenza della Corte costituzionale n 37/2015 che ha travolto un meccanismo illegittimo di preposizione dei dirigenti in vigore da lustri, ora esse vengono duramente “bacchettate” in ordine all’omessa attuazione dell’articolo 7 – vedi – del d. lgs n 150/2009 (“riforma Brunetta” do you remember?), cui si doveva dar corso entro il 31 dicembre dell’anno 2010 (successivo articolo 16, comma 3).
Di fronte all’inadempimento di alcune amministrazioni pubbliche, rilevato e condotto a soluzione solo attraverso una Sentenza di 2° grado (che fa da contrappunto negativo allo zelo di altre amministrazioni – quali l’INPS che nello stesso periodo ha prodotto due provvedimenti in materia, dei quali il secondo “in via sperimentale” – si vedano le due determinazioni presidenziali del 2010 -clicca qui e del 2015 – clicca qui ), la domanda da porci in conseguenza è: cosa hanno fatto tutte le altre Amministrazioni pubbliche sul punto? Hanno adempiuto? L’articolo 16 della Brunetta prescriveva l’obbligo per Regioni ed Enti locali di adeguare i propri ordinamenti all’obbligo in questione…… E i Ministeri, hanno adempiuto? Il MEF pare proprio di no….Esiste un soggetto pubblico operativo realmente funzionante che gestisca il monitoraggio di queste cose? Il Dipartimento funzione pubblica, “erede” delle funzioni che il d. lgs. 150 aveva demandato alla soppressa CIVIT fa qualcosa sul punto? Insomma, “siamo vincoli o sparpagliati?”, direbbe Peppino De Filippo.
Al di là della facile battuta, ci sembra qui necessario richiamare l’attenzione sulla scarsissima capacità delle leggi sulla PA emanate negli anni scorsi di innescare veri processi di innovazione nelle Pubbliche Amministrazioni. La previsione di adempimenti che devono coinvolgere le circa 10.000 amministrazioni pubbliche in cui si articola il nostro ordinamento amministrativo richiedeva e richiede robuste azioni di implementazione in fase di attuazione, programmi, tempi d’attuazione e organi all’uopo deputati. Altrimenti le prescrizioni di legge sono destinate a rimanere inattuate, come le classiche “gride” del Ducato di Milano nel XVII secolo raccontate da Alessandro Manzoni. Le disposizioni sulla pubblica amministrazione “diluviano”, ma sono poco o nulla rispettate e attuate. Sarà questo il destino anche della recente Legge n 124/2015? (vedi qui)
Il recentissimo Government at a Glance 2015, pubblicazione biennale dell’OCSE con le statistiche del settore pubblico dei Paesi aderenti – vedi qui – ci offre una fotografia aggiornata della distribuzione di genere in quattro settori: 1. occupazione complessiva di ciascun Paese; 2. Occupazione nelle pubbliche amministrazioni; 3. Quote di genere negli eletti al parlamento; 4. donne Ministro nei governi in carica nell’anno 2015.
Ne emerge un quadro significativo che conferma quanto già noto, ma segnala anche una posizione di avanguardia italiana fra i Paesi OCSE nell’ambito della rappresentanza politica: il dato più importante riguarda l’occupazione totale femminile che vede le donne italiane sotto media (41,6 % degli occupati, contro il 45,3 % della media OCSE, ben al di sotto del 49,3 % dell’Estonia, del 47,9 % della Francia e del 46,5 % di Gran Bretagna e Germania); la proporzione di genere è diversa fra gli occupati nel pubblico impiego dove le donne sono in Italia il 55,9 % del totale: pur essendo in questo ambito maggioritaria la quota di occupazione femminile italiana, tuttavia questa è comunque sotto alla media OCSE (58 %) e molto al di sotto di altri Paesi avanzati (71,8 % in Svezia, 65,9 % in Gran Bretagna, 62,3 % in Francia).
Sono, invece, di segno completamente diverso i dati della distribuzione di genere in Parlamento e come responsabilità ministeriale. Il dato è qui che la rappresentanza di genere femminile in Parlamento é del 31% sul totale, sempre sotto il livello di Svezia, Spagna, Finlandia, Olanda e Danimarca, ma sopra la media OCSE (27,8 %) e, significativamente, sopra la Francia (26,2 %) la Gran Bretagna (22,8 %) e gli Stati Uniti (19,4 %). La tabella delle percentuali qui sotto (vedi) evidenzia anche il fatto che in Italia la presenza femminile in Parlamento è lievitata del 21% negli ultimi 13 anni dal 2002 ad oggi (dal 9,8 % al 31%). Ma il dato più eclatante riguarda la percentuale di donne Ministro nei governi OCSE: qui l’Italia si colloca sul range dei Paesi “più avanzati” con il 43,8 % di presenze femminili ( 35% circa in più rispetto all’8,3% di solo 10 anni fa), ben al di sopra della media OCSE (29,3 %), ma anche di altri Paesi quali Germania, Spagna, Danimarca, USA, Belgio, Gran Bretagna.
Su tutti e quattro gli indicatori si osservano, comunque, dati percentuali in incremento rispetto alle medie degli anni passati: segno chiaro che qualcosa, nonostante tutto , si muove nel verso giusto.
OCCUPAZIONE: distribuzione di genere da “Governement at a glance 2015”
PARLAMENTI E GOVERNI – quote di distribuzione di genere da “Governement at a glance 2015”
Tabella di distribuzione di genere nei Parlamenti OCSE
Vedi anche altre statistiche di genere – Il talento femminile nella Pubblica Amministrazione.
L’ EU.R.E.S, centro di ricerche economiche e sociali, ha pubblicato oggi un rapporto sui “Profili e dinamiche della corruzione a Roma e nel Lazio“– clicca qui per leggere il rapporto.
Risultano commessi nello scorso anno 2014 3.828 i reati contro la PA: Denunciate/arrestate, n 9.691 persone. I reati censiti nello stesso anno 2014 sono così distribuiti territorialmente:
Nord: 25,7 % del totale nazionale,
Centro: 18,5 % del totale nazionale,
Sud: 55,9 % del totale nazionale.
Nella sola Provincia di Roma, i reati contro la Pubblica Amministrazione sono aumentati dall’anno 2009 al 2014 dell’84%, mentre risulta costante nel periodo la frequenza rilevata nelle alte province. Sempre nella provincia di Roma, é il reato di corruzione “in senso stretto” a registrare, sempre a Roma e provincia, il picco più alto di incremento: un aumento del 422% dal 2009 (a fronte di un aumento medio del 113% in Italia). Seguono in graduatoria i reati di “abuso d’ufficio“, “peculato” e “omissione o rifiuto di atti d’ufficio“.
Vedi anche il commento dell’ ANSA 16 ottobre 2016 – dal 2009 corruzione quadruplicata a Roma.
Di nostro aggiungiamo, da romani quali siamo, che il fenomeno corruzione non può essere più ascritto ai soli “politici”, ma che si registra una preoccupante faglia di pervasività di comportamenti immorali nel cuore della società civile …….allora diciamo pure: per essere Capitale d’Italia non basta essere pronipoti di Romolo e Remo: bisogna meritarselo.
Il recentissimo “Government at a glance 2015” – vedi qui – recante i dati sulle attività pubbliche dei Paesi aderenti, contiene fra le moltissime informazioni anche i dati relativi agli investimenti pubblici (pagine 135 e segg). Evidenziamo qui le tabelle relative alle percentuali degli investimenti pubblici sul Pil nazionale e le percentuali di investimenti pubblici sul totale della spesa pubblica nell’anno 2013. La percentuale media OCSE di ciascuno dei due indicatori é il 13% del PIL per il primo, e il 29% del tonale della spesa pubblica per il secondo. In tutti e due gli indicatori i sistemi pubblici che più investono sono quelli dell’Olanda, della Corea del Sud, della Finlandia della Svezia e del Giappone.
E l’Italia? Il nostro Paese si colloca al settultimo posto per la percentuale sul PIL – 10,7% e al terzultimo posto, davanti a Portogallo e Grecia, per la percentuale – 20,9% – sul totale della spesa pubblica. Sono dati che colpiscono in tutta la loro evidenza. Se poi avviciniamo questi dati alle posizioni dell’Italia nella classifica della corruzione – vedi qui l’allegato-Italia-2014 della relazione della Commissione europea sulla lotta alla corruzione – diventa egualmente intuitivo valutare la qualità della scarsa spesa destinata agli investimenti pubblici.
Un’ultima annotazione che va data senza ulteriori commenti: la stessa tabella OCSE sugli investimenti pubblici – vedila qui sotto – indica l’Italia come uno dei Paesi in cui è maggiore la quota di investimenti gestiti a livello locale. Questo il dato.
Investimenti pubblci da governement at a glance 2015
140 milioni di deficit nel bilancio ATAC del 2014, che si aggiungono ai deficit registrati negli anni precedenti (vedi qui sotto). Le imprese di ricambi e di consulenza si rifiutano di vendere i loro servizi perché non rientrano i crediti per i servizi precedenti, con il risultato che 850 vetture su 2300 non escono più in strada. Un debito complessivo di 353 milioni verso i creditori. Gare per la fornitura di nuovi mezzi andata deserta perché le banche si rifiutano di finanziare i fornitori, ritenendo l’ATAC non affidabile. L’azienda incassa la metà dei biglietti rispetto dell’ATM di Milano: a proposito, che fine ha fatto l’indagine del 2013 sui biglietti clonati? Tutti ancora al loro posto? vedi qui: gestione fuori bilancio degli incassi.
Vedi gli approfondimento pubblicati su La Repubblica.it del 12 ottobre 2015 – clicca qui
“Amministrazioni parallele”: questo il modo di raffigurare la pubblica amministrazione italiana utilizzato dallo storico Guido Melis nel suo indimenticato saggio del 1988 (vedi qui “Due modelli di Amministrazione fra liberalismo e fascismo“): era la fotografia di un Paese che non riusciva, dall’Unità d’Italia in avanti, a configurare un modello omogeneo di governance degli uffici pubblici condiviso da tutti – politica, operatori dell’Amministrazione pubblica e cittadini. Continua a leggere
Nemo propheta in patria. Sperando che l’adagio non valga per la genialità di Renzo Piano, riproponiamo le sue idee e il suo lavoro di Senatore per riqualificare l’ambiente delle grandi città italiane, iniziando da Roma. Sono in “cantiere” anche proposte concrete di avvio di politiche pubbliche finanziate.
“E ora salviamo le nostre periferie” – Intervisa a “il Foglio” del marzo 2014
La rigenerazione delle periferie per un nuovo Rinascimento italiano
Non bisogna essere ossessionati dal “mito” delle startup, ma occorre allargare lo sguardo e sviluppare un ecosistema innovativo nel quale le imprese appena nate riescano a crescere attraverso un’interazione tra investimenti pubblici e privati. E scriverlo è Mariana Mazzucato che ha approfondito nel suo testo “Lo Stato innovatore” – vedi qui – il ruolo degli investimenti pubblici nello sviluppo dell’economia digitale. Citando gli esempi della Gran Bretagna, ella conclude che non devono essere enfatizzate le startup o gli imprenditori in quanto tali, ma l’ecosistema innovativo entro il quale operano e dal quale dipendono…..tutti discorsi – comunque – “in arabo” rispetto all’Italia, paese in cui gli investimenti pubblici sono in caduta libera (vedi qui).
Vedi qui la sintesi dell’articolo pubblicato sull'”Economist” nel marzo 2014
L’articolo di Lorenzo Mania su “la Repubblica Affari e finanza” dello scorso 5 ottobre 2015 fotografa con buona fedeltà la situazione delle relazioni e dei rapporti di forza attuali nel pubblico impiego.
Pubblico impiego: meno sindacati al tavolo
Forse la gestione del Comune di Roma – non solo quella recente – costituisce la “summa” di tutto ciò che un’amministrazione pubblica non deve essere. Riportiamo, per memoria futura, i “fondi” più caustici e pungenti – di Francesco Merlo e di Giuliano Ferrara – in occasione delle dimissioni del Sindaco Marino, nonché una lettera dell’anno 2002 inviata al chirurgo Ignazio Marino dall’Università di Pittsburgh in seguito ad altre sue dimissioni.
Merlo – La sporcizia del candore, da “La Repubblica” del 9 ott 2015
Ferrara: Quelli che hanno votato Marino, da “Il Foglio” del 9 ott 2015
Dimissioni Marino Ospedale Pittsburgh 2002
L’appellativo di “Dracula” dipinto sul volto di Vincenzo Visco appare ingeneroso: per il passato, nel quale si possono ascrivergli interventi di razionalizzazione del sistema fiscale italiano, e per il presente nel quale dal suo sito http://www.nens.it/ e dalle pagine dei giornali avanza idee che meriterebbero almeno un’attenta riflessione.
Riportiamo qui le sue osservazioni in ordine all’evasione IVA nel nostro Paese (un terzo del gettito dovuto per circa 40 miliardi di euro), pubblicate sul Sole 24 ore di ieri 7 ottobre 2015: vi sono descritte le vicende parlamentari collegate alla proposta di “eliminare tutte le comunicazioni telematiche oggi esistenti e anche i registri dell’IVA, sostituendoli con l’obbligo per tutti i contribuenti dell’invio telematico al fisco dei dati delle fatture emesse rilevanti ai fini fiscali“. La proposta in questione è a sua volta collegata a un rapporto pubblicato dallo stesso Nens nello scorso anno 2014 – vedi qui il rapporto in questione – sull’intera tematica delle riscossioni IVA.
Vincenzo VISCO – SOLE 24 ore 7 ott 2015
Nel momento in cui il dibattito sulla condizione dell’Italia meridionale ritorna all’attenzione dei più – vedi qui Rapporto SVIMEZ 2015 sul Mezzogiorno d’Italia , continua a sfuggire all’attenzione della politica la circostanza fondamentale secondo cui l’efficienza della Pubblica Amministrazione è condizione primaria perché possa essere avviata una qualunque politica pubblica nazionale per la risoluzione dei mille problemi sociali ed economici che la metà del nostro Paese ancora incontra sul suo commino. In questa ottica, lo smantellamento in corso di FormezPA previsto dall’articolo 20 del DL n 90/2014 in Legge n 114/2014 – vedi – costituisce la peggiore risposta che si possa dare. Formez PA è – in termini di conoscenze, relazioni e processi di sviluppo – un punto di riferimento consolidato per centinaia di amministrazioni pubbliche.
Invitiamo pertanto tutti a firmare la petizione che chiede lo “STOP ALLA CHIUSURA DELLA SEDE DI NAPOLI DI FORMEZPA“
clicca qui per conoscere i termini della questione e per FIRMARE LA PETIZIONE.
Sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) – sono presenti informazioni di sintesi e grafici illustrativi sull’economia italiana ed europea, presentati utilizzando i dati pubblici di organismi ufficiali nazionali e internazionali (Istat-Eurostat, Banca d’Italia, OCSE, FMI) e associandoli alle previsioni economiche del Governo come contenute nel Documento di economia e finanza.
VEDI QUI AGGIORNAMENTO AL 25 SETTEMBRE 2015
Presentiamo le slide illustrative – a cura dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Taranto – del corso base per lo studio della “Revisione negli Enti locali”
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La recente condanna penale di Franceso Mengozzi, ad di Alitalia dal 2001 al 2004 e di Giancarlo CIMOLI, Presidente e ad dal 2004 al 2008 – vedi qui – rispettivamente a 5 e 8 anni di reclusione e al risarcimento alle parti civili di 355 milioni di euro derivanti dal reato di bancarotta induce a qualche riflessione su una parte di storia industriale del nostro Paese.
Va ricordata, innanzi tutto, la natura giuridica “bifronte” che ha avuto Alitalia, la sua dirigenza e il suo personale fino al 2008, quando è fallita: azienda formalmente privata, ma pienamente in mano pubblica (azionista unico il MEF), una “partecipata” si dice oggi. Questa modalità di governance – che ebbe momenti di vera “gloria” nell’IRI di Alberto Beneduce e nei tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale – entrò in crisi profonda negli anni ’80, quando i vecchi “enti pubblici economici” che la componevano divennero terreno di caccia di vere e proprie scorribande politiche, nonché collettori di tangenti e di malaffare. Le privatizzazioni degli anni ’90 e la modifica della loro natura giudica in “aziende private” di proprietà dello Stato non mutò in molti casi la sostanza di queste storture: rimase nel management, nei sindacati, nel personale e, naturalmente, nei politici l’idea di fondo che le risorse dello Stato avrebbero comunque garantito la sopravvivenza dell’azienda, delle sue storture organizzative e dei suoi privilegi (vedi in questo senso l’illuminante ricostruzione di Alberto Statera su “La Repubblica” del 30 sett 2015 e un’altra completa ricostruzione dell’epoca sulla cattiva gestione pubblica – vedi qui). Con la proterva sicurezza di tutti i players all’epoca in campo che “oggi va bene così” e al domani ci avrebbe comunque pensato qualcun altro. Il risultato, a tutto il 2008 – anno del fallimento – fu un costo per l’erario di 13 miliardi di euro – fra capitalizzazioni e debiti ripianati – dall’anno 1989 in cui fu quotata in borsa fino al 2007, un deficit da ripianare a tutto il 2008 di 3 miliardi di Euro (sui quali la Procura ella Corte dei Conti – non a caso giudice patrimoniale e contabile delle società private finanziate dallo Stato – ha instaurato nel 2013 causa per danno erariale – vedi qui), 7000 esuberi su 20.000 dipendenti dell’epoca, tradottisi in spesa aggiuntiva per ammortizzatori sociali per circa 1,2 miliardi di euro (vedi articolo di Tito Boeri su La Repubblica.it del 2 gen 2009).
I fatti successivi sono noti: 1) nel 2008, rottura del patto con Air France KLM – già approvato dal cda – col quale quest’ultima si accollava tutti i debiti dell’azienda e prevedeva solo 1.300 esuberi attraverso un piano che non rinunciava alle rotte intercontinentali, come poi avvenuto, ma puntava a un’integrazione delle tre “case madri” su un programma di presenza globale su tutte le rotte internazionali; 2) difesa “dell’italianità” di Alitalia attraverso la costituzione di un’azienda privata – La CAI Alitalia – affidata a imprenditori privati “patrioti” guidati da Roberto Colannino,Giancarlo Elia Valori, Salvatore Ligresti, Francesco Bellavista Caltagirone, Emilio Riva, con acquisizione di tutte le risorse della vecchia Alitalia, che fu lasciata fallire (vedi su queste vicende gli articoli de La voce.info) ; 3) misero fallimento della vicenda CAI – vedi riepilogo nell’articolo di Oscar Giannino del 14 apr 2014 – conclusosi con la cessione nel 2014 del 49% della proprietà alla Ethiad, compagnia degli emirati arabi con sede ad Abu Dabhi. Con buona pace dell”italianità” sbandierata 5 anni prima.
Recitano in questo dramma trentennale troppe figure di dirigenti pubblico/privati di primo piano perché ciò non faccia sorgere seri dubbi sulla qualità complessiva di un’intera generazione di top manager ( come non ricordare i casi Parmalat, Cirio e la stessa FIAT, sull’orlo del fallimento prima dell’arrivo dall’italo-canadese Marchionne). Ne escono malissimo anche i sindacati, persi nella difesa dell’esistente, senza “se” e senza “ma”. Domina su tutto una politica miope, che punta su personaggi impresentabili (Giancarlo Cimoli, quando fu nominato a.d. Alitalia, era reduce da una pessima gestione delle Ferrovie dello Stato). Tuttavia, l’aspetto più significativo di questa, come di altre vicende consimili, ci pare il continuo colludere fra politici e manager di fiducia, con un incrocio di patti nascosti e di favori che tutto hanno garantito, fuorché la tutela dell’interesse generale del Paese. Ci pare necessario evidenziare questo aspetto in un frangente nel quale il “modello ideale” del manager pubblico viene proposto da troppi critici come fedele riproduzione del manager privato (vedi qui di Carlo Mochi Sismondi “Una dirigenza a rischio?”), legato al suo “capo” solo da legami fiduciari e portatore di sole “capacità manageriali“. Invece, proprio la storia di tanti manager “bifronte” pubblici/privati ci dovrebbe insegnare che un legame politica/dirigente basato sul solo rapporto fiduciario si traduce quasi sempre nelle aziende pubbliche (oppure private ma di proprietà pubblica) nell’affievolimento dei meccanismi di garanzia della tutela dell’interesse generale della collettività.
La riproposizione – su cui sempre insistiamo – del modello di una dirigenza di carriera come schema ineludibile di salvaguardia e garanzia degli interessi della collettività, tuttavia, non esime – ci pare- la dirigenza pubblica italiana da alcune severe autocritiche: esce vergine la dirigenza pubblica di carriera dalle tante brutte storie di quest’Italia della seconda Repubblica? Sicuramente no: anche a prescindere da singoli fatti eclatanti di malaPA emersi negli anni, il dato forte che emerge è che la dirigenza pubblica è stata in questi vent’anni assente e silente nel suo complesso rispetto agli eventi che si susseguivano, in ciò rinunciando a quel dovere di testimonianza, di critica e di propositività che attiene a un ceto dirigente che voglia qualificarsi come tale. La dirigenza pubblica non ha fatto sentire la sua voce, come uno dei ceti dirigenti del Paese. Forse i singoli si sono adagiati anch’essi sulla mera salvaguardia del personale e dell’esistente, senza ritenere necessaria e imprescindibile l’espressione comune di un pensiero su ciò che è giusto per il Paese e per la sua Pubblica Amministrazione. Forse in parecchi sono stati troppo distratti dalle proprie vicende personali e dai problemi del “giorno per giorno” per essere poi in grado di far sentire la propria voce in modo unitario come ceto dirigente. Questo ci pare il vero errore. E, nei fatti storici come nella vita, gli errori alla lunga si pagano sempre e in modo spesso salato.
Giuseppe Beato
Pubblichiamo il testo del Decreto del Ministro per la semplificazione e la Pubblica amministrazione del 14 settembre 2015, registrato dalla corte dei Conti, sui criteri per l’attuazione delle procedure di mobilità riservate al personale dipendente degli Enti pubblici di vasta area dichiarato in soprannumero (articolo 1, commi 423,424, e 425 della Legge n 190 del dic 2014).
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Pubblichiamo, per utilità di studio e sintesi, le slide predisposte dal prof. Mario Collevecchio per il seminario anticorruzione organizzato dalla Lega delle Autonomie lo scorso 4 febbraio 2013.
Seminario Anticorruzione_ Slide Collevecchio