All’inizio dell’era industriale, la maggior parte dei costi sostenuti da un’impresa erano quelli che i ragionieri moderni chiamano “costi variabili” perché variavano direttamente con la quantità di produzione. Il denaro veniva speso per la lavorazione, per le materie prime, per l’energia di gestione della fabbrica, ecc. in proporzione diretta alla produzione. I manager potevano semplicemente sommare i costi variabili per un prodotto e utilizzarli come linee guida approssimative per i processi decisionali.
I costi che tendono a rimanere invariati anche durante l’alta stagione vengono chiamati “costi fissi”, a differenza dei già citati “costi variabili”, che aumentano e diminuiscono in proporzione al volume di lavoro. Nel tempo, questi “costi fissi” sono diventati fondamentali per le imprese.
Esempi di costi fissi possono essere:
– l’ammortamento di impianti e attrezzature;
– costo del lavoro;
– costo di manutenzione;
– controllo della produzione e degli acquisti;
– controllo qualità;
– stoccaggio e movimentazione;
– supervisione e ingegneria degli impianti.
All’inizio del diciannovesimo secolo, per la maggior parte delle imprese questi costi erano considerati di scarsa importanza. Tuttavia, grazie alla crescita delle ferrovie, dell’uso dell’acciaio e della produzione su larga scala, verso la fine del diciannovesimo secolo essi divennero più importanti dei costi variabili di un prodotto, tanto che identificarli con la varia gamma di prodotti offerti sul mercato avrebbe portato sicuramente a decisioni sbagliate.
In seguito all’espansione della tecnologia industriale e delle metodologie di direzione aziendale sorge, pertanto, l’esigenza di classificare e distribuire i costi aziendali in relazione alla loro varia incidenza sui diversi prodotti venduti.
GUIDA SINTETICA SULLA CONTABILITA’ ANALITICA