Esiste per l’Italia un pericolo ben maggiore del non ricevere danari dall’Europa ed e’ quello di ottenerli per poi non saperli spendere. Ipotesi quest’ultima molto più’ frustrante ma, ad oggi, più’ realistica.
L’Italia, in esito a un indubbio successo politico nazionale, ha oggi a disposizione circa 208 miliardi di euro (a tacere degli altri 38 disponibili a titolo di Meccanismo Europeo di Stabilita’). Essi sono il frutto di trattative serrate avvenute negli ultimi mesi fra i Paesi UE e conclusesi con gli accordi dello scorso 21 luglio (vedi qui il documento finale). Sono stati previsti ben 750 miliardi di Recovery bond, da reperire sui mercati finanziari e da porre a disposizione dei Paesi europei maggiormente colpiti dal COVID 19. Di questi, 360 mld saranno distribuiti attraverso operazioni creditizie e ben 390 mld saranno sovvenzioni a fondo perduto. Un indubbio successo italiano. L’Italia peraltro fa la parte del leone potendo attingere fra i 27 Paesi UE a un quarto abbondante delle risorse comunitarie previste.
Dov’e’ allora il pericolo? Il pericolo c’e’ ed e’ mortale: esso consiste nella scarsa o nulla capacita’ di spesa che l’Italia ha dimostrato di avere nella gestione dei fondi strutturali europei nel corso degli ultimi 15 anni (vedi qui cosa sono, come sono ripartiti e come funzionano). Basti pensare che, su una cifra di finanziamenti nettamente inferiore stanziata in bilancio UE per gli anni 2014/2020 – 44,6 mld a titolo di risorse UE e 31 mld a titolo di risorse nazionali per un totale di 76 miliardi di euro stanziati 7 anni fa – la Corte dei Conti in una relazione dello scorso maggio 2020 a cura del Presidente della Sezione di Controllo degli affari comunitari e internazionali ( vedi qui intesto integrale) ha quantificato nel 21,6 % i pagamenti effettuati in Italia (pag. 5) in relazione all’entità’ dei finanziamenti inizialmente programmati (53 miliardi di euro, cifra a sua volta fortemente dimensionata rispetto al finanziamento di 76 miliardi a disposizione – si veda anche la relazione integrale della Sezione di controllo ).
Ciò’ significa che il Governo centrale, le Regioni, le Autonomie locali e le Amministrazioni pubbliche italiane non sono stati in grado di programmare gli interventi, di coordinarsi fra loro e di dare attuazione a progetti infrastrutturali e grandi opere, di cui quei finanziamenti europei costituivano una preziosa occasione di realizzazione. Lo stato fallimentare della capacita’ gestionale di spesa dei finanziamenti europei viene in evidenza anche in occasione dell’utilizzo dei fondi europei per la collocazione lavorativa dei NEET (vedi qui il Progetto Garanzia Giovani). Non esistono oggi elementi di realtà’ istituzionale che inducano a pensare che la situazione gestionale italiana sia modificata.
Esistono quindi tre ordini di problemi strutturali che vanificano la capacita’ di utilizzo dei fondi di spesa a disposizione del sistema economico nazionale: a) la capacita’ (o incapacità’) del sistema politico/istituzionale di individuare gli obiettivi strategici prioritari e in relazione a questi di programmare gli interventi nell’interesse generale del Paese; presentiamo qui di seguito un’analisi severa di Antonio Zucaro su questo tema, in relazione all’attuale situazione politica; b) il malfunzionamento della multilevel governance che induce la Corte dei Conti a parlare (pag. 8) di “pletora di soggetti che intervengono ai vari livelli nella gestione dei fondi” e di “polverizzazione dei programmi”, determinata dal prevalere incontrollato – aggiungiamo noi – di forme di finanziamento micro (sovvenzione a centri fitness o alla festa del patrono comunale- basta dare un’occhiata al sito Opencoesione.gov.it – vedi qui – con l’indicazione del milione e mezzo di progetti monitorati) nella latitanza iniziale di progetti strutturali condivisi e conseguente fretta di spendere dell’ultimo momento; c) lo stato ormai comatoso di molte amministrazioni pubbliche, prive come sono di adeguate risorse umane professionalizzate, di risorse informatiche e di risorse finanziarie.
I tre temi proposti qui sopra ci appaiono centrali per affrontare strutturalmente, non solo la gestione del Recovery Fund, ma anche per risolvere gli aspetti istituzionali più’ critici dei problemi del nostro Paese.
Giuseppe Beato