La questione dello status e delle garanzie costituzionali della dirigenza pubblica nel nostro Paese è lontana dall’essere definita (vedi qui una rassegna delle sentenze della Corte Costituzionale in materia). Da circa 25 anni si aggira nei corridoi del Palazzo una tematica taroccata perfino nella sua locuzione definitoria: il così chiamato (o cosiddetto) Spoils System.
Ci pare strano che i più siano immemori del fatto che tale regime giuridico non esiste più da 136 anni nel suo paese d’origine: dal 1883 negli Stati Uniti vige infatti il Merit System, che abolì lo spoils system, proprio in margine a un dibattito nazionale a conclusione del quale si impose il concetto che lo spoils system “si dimostrava nei fatti completamente condizionato dagli interessi di parte e lontano dalla capacità di rendere un servizio equo ed efficiente alla collettività nazionale“. Di qui la conversione dell’intera amministrazione federale e della dirigenza U.S.A. ai principi di stabilità dello status, come presidio di imparzialità, legalità e servizio agli interessi generali della Nazione (vedi qui il il regime della dirigenza federale U.S.A. com’è oggi).
La premessa per sottolineare che il principio della stabilità della dirigenza pubblica, recepito nel nostro ordinamento democratico dagli articoli 97 e 98 della Carta Costituzionale, non è un’originalità italiana in odore di “privilegio di casta“, ma un principio di democrazia mutuato dalle più antiche esperienze dei Paesi democratici avanzati. Ma gli immemori sostenitori dello “spoils system” – che noi chiamiamo “all’amatriciana” – sono ancora ben saldi in ascoltati think-tank nazionali: tanto per la chiarezza: l’Università Bocconi di Milano, il ForumPa, il seguitissimo blog Astrid facente capo all’ex ministro della funzione pubblica Franco Bassanini. Resiste, in quest’annosa battaglia giuridica che vede come posta in palio l’imparzialità e il buon andamento delle pubbliche amministrazioni italiane, la “scuola cassesiana” che fa capo all’IRPA (Istituto Ricerche della Pubblica amministrazione) e alla Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico. Di Cassese ricordiamo le antiche e mai composte polemiche degli anni ’90 sulla privatizzazione della dirigenza pubblica (vedi qui).
Il termine taroccato “spoils system” cela dietro di sé la vera questione di fondo sui quali i liberisti di destra e di sinistra si impegnano alacremente: quella della fiduciarietà del rapporto vertici/dirigenza: la tesi sostenuta è che il modello di riferimento deve essere anche nel pubblico impiego quello fiduciario esistente nel mondo dell’impresa privata fra imprenditore e dirigente privato. Questo schema, recentemente riproposto dal Ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno che ha paragonato il rapporto ufficio pubblico/dirigenza a quello esistente in uno Studio di Avvocati fra il vertice aziendale e i suoi dipendenti, travisa orribilmente la realtà degli uffici pubblici, nei quali il riferimento reale e giuridico NON E’ il rapporto “imprenditore/dirigente” MA quello ben diverso “vertice politico/dirigente“. In quest’ultimo schema di relazioni sono in campo interessi pubblici generali, che sono altra e differente cosa rispetto alle logiche aziendali private. Di qui la necessità di un reclutamento basato su concorsi pubblici e di uno status dirigenziale contraddistinto da garanzie di stabilità delle funzioni assegnate (salvo valutazioni negative sulle performance). Questi principi sono pacificamente riconosciuti anche negli Stati Uniti, patria dell’intrapresa privata.
Nel confuso e contraddittorio contesto nostrano, nel quale molti ritengono corretto ricondurre il principio di fiduciarietà imprenditore privato/dirigente a rapporti squisitamente pubblici, opera – in modo a volte spaesato – la giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Erano chiare le enunciazioni delle sentenze n. 103/2007 (vedi) e n 104/2007(vedi) , che tracciavano “paletti precisi” alla regolazione e ai limiti del “cosiddetto spoils system“; esse si sintetizzano in due proposizioni: 1. liceità della rimozione al momento del cambio dei vertici politici, limitata solo alle sole posizioni apicali delle amministrazioni pubbliche); 2. esclusione da questo novero sia dei dirigenti di seconda fascia che dei dirigenti generali, in considerazione della natura squisitamente gestionale delle loro funzioni.
Dopo 12 anni la Corte ha “annacquato” con la recente Sentenza n. 23 del gennaio 2019 (vedi) i limiti precedentemente enunciati estendendo il novero dei dirigenti pubblici per i quali è legittima la decadenza automatica alla scadenza del mandato elettorale dei Sindaci ai segretari comunali (disposizione prevista art. 99, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Pur considerando le ragioni storiche e la natura specifica di controllo di legalità e correttezza amministrativa delle funzioni di queste figure (“compito di esprimere un parere «sotto il profilo di legittimità» per ogni proposta di deliberazione da sottoporre alla giunta e al consiglio, parere che si aggiunge a quello reso sulla regolarità tecnica e contabile da parte del responsabile del servizio interessato e del responsabile di ragioneria“, “il parere di regolarità tecnica su ogni proposta di deliberazione sottoposta a giunta e consiglio” che “si configura quale intervento preliminare volto a sottolineare se e in che modo la proposta pone le corrette premesse per il raggiungimento dell’interesse pubblico volta a volta tutelato dalla legge“), la Corte ha ritenuto preminente la posizione di “apicalità” dei segretari comunali, dichiarando legittima la previsione della decadenza automatica dell’incarico. Cioè a dire che la figura storica di presidio alla legalità e alla regolarità delle gestione amministrativa dei Comuni italiani rimane sequestrata nel vortice dell’altalenante andamento delle vicende elettorali e partitiche. Complimenti!!
La semplice verità è che le sirene intellettuali del “rapporto fiduciario” sono entrate anche nelle severe stanze della Corte Costituzionale. Buona fortuna Italia!
Riportiamo qui di seguito la posizione fortemente critica sul contenuto e sulle motivazioni della sentenza in questione del prof. Stefano Battini (presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione), pubblicate in sintesi sul sito dell’IRPA (vedi qui) e che sarà ulteriormente articolata sul prossimo numero de “Il giornale del diritto amministrativo“, diretto dal prof. Sabino Cassese.
Giuseppe Beato