Ciò che fatto il governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta in piena campagna elettorale si distingue dal comportamento classico del ceto politico italiano del dopo-guerra solo per l’esagerata protervia e la sfacciataggine: ha firmato un contratto integrativo “aziendale” con le rappresentanze di CGIL-CISL e UIL col quale aumenta di 80 euro cadauno la retribuzione dei lavoratori forestali siciliani vedi qui la news dello scorso 14 settembre: questi ultimi sono 22.000 – numero equivalente al resto dei lavoratori forestali della penisola; la spesa complessiva è stata stimata in 250 milioni di euro annui (che sarà estratta dalle imposte quindi dalle tasche dei cittadini italiani) – vedi qui. Sono necessari 22.000 forestali in una sola Regione, peraltro avvolta e dilaniata dagli incendi solo un mese fa, nonostante un tal numero di addetti alla vigilanza? C’è un’assoluta mancanza di qualsivoglia collegamento fra efficacia dell’azione svolta e incentivi (come invece i principi della “privatizzazione” detterebbero). Pura erogazione elettorale, come gli spaghetti che distribuiva il comandante Lauro ai suoi elettori nell’immediato dopoguerra.
Eppure, dietro il fragore di un evento così scandaloso, si nasconde una costante comune all’atteggiamento di tutto il ceto politico italiano del dopo-guerra nei confronti dell’Amministrazione pubblica: quest’ultima, al di là delle dichiarazioni e delle chiacchiere, non viene da loro vissuta come lo strumento per attuare le politiche pubbliche e per gestire con efficienza e imparzialità gli interessi generali della collettività, ma come un rilevante e appetitoso bacino elettorale, costituito dai dipendenti e dai loro familiari (da curare con soldi, favori e raccomandazioni). In altri termini, l’interesse generale degli amministrati – cittadini e imprese – cede sempre il passo a quelle che Cassese battezzò come “le voci di dentro” , cioè gli interessi (legittimi, per carità, ma da subordinare agli interessi generali della collettività nazionale) del ceto impiegatizio. Piaccia o non piaccia, questa logica antica è stata perfettamente perpetrata nel contesto della “grande riforma” della privatizzazione che contempla da circa 30 anni l’appoggio attivo e il consenso delle grandi rappresentanze sindacali (legittimo pure questo , per carità, ma “soccombente” rispetto agli interessi generali ). L’accordo siciliano di pochi giorni fa ne costituisce la plastica dimostrazione.
La cura degli interessi generali degli utenti della pubblica amministrazione non può essere affidata né agli umori dei politici in carica, né ai sindacati, la cui funzione sociale è quella di difendere gli interessi dei loro iscritti. Ci vuole altro: la presenza del Parlamento, non solo come (buon) legislatore , ma anche come controllore di ultima istanza delle pubbliche amministrazioni….e una dirigenza pubblica integra, imparziale ed efficiente. Senza questi “ingredienti” – presenti in tutti gli Stati occidentali avanzati – l’Italia rimarrà sempre il fanalino di coda.
Giuseppe Beato