Non possono mancare nella rassegna che conduciamo sugli “Italiani visti dai Grandi Italiani” le quattordici terzine del VI canto del Purgatorio, con le quali sette secoli fa l’Alighieri inchiodò (per sempre?) la condotta morale, civile e politica nel nostro Paese. Lo splendido incipit “Ahi serva Italia….” rischia di nascondere il seguito del suo “ragionamento” a proposito dell’incapacità del suo popolo di trovare un minimo di unità anche dentro “quei ch’un muro e una fossa serra“. L’Italia civile viene raffigurata colla metafora del cavallo bizzoso – fiera fatta fella – che si muove rabbiosamente, frenato a malapena del “morso” delle “leggi”, ma senza consentire ad alcun “cavaliere” di mettersi alla sua sella e guidarlo. Le città d’Italia sono tutte piene di tiranni, dove “un Marcel diventa ogni villano” supportato da qualche fazione. Ogni città, Firenze in testa, “quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume hai tu mutato, e rinnovate membre!” in modo che “a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili“. Il riferimento a “cavalieri” tipo Mussolini, Berlusconi o Renzi suona in questo contesto fuori luogo e provinciale: più decisivo risulta il pensiero su un Paese che non è mai riuscito, se non per brevissimi interludi, a regalarsi leader come Churchill, Roosevelt, De Gaulle, Thatcher o Brandt per citare solo i più noti storicamente, uomini e donne in grado di guidare un popolo nelle epoche di difficoltà e di trasformazione…. “guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni“. Più che concetti quali “ordine”, “legalità” o “governo forte”, la metafora del cavallo bizzoso riesce a descrivere al meglio la realtà perché sposta il riferimento centrale, non sulla forma di governo (o meglio lo fa in subordine), ma sullo spirito del popolo italiano, questione molto più complicata, comunque “la” vera questione.
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