Dirigenza pubblica: prove di connessione reciproca.

Renzi madia

La dirigenza pubblica del nostro Paese – chi scrive non intende eludere sé stesso da questa valutazione – ha vissuto gli ultimi trent’anni ritenendo che le prerogative che le riconoscevano gli articoli 97 e 98 della Carta costituzionale potessero tenerla al riparo da “tsunami riformatori”: qualche temporale ogni tanto, in occasione del varo di stravaganti leggi di riforma, e poi tutto tornava sempre al punto di partenza per quanto riguardava il ruolo del dirigente. Ma non era così! Una certa abitudine mentale a ritenersi capaci di sopravvivere decorosamente utilizzando i propri personali sistemi di relazione ha impedito a molti di noi di capire che lo tsunami si stava avvicinando veramente (chi voglia approfondire i passaggi legislativi attraverso i quali le tutele della dirigenza sono state progressivamente smantellate dalle leggi degli ultimi 20 anni ascolti l’intervento di Valerio Talamo al ForumPa dello scorso anno 2014 – clicca qui).

Ora che il ciclone riformatore di un Presidente del Consiglio convinto che i problemi “bisogna affrontarli sul serio” si è tradotto in una schema di decreto legislativo  bocciato da un parere del Consiglio di Stato per chiari profili di incostituzionalità e di eccesso di delega (clicca qui), la dirigenza pubblica comincia a comprendere che la prassi inveterata dei personalismi e della salvaguardia dei “piccoli orti” non basta più, anche a livello di rappresentanze sindacali. 

La dirigenza pubblica, all’appuntamento con una “riforma” che rende precario lo status dirigenziale – con la scusa di una sua “privatizzazione” sconosciuta in qualunque Paese occidentale (Stati Uniti in primis) – si é presentata in ranghi sparsi e frammentati. Una plastica rappresentazione della polverizzazione delle rappresentanze sindacali e associazionistiche della dirigenza si è potuta osservare pochi giorni fa in occasione dell’audizione sulla riforma avvenuta in Commissione Affari costituzionali della Camera : erano presenti circa 30 sigle sindacali e associazionistiche – clicca qui – le cui valutazioni, peraltro, nella stragrande maggioranza assomigliavano l’una con l’altra.

La recente rilevazione sulle rappresentanze sindacali dei lavoratori pubblici condotta dall’ARAN accerta la presenza nei quattro comparti di contrattazione  di circa 150 sigle sindacali della dirigenza (amministrativa, sanitaria, scolastica, della ricerca,) e dei professionisti (Vedi qui accertamento ARAN della rappresentatività nelle aree della dirigenza 2016_2018), delle quali circa 25 “rappresentative” degli interessi delle categorie (il tutto senza considerare le categorie dei prefetti, ambasciatori , dirigenti di Polizia, dirigenti dei penitenziari che sono fuori dall’area della contrattazione). A questo punto la domanda é: quale altro ceto economico/sociale di questo Paese si presenta al potere politico e al legislatore in maniera più casuale e sbrindellata del nostro? Pensiamo veramente che il ceto politico attuale non abbia perfetta conoscenza di questa enorme debolezza  e non se ne serva impunemente per accreditare il ceto dirigenziale pubblico come l’origine e la causa del cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione italiana?

Diamo qui contezza di due iniziative “dell’ultimo minuto” finalizzate a costruire “reti” fra Sindacati e Associazioni di dirigenti: quella organizzata a Roma da Codirp  lo scorso 25 ottobre 2016, che ha visto la partecipazione di diverse sigle sindacali e associative e, quasi a pendant, l’uscita nel successivo 28 ottobre di un documento comune di CIDA-Confedir- Confsal e COSMED (vedi qui sotto) – sindacati di forte rappresentanza e radicamento storico – recante i più volte ripetuti rilievi al contenuto del famigerato schema di decreto legislativo Renzi-Madia.

Sarà sufficiente una convocazione “pastorale” del Ministro Madia a Palazzo Vidoni per acquietare gli impavidi umori? Oppure il recente fervore comune convincerà il Governo ad emendare gli incredibili strafalcioni presenti nello schema di decreto? Noi ci auguriamo la seconda ipotesi, per il bene del nostro Paese e di un ceto dirigente  che è nella stragrande maggioranza sano e di qualità.

Tuttavia, la frammentazione della dirigenza pubblica rimane una ferita aperta che sarà impossibile curare con iniziative estemporanee, sottilmente attraversate dalla diffidenza e sospetto reciproco. La questione dell’unità della dirigenza pubblica italiana è ora all’ordine del giorno.

Giuseppe Beato.

 PER UNA DIRIGENZA PUBBLICA A GARANZIA DEI DIRITTI DEI CITTADINI

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