Emergenza e Recovery Plan

Un intervento di Antonio Zucaro sul sito Demosphera, scritto a stretto ridosso degli accordi in Consiglio Europeo del 21 luglio scorso, sulle malaugurate ma possibili modalità di utilizzo delle risorse finanziarie provenienti dall’Unione Europea a titolo di “Fondo di Ripresa e Resilienza”.

ANTONIO ZUCARO Spazio Pubblico

31 lug 2020

Emergenza e recovery plan

Le polemiche e le trattative sulla titolarità a scrivere il recovery plan, ovvero se spetti alla Presidenza del consiglio, al Governo o al Parlamento, si basano in realtà su una medesima concezione del piano come lista della spesa, da distribuire tra settori, categorie e territori con la mediazione dei soggetti politici, più o meno mascherati da soggetti istituzionali. Niente di nuovo: sono venticinque anni che la legge finanziaria ed il bilancio, ovvero il piano annuale di distribuzione delle risorse tra le politiche pubbliche, è una sommatoria di norme e di stanziamenti per vari soggetti, rappresentati o da organi di Governo o da parlamentari, col Ministero dell’economia che fa quadrare i conti agli occhi dell’Europa, magari con qualche trucco, e la saracinesca finale del maxiemendamento approvato col voto di fiducia.

Anche ora, di fronte alla crisi economica al tavolo di spartizione della torta vogliono sedersi tutti, forze politiche e gruppi di pressione. Non tutti con la stessa forza: per rappresentare l’”impresa” c’è la fila, con Salvini in testa e poi Berlusconi, Renzi, Calenda, e un pezzo del PD, legittimamente. Il lavoro dipendente è rappresentato dalle centrali sindacali ed un altro pezzo del PD, legittimamente. I disoccupati, i precari, gli esclusi sono per una parte affidati all’incerta rappresentanza del M5S, e per il resto niente. Anche perché non votano, comprensibilmente. Mentre l’”impresa” assicura voti (la piccola) e quattrini (la grande).

Una politica degna di questo nome, invece, dovrebbe e potrebbe seguire un’altra strada, prendendo le mosse dagli interessi particolari, selezionati e classificati secondo criteri di valore, definendo quindi le politiche di settore sulla base delle risorse disponibili e ricomponendo alla fine un quadro d’insieme coerente che assicuri la soddisfazione dei diversi interessi nel modo migliore possibile alle condizioni date. Utopia? Forse. Ma nelle esperienze di governo dei paesi sviluppati sono rinvenibili elaborazioni e precedenti che possono essere presi in considerazione, per determinare il salto di qualità che la profondità della crisi rende oggi necessario. Come?

Cominciando dal rapporto tra Parlamento e Governo. In base alla Costituzione, ma anche alla normativa sul Bilancio dello Stato lo schema è chiaro. Al Parlamento, su proposta del Governo, spetta la definizione degli indirizzi generali del piano. Il Governo li traduce in un complesso organico di misure in base alle risorse disponibili, da portare all’approvazione del Parlamento anche con la prossima legge di Bilancio. Poi il Governo, attraverso le strutture dell’amministrazione, le aziende pubbliche e gli altri soggetti alle sue dipendenze applica in concreto le misure previste. Il Parlamento, quindi, verifica l’efficacia e controlla la correttezza dell’applicazione, anche rispetto agli indirizzi generali approvati in precedenza. Alla fine, anche in base a queste valutazioni, il Parlamento conferma o modifica gli indirizzi generali discutendo della successiva legge di Bilancio, e il ciclo riparte. Naturalmente, la formulazione e l’approvazione del recovery plan si inserisce in questo schema con le sue particolarità, dalle indicazioni dell’Unione che vanno rispettate ai tempi di presentazione del pacchetto a Bruxelles, comunque intrecciate con le procedure relative all’approvazione della legge di bilancio.

Dunque, il Piano dovrebbe essere un complesso di misure inquadrate in politiche di settore e coordinate nell’ambito di un indirizzo generale di Governo. Norme, procedure, obiettivi, risorse, tempi. Cominciando dagli indirizzi generali, che indicano le priorità sulla base dei valori da affermare, ma che non possono essere solo “narrazione”. In primo luogo, si tratta di definire la ripartizione delle risorse tra le grandi questioni da affrontare nelle politiche di settore: il sostegno al reddito delle persone in difficoltà, il sostegno alle attività produttive di beni e servizi, gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, il rafforzamento dei grandi servizi pubblici. Le risorse, poi, vanno reperite sia nell’ambito dei finanziamenti europei sia nell’ambito fiscale, come detrazioni e come aumento di alcune imposizioni. Non è una problematica quantitativa ma qualitativa, e non solo perché le priorità dipendono dai valori, ma perché le decisioni, le procedure, gli effetti si intrecciano tra loro, producendo sinergie o rischiando contraddizioni. La coerenza dl quadro d’insieme dipende, perciò, dal coordinamento delle singole scelte.

Lo schema teorico è chiaro. Il problema, oggi come ieri, è che per i singoli parlamentari e dunque per i partiti, ed infine per il Parlamento ciò che conta è la difesa dei singoli interessi particolari, delle lobbies o dei gruppi sociali di riferimento. Ciò, perché la cura dell’interesse generale, difficile da definire e spesso invocato a copertura di interessi forti, non produce consenso in una opinione pubblica sfiduciata e confusa. È per questo che la legge di Bilancio diventa ogni anno una sommatoria, ed è questo che mette a rischio anche il recovery plan.

Oggi, però, la crisi fa emergere con molta più evidenza le contraddizioni esistenti. I colpi inferti sono più pesanti, le sofferenze più gravi, le disuguaglianze più insopportabili. È possibile costruire un disegno complessivo che metta insieme gli interessi, ma anche i valori, della grande maggioranza, lungo il filo rosso delle possibilità di vita e di sviluppo delle persone e della difesa dell’ambiente.

Oltre ai grandi settori della sanità e della scuola si possono citare altri esempi. L’obiettivo della estensione della digitalizzazione si realizza con gli investimenti nelle infrastrutture della banda larga e del 5G, ma riguarda il funzionamento delle amministrazioni pubbliche e il loro rapporto con i cittadini, ed anche la scuola e la sanità.

Mettere insieme cassa integrazione e reddito di cittadinanza, come sembra necessario, investe il mercato del lavoro e il suo controllo, e gli apparati che col loro potenziamento devono assicurarlo.

I piani per le infrastrutture materiali possono avere effetti molto diversi sull’ambiente. Un conto è fare nuove autostrade, più cemento per più automobili, un conto è sviluppare le ferrovie, soprattutto locali, che tolgono automobili dalla circolazione. In questo senso andrebbe riorientato il pacchetto delle grandi opere nel Lazio (sei autostrade, due ferrovie, un acquedotto) presentato di recente, già finanziato e realizzabile per il decreto semplificazione, ma che il recovery plan potrebbe correggere.

Questi esempi mettono in evidenza un’altra problematica sottostante alle quattro grandi questioni indicate, quella del funzionamento delle amministrazioni, delle responsabilità, delle procedure. Se la tutela delle persone e dell’ambiente riguarda le finalità e dunque gli obiettivi del Piano, la problematica del funzionamento delle amministrazioni attiene alla effettiva realizzazione delle misure previste. È strumentale ma decisiva. Non è il caso, visti i precedenti, e non c’è il tempo per progettare una nuova, grande “riforma amministrativa”. Quello che serve è che per ogni misura o provvedimento da realizzare si preveda non solo lo stanziamento, ma l’organo pubblico responsabile della realizzazione e soprattutto le modifiche procedurali necessarie a questa. Modifiche che quasi sempre richiedono un intervento legislativo, ed è anche per questa ragione che un passaggio parlamentare di approvazione finale del Piano si rende necessario.

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