Francesco Caio è un notissimo manager italiano. Nato nel 1957, ha percorso sin qui una brillante e veloce carriera in Italia all’estero. Dal 18 maggio 1914 è ad delle Poste Italiane; dal giugno 2013 al marzo 2014 era stato consulente del presidente del Consiglio Letta per la realizzazione dell’Agenda digitale. Di quell’esperienza, delle sue enormi potenzialità, del progetto che, se non verrà lasciato cadere, potrà letteralmente cambiare l’Italia, scrive ora in un agile librino (96 rapide pagine) appena uscito perMarsilio nella collana “I grilli”: Lo Stato nel digitale. Come l’Italia può recuperare la leadership in Europa.
Un testo sintetico, scritto in forma accattivante, denso di contenuti: che merita una lettura.
Il libro è diviso in pochi, brevi capitoletti. L’introduzione contiene il programma dell’autore, compendiato nel titolo: “Si può fare”. Si può fare – dice Caio –una riforma della politica (meglio, dello Stato) che si basi sull’“applicazione sistematica delle tecnologie digitali alla macchina amministrativa”, che cancelli la distanza tra istituzioni e cittadini, che realizzi “una visione nuova e orientata al futuro della polis nella quale viviamo e vivranno le nuove generazioni”.
Non solo si può fare –insiste Caio – ma lo si sta già facendo, come dimostrano esperienze virtuose già in atto (ad esempio il registro delle imprese già in funzione), sebbene siano ancora limitate e frenate dal loro configurarsi “a macchie di leopardo”, in un contesto istituzionale non ancora al passo coi tempi.
Per realizzare lo Stato al tempo del digitale (uno Stato interconnesso, veloce, raggiungibile da parte di tutti, flessibile nelle sue risposte alla domanda sociale) occorrono infatti alcune condizioni.
La prima (ed è questi il tema del primo capitolo) è la chiarezza e univocità del mandato che si deve con dare all’autorità incaricata di realizzare l’Agenda digitale: un mandato chiaro e pieno.
La seconda è la consapevolezza che, lungi dal marciare contro la Costituzione e lo Stato delle autonomie (come talvolta si è scritto), l’Agenda realizzerà un suo preciso dettato, e cioè il comma r) dell’art. 117, che affida in questo campo allo Stato centrale un mandato chiarissimo.
La terza condizione consiste nel sapere che l’amministrazione pubblica deve necessariamente cambiare mentalità e modelli organizzativi, perché un’amministrazione parcellizzata in compartimenti stagni come è ora non potrà mai effettivamente digitalizzarsi, essendo la filosofia stessa della digitalizzazione quella dell’interconnessione naturale e senza interposizioni tra tutti i soggetti attivi nel sistema (o nella rete).
La quarta condizione (forse la più problematica ad attuarsi) è l’abbandono definitivo della vecchia logica del documento cartaceo inteso come unica e insopprimibile garanzia della certezza stessa del diritto: sicché accade – dice bene Caio – che ciò che già oggi nasce in rete venga poi paradossalmente stampato, ridotto al cartaceo, e timbrato, firmato (nonostante la firma elettronica), vistato, protocollato e archiviato secondo vecchie le logiche dure a cambiare di una vecchia burocrazia pigra e non nativa digitale. Un po’ come se ai tempi di Gutenberg qualcuno avesse tradotto un testo stampato in un altro, pazientemente ricopiato su pergamena dall’amanuense.
Semmai – aggiungo io pensando ai problemi della conservazione dei documenti e alle giuste preoccupazioni degli archivisti – occorrerebbe approfondire di più (Caio non lo fa) il tema degli archivi elettronici, della loro necessaria e costante “manutenzione”, così da salvarne i contenuti di fronte alle veloci mutazioni delle tecnologie. Ma questo è un tema, per quanto spinoso, pur sempre risolubile proprio sul piano del progresso tecnologico.
Chimere? Futuribile allo stato puro? Il libro di Caio dimostra esattamente il contrario.
Un denso capitolo (il quarto) è dedicato a ciò che già esiste, e non è poco, seppure in fase di rodaggio: l’anagrafe della popolazione elettronica, l’identità digitale, la fatturazione elettronica.
E l’ultimo capitolo, infine, contiene un sintetico decalogo delle cose che bisogna fare subito: a) avere dietro un forte potere politico consapevole della centralità del progetto; b) padroneggiare una visione chiara e semplice della agenda digitale, che consenta di procedere linearmente, un passo dietro l’altro, senza perdersi in inutili vie laterali;c) curare subito il raccordo tra istituzioni, per avanzare tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno (o l’Agenda digitale è globale e coinvolge tutti o semplicemente non è); d) la valorizzazione delle competenze interne all’amministrazione (Caio ne dà un giudizio positivo, indicando aree di eccellenza che sarebbe sbagliato non considerare); e) l’assiduità della gestione, per assicurare la tempestività degli eventuali interventi correttivi; f) la comunicazione continua coi vertici dei ministeri; f) molta pazienza e determinazione; g) darsi tempi realistici per ogni fase del progetto (“la tecnologia ama il buon senso”).
Francesco Caio è, come si conviene ai veri riformatori, un inguarbile ottimista. La conclusione del suo volumetto, che chiama in causa l’Europa (“L’Europa ci obbliga ad essere virtuosi”, ebbe a dire anni fa CarloAzeglio Ciampi parlando di bilancio: “l’Europa ci obbliga ad essere digitalizzati”, direbbe forse Caio) suona come un’apertura al domani che già oggi si intravede: è possibile passare, con uno sforzo consapevole e determinato,da paese di coda nella sfida della modernizzazione ad avanguardia su scala continentale; ed è possibile trasformare lo Stato, il vecchio, arrugginito Stato dei ministeri e delle burocrazie separate, delle carte e scartoffie e delle procedure interminate. E’ possibile – ci dice Caio – ma non basta l’intelligenza e la tecnologia (che in Italia non difettano). Ci vuole la consapevolezza politica. Ed è quanto sinora è mancato.
Recensione di Guido Melis, professore di Storia dell’amministrazione pubblica all’Università La Sapienza di Roma.