Il termine “privatizzazione” – tanto in voga in contesti di neoliberismo rampante – ha varie accezioni nel mondo pubblico, soprattutto tre: a) privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, b) esternalizzazione dei servizi pubblici a società private “partecipate “, c) vendita a privati di imprese industriali di proprietà dello Stato. Ognuna di queste modalità di “privatizzazione” ha sue vicende, per lo più negative, quando viste dal lato del cittadino pagatore d’imposte.
Nell’ultima delle tre accezioni, la privatizzazione si riferisce a tutto quel mondo di imprese pubbliche prima ruotanti nel mondo IRI – vedi – che a decorrere dagli anni ’90 furono in gran parte vendute a soggetti privati. Di quell’enorme patrimonio di proprietà pubblica residuano oggi poche imprese – ENI, ENEL, FINMECCANICA, POSTE – gestite in regime di diritto privato e oggetto di progressiva vendita di quote azionarie da parte del Ministero dell’economia. Un articolo de La Repubblica dell’8 novembre scorso quantifica in 40 miliardi di euro la perdita finanziaria derivante dalla vendita di quote azionarie di queste aziende. Benissimo!
Costo delle privatizzazione delle aziende pubbliche