Si ha un bello scrivere agostano – sull’abbrivio degli insegnamenti di Max Weber – a proposito dell’ indispensabilità delle strutture burocratiche e delle funzioni pubbliche, ma se ci si volta a guardare gli indicatori sui tempi della giustizia italiana si comprende il motivo per il quale l’opinione pubblica la pensi in maniera diversa.
La Commissione Europea ha pubblicato lo scorso aprile una rilevazione comparata sul tema dell’efficienza (in termini di durata dei processi) e della percezione da parte dei cittadini della giustizia civile e amministrativa nei Paesi UE. Ne riprendiamo qui sotto il testo integrale.
E’ difficile mantenere una posizione di oggettività’ e di utile approccio critico fra il sensazionalismo dei giornali (vedi qui il titolone de “La Stampa”) e i commenti reticenti e imbarazzati del Servizio studi del Senato (clicca qui sul “QUADRO DI VALUTAZIONE DELLA GIUSTIZIA 2019″). Il dato UE non lascia scampo: l’Italia e’ il Paese UE con la più’ lunga durata dei processi in ciascuno dei suoi gradi di giudizio. Riproduciamo qui sotto la figura n. 7 a pagina 13 del rapporto UE: l’Italia e’ di gran lunga la maglia nera in Europa nel primo, secondo e terzo grado di giudizio.
Astraendo dalle timide annotazioni del Servizio studi del Senato sul punto, traduciamo in anni e mesi totali i tre istogrammi relativi all’Italia: 1 anno e 6 mesi circa la durata dei processi di primo grado, 2 anni e 4 mesi circa i processi di secondo grado, 3 anni e 7 mesi circa i processi in Cassazione: in totale 7 anni e 5 mesi circa di media per lo svolgimento dei processi civili nei tre gradi di giurisdizione. Uno sproposito, specialmente se confrontato con i tempi registrati per gli altri Paesi UE.
Eppure, il numero dei giudici italiani per 100.000 abitanti (fig. n. 32 a pagina 33) non si discosta di molto dalle medie di altri paesi avanzati quali Francia, Danimarca e Olanda (vedi qui sotto).
Anomalo invece il numero di avvocati per 100.000 abitanti (fig. n. 35 a pagina 35), soprattutto se posto a confronto con il dato dei paesi con giustizia civile e amministrativa più’ efficiente (vedi qui sotto)
Buona la proporzione di genere femminile (più’ del 50%) nelle corti italiane di primo e secondo grado (fig. n. 33 a pagina 33- vedi qui sotto). il rapporto si inverte nelle Corti “supreme”, con preponderanza di giudici uomini (fig. n. 34 a pagina 34)
Pessimo, in ultimo ma non per ultimo, il livello di indipendenza percepito dai cittadini e dalle imprese italiani (figura n. 47 a pagina 44): la giustizia italiana e’ quartultima in Europa: la Magistratura viene percepita come permeabile ad interferenze dovute a “specifici interessi economici” o ad interessi provenienti dalla politica. Questa valutazione dovrebbe allarmare non poco i Magistrati italiani e indurli a qualche seria riflessione.
Di fronte a uno sconquasso come quello rappresentato nel rapporto, l’approccio giusto pare essere quello della razionalità’ e di poche ovvie idee di contenimento di questo sfascio: a) dal punto di vista semplicemente “coreografico”, appare a chiunque dotato di buon senso il ridicolo e defatigante andamento pratico delle sedute processuali cui e’ dato assistere in una qualunque aula di giustizia: il tempo viene quasi completamente assorbito dal ridicolo rituale del giudice che detta al cancelliere – parola per parola – il verbale della seduta. Non dovrebbe essere il cancelliere il responsabile della registrazione di quanto avviene? Come si può’ continuare ad assistere a questo tipo di procedure medioevali (e confrontarle con la secca speditezza dell’iter dibattimentale dei paesi anglosassoni)?; b) Esiste un problema evidente di logistica generale, intesa come strumenti moderni da mettere a disposizione dei magistrati per rendere spedito il loro lavoro; vengono ascoltate e assecondate le richieste avanzate dai più’ attenti e sensibili? c) E’ evidente, infine – e questo e’ il tasto più’ dolente – un chiaro deficit di controlli sulla produttività’ individuale dei magistrati: quante sentenze conducono in porto in un anno? Quali sono i tempi di elaborazione e di scrittura di una sentenza? Introdurre un argomento del genere, in un Paese conformista e malpensante, significa attirarsi immediatamente l’accusa di attentare al principio dell’indipendenza della Magistratura….che invece non c’entra niente, visto che tale principio attiene al contenuto e al merito delle sentenze e delle decisioni adottate da un Magistrato. Controllare la produttività’ individuale significa ben altro: significa collocare i magistrati italiani nell’alveo dell’ormai ordinaria cultura produttiva occidentale, cui non e’ lecito a nessuno sottrarsi. Le prestazioni professionali, anche dei Servitori dello Stato, devono essere monitorate e misurate in termini output prodotti. Quante sentenze prodotte in un anno? Quante sedute svolte? Quanti casi portati a conclusione? Dovrebbe essere questo il criterio principe – considerazione questa che vale (sia chiaro) anche per i dirigenti amministrativi – per valutare e diversificare l’apporto individuale al complessivo lavoro della Magistratura, come si fa in qualunque entità’ produttiva organizzata. Auspichiamo in un futuro prossimo l’introduzione di un Monitoraggio delle Attivita’ Produttive (M.A.P.) dei Magistrati italiani, con una riforma specifica. Quasi di prammatica l’osservazione finale: questa, come qualunque altra riforma, va concepita e condotta con la condivisione degli interessati e non con spirito “punitivo”. Ma sappiamo anche qual’e’ il triste iter delle riforma amministrative del dopoguerra in questo Paese: l’atteggiamento critico e preconcetto a priori di chi predisposte le riforme, cui fa perfetto pendant la reazione di chiusura e di diffidenza della categoria interessata, che conseguentemente si pone e si dispone a reagire e a frenare operando da corporazione e da lobby. Chi spezzerà’ questa spirale?
Giuseppe Beato
Commissione europea – The Justice Scoreboard 2019
Servizio studi del Senato: Quadro di valutazione della giustizia 2019