Non si può dire che Il Presidente del Consiglio manchi di costanza: espresse il suo parere sulla dirigenza pubblica in occasione del convegno della Leopolda nell’ottobre 2011 ( vedi qui ); al punto 33 del programma era testualmente scritto “Dirigenti a termine nelle aziende pubbliche.
Nelle aziende i dirigenti a vita non esistono: ogni anno c’è un bilancio da fare, risultati da raggiungere, verifiche da realizzare. I contratti non sono mai a tempo indeterminato, vanno solitamente da tre a cinque anni e ogni conferma presuppone una verifica positiva. Nel pubblico i dirigenti, anche se falliscono, rimangono lo stesso nell’amministrazione, al massimo sono spostati e se falliscono ancora, vengono spostati ancora e girano nell’amministrazione fino alla pensione“. Nuova Etica Pubblica replicò subito che c’era di mezzo una piccola cosa chiamata articoli 97 e 98 della Costituzione, invitando Matteo Renzi a riflettere sul fatto che questa non era una “difesa corporativa” della categoria, ma la fissazione di un principio generale di salvaguardia della neutralità e dell’imparzialità dell’Amministrazione pubblica, sancito non solo nel nostro Ordinamento giuridico, ma dovunque.
Con ferrea determinazione, degna di miglior causa, oggi quel modo di ragionare é legge dello Stato italiano. Lo schema del decreto legislativo del Governo, istitutivo dei Ruoli unici della dirigenza pubblica, prevede esplicitamente che gli incarichi dirigenziali sono a termine (quattro anni estensibili a sei), che al termine dell’incarico, indipendentemente da qualunque valutazione negativa sul suo operato,il dirigente pubblico di carriera perde lo stesso e la retribuzione collegata: a lui rimangono aperte due strade: o trova un altro incarico oppure transita in una terra di nessuno, dove percepirà un terzo dello stipendio precedente e, allo scadere dei due anni dal termine dell’incarico, sarà licenziato.
Ci rendiamo conto che non pochi osservatori , di tutte le latitudini, sociali, politiche e culturali penseranno adesso: “Gli sta proprio bene! Che, solo i privati devono perdere il posto di lavoro?” ……..A questi inavvertiti concittadini umilmente porgiamo la nostra previsione, da tecnici conoscitori dall’interno della realtà delle pubbliche amministrazioni italiane: accadrà sicuramente, al momento dell’emanazione del decreto legislativo, che ciascun singolo dirigente pubblico si precipiterà a conquistarsi i favori di un qualunque politico in grado di salvargli e/o rinnovargli l’incarico e, per poter lavorare, sarà mediamente disposto a compiere qualunque “sacrificio”: il politico, a sua volta, non offrirà gratis la sua protezione, ma pretenderà che quel dirigente svolga le sue funzioni in modo da soddisfare i suoi interesse di parte….se poi questi “interesse di parte” consisteranno anche in atti illegittimi o illegali, nessun problema potrà essere posto da quel dirigente, pena la perdita di posto di lavoro e incarico. Ne deriverà uno scadimento generale – ancora più pronunciato di quello attuale – dei livelli di moralità e di corruzione nelle nostre Amministrazioni pubbliche…… E con questo è spiegato perché, in tutti i Paesi occidentali avanzati (Stati Uniti in primis), la pubblica Amministrazione si dota di un corpo di dirigenti pubblici di carriera. Nell’Amministrazione federale USA i posti dirigenziali sono occupati per il 90 % da dirigenti di carriera, i quali, peraltro, hanno il monopolio degli uffici dove vengono trattate materie a forte necessità di imparzialità (appalti, concessioni, autorizzazioni ). Tutto questo, non a garanzia dei dirigenti, ma della collettività. Se il dirigente offre per due anni consecutivi performance al disotto delle aspettative, un sistema di valutazione severissimo, ma trasparente, prevede la perdita del posto dirigenziale. Cioè, il diritto al posto e alla funzione sono garantiti dall’Ordinamento federale salvo performance e risultati non all’altezza del ruolo delicatissimo svolto.
Nel decreto sui ruoli unici (misera scopiazzatura del Senior Executive Service statunitense) – vedi – é assente qualunque forma di collegamento fra funzioni dei dirigenti pubblici e sistema di valutazione delle performance, unico vero chiavistello per svecchiare e valutare la dirigenza pubblica italiana.
Meditiamo tutti per favore…..
Pubblichiamo, infine, l’intervista concessa a “il Tempo” dal dr. Roberto Alesse, dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, riflettendo tuttavia come dirigenza pubblica su un punto: non è più tempo di steccati corporativi, di “distinzioni” e di “mi chiamo fuori”: ormai i dirigenti pubblici “della Repubblica” sono tutti nella stessa “barca” e rischiano di affondare tutti, insieme a importanti principi caposaldo della suddetta Repubblica.
Giuseppe Beato.
Democrazia in pericolo Renzi si fermi in tempo»