Si é svolto “alla chetichella” lo scorso 22 marzo 2017 – presso la Sala Giannini di Palazzo Vidoni a Roma – il seminario di presentazione del 10° Rapporto annuale della fondazione Promo P.A. – vedi sito web– sui punti di vista e le opinioni dei dirigenti pubblici sullo stato e l’andamento della Pubblica Amministrazione. Il basso profilo dell’iniziativa (il Ministro della Semplificazione non era presente – vedi programma) é sicuramente collegato ai risultati del sondaggio condotto con questionari inviati a circa 26.000 dirigenti pubblici centrali e delle Autonomie locali: i dirigenti che hanno risposto al questionario (il 3,8 % sul totale suddetto, risultato già di per sé indicativo di disaffezione e delusione) manifestano in generale un bassissimo grado di fiducia, inteso come percezione della qualità del proprio lavoro, delle opportunità del proprio ruolo dirigenziale e delle valutazione in ordine ai vari provvedimenti legislativi costituenti la cosiddetta “Riforma Madia“.
In particolare su quest’ultima, i dati sono clamorosi: Alle domande a) se ci sarà un guadagno di efficienza, b) se ci sarà una riduzione del peso e una diminuzione dei tempi degli adempimenti; c) se ci sarà un effettivo risparmio dei costi, d) se consentirà un’effettiva riduzione del numero delle società partecipate, e) se conferirà maggiore qualità ai lavori e alle forniture, f) se ha funzionato la cosiddetta Legge Del Rio sulle funzioni svolte dalle Province, una percentuale delle risposte oscillante fra il 75 e il 90 % valuta “poco” o “per niente” il risultato raggiunto o prevedibile: si vedano le relative tabelle del Rapporto riportato qui sotto (pagine 10-21): si registra solo un qualche moderato ottimismo (nel senso di “minore disaccordo”) solo in relazione alla diminuzione dei tempi dei procedimenti e al numero delle società partecipate. Questo, pertanto, é il pensiero di coloro i quali sono chiamati a dare attuazione ai decreti legislativi delegati dalla legge n. 124 dello scorso anno 2015. Sembra quasi superfluo notare che l’ennesima riforma calata dall’alto e non partecipata a chi per primo deve assumersi l’onore e l’onere di attuarla parte già con tanti punti-handicap.
Va anche rimarcato che, nell’articolazione per genere e per età delle suddette valutazioni (vedi pag 22 del rapporto), le dirigenti donna e i giovani sono più inclini alla negatività e al pessimismo. Dando, inoltre, per scontata una valutazione generalmente negativa e sfiduciata sullo “status del dirigente pubblico” (pagine 23-32) – da collegarsi con evidenza alle previsioni balorde del decreto sulla dirigenza abortito con la sentenza n. 251/2016 della Corte costituzionale (vedi qui) – colpiscono anche i giudizi dei dirigenti pubblici sul sistema di valutazione delle performance previsto dal decreto Brunetta e in via di rielaborazione legislativa: a proposito di questi, si ritiene che non abbiano portato una cultura della valutazione, non siano determinati per la conferma o mancata conferma degli incarichi, gli obiettivi di performance non vengano attribuiti in tempo utile né vengono negoziati, la revisione del sistema prevista dalla riforma Madia non sarà utile, né per lo sviluppo della carriera, né per aumentare l’efficienza gestionale della PA (pagine 33-41 del rapporto).
L’immagine che sovviene è un bel pollice verso della dirigenza rispetto al quadro riformatore avviato per l’ennesima volta dalla classe politica italiana.
Interlocutoria, infine, la valutazione della dirigenza sull’andamento dei livelli di legalità negli ultimi 10 anni (pag. 50): qui un buon 80% di loro si dichiara d’accordo o abbastanza d’accordo sul fatto che essa sia aumentata, fermo restando comunque un giudizio negativo sulle modalità di attuazione della legge n. 190/2012 sulla’”anticorruzione” e del decreto legislativo n. 96/2016 di modifica della normativa sulla “trasparenza”.
Di grande interesse infine la tabella di pagina 51, nella quale si dà conto del punto di vista dei dirigenti pubblici sui fattori che minano la cultura della legalità nelle Amministrazioni pubbliche del nostro Paese: essi sono, secondo tutta la dirigenza pubblica: nell’ordine: 1) L’aumento degli incarichi dirigenziali fiduciari; 2) le pressione della politica; 3) l’assenza di controlli.
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