Nel mondo dei cultori nostrani della pubblica amministrazione la figura del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson (1913-1921) cosa evoca? Probabilmente poco più di niente. I più avvertiti sanno che fu professore e rettore dell’Università di Princeton, che scrisse un articolo nel 1887 denominato “The Study of Administration” (che ripubblichiamo qui sotto in lingua originale e con la traduzione in italiano), che fu presidente della American Political Science Association (“Associazione Americana di Scienze Politiche”) e che, con tale solido background di esperto di burocrazia, si presentò alle elezioni presidenziali, le vinse e condusse vittoriosamente gli Stati Uniti nella prima guerra mondiale. Si potrebbe facilmente equipararlo alla figura del quasi contemporaneo Giovanni Giolitti che fu presidente del Consiglio dopo essere stato alto funzionario del Ministero delle Finanze e magistrato della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato. Ma ciò non basta.
A parte il fatto che anche Giolitti, formatosi alla scuola della pubblica amministrazione, risultò poi essere uno dei Presidenti del Consiglio che hanno fatto la storia del nostro Paese, in pochi hanno indagato su un altro punto fondamentale: che gli studi di Woodrow Wilson sulla pubblica amministrazione, sui suoi rapporti col potere politico esecutivo e sul collocamento e ruolo della burocrazia in uno stato democratico costituiscono una pietra miliare nella “costruzione” degli assetti delle burocrazie occidentali ben funzionanti.
In Italia, chi si cimenta nello studio della burocrazia pubblica si concentra prevalentemente su analisi meticolose sullo jus positum (cioè su leggi in vigore e molto di meno sulle leggi che ANDREBBERO fatte) oppure, come storici, sulle vicende passate della pubblica amministrazione italiana. In tutto questo c’è sempre la speranza di trarre un filo, un’ispirazione su ciò che sarebbe necessario per rendere migliore il funzionamento della nostra burocrazia. Tuttavia, partendo da tali assunti di analisi/ragionamento, la conseguenza è che ci si ritrova quasi sempre in un labirinto di questioni irrisolte, sulle quali si può solo esercitare la funzione della critica e niente di più.
Sono in pochissimi qui da noi coloro i quali (il prof. Franco Archibugi fu uno di questi) hanno “saltato il fosso”, preferendo utilizzare una metodo di studio diverso – lo potremmo definire senz’altro come “analisi delle best practice nel mondo” – incentrato sui principi cardine che, dalla metà del XIX secolo, hanno ispirato la legislazione sulla burocrazia meglio funzionante di altre democrazie occidentali. Ci sarebbe molto da studiare e imparare dal movimento di studi e opinioni che ruotò intorno al prof. Wilson a fine ‘800, ma anche dalle raccomandazioni del rapporto Northcode Trevelyan (vedi), dall’abolizione dello spoils system e introduzione del Merit System nell’amministrazione federale U.S.A. nel 1883 (vedi), dal pensiero di Max Weber (vedi qui), da Henry Fayol (vedi qui), delle 37 raccomandazioni del “Brownlow Committee” al presidente Roosevelt (poi tradotte nel “Reorganization Act” del 1939 – vedi). Quelli ed altri parametri di buon funzionamento della burocrazia costituiscono ancora oggi i caposaldi, l’intelaiatura di base di qualunque pubblica amministrazione occidentale, anche a valle delle innovazioni provenienti dal movimento del New Public Management degli scorsi decenni.
I concetti cardine dello studio che qui sotto si ripropone in lettura, tanto appaiono scontati oggi, quanto furono “di frontiera” allorché furono espressi all’epoca: “L’amministrazione è la parte più ovvia del governo; è il governo in azione; è il lato esecutivo, operativo, il lato più visibile del governo, ed è ovviamente antico quanto il governo stesso….. Fino ai nostri giorni tutti gli scrittori politici che leggiamo ora hanno pensato, discusso, dogmatizzato solo sulla costituzione del governo…..L’altra questione, come amministrare la legge con illuminazione, equità, rapidità e senza attriti, fu messa da parte come “dettaglio pratico” che gli impiegati potevano organizzare dopo che i medici si fossero accordati sui principi”. In una prima fase storica della statualità statunitense “c‘erano pochi o nessun problema amministrativo, o almeno poco a cui gli amministratori prestavano attenzione. Le funzioni del governo erano semplici, perché la vita stessa era semplice.” Dopo un secolo di storia “le funzioni del governo diventano ogni giorno più complesse e difficili, esse si moltiplicano anche enormemente di numero. Ovunque l’amministrazione si impegna in nuove imprese…. La creazione dei commissari nazionali delle ferrovie o delle linee telegrafiche, in aggiunta alle vecchie commissioni statali, comporta un ampliamento molto importante e delicato delle funzioni amministrative”. Rispetto a queste novità epocali, Wilson annotava esplicitamente che “nelle nostre pratiche amministrative non si riscontra molto metodo scientifico imparziale. L’atmosfera velenosa del governo cittadino, i segreti disonesti dell’amministrazione statale, la confusione, il sinecurismo e la corruzione continuamente scoperti negli uffici di Washington ci impediscono di credere che qualsiasi concezione chiara di ciò che costituisce una buona amministrazione sia ancora molto ampiamente diffuso negli Stati Uniti”. Da questa lettura severa della situazione della burocrazia degli Stati Uniti e dai timori sul prevalere della corruzione della confusione del sinecurismo negli uffici pupubblici W. fece discendere un concetto cardine : “l’amministrazione si trova al di fuori della sfera propria della politica. Le questioni amministrative non sono questioni politiche. Sebbene la politica stabilisca i compiti dell’amministrazione, non si dovrebbe permetterle di manipolare i suoi uffici”. La distinzione e autonomia di ambiti istituzionali fra politica e amministrazione diventava pertanto lo strumento necessario per combattere la corruzione: “La politica è l’attività dello Stato nelle cose grandi e universali, mentre l’amministrazione è l’attività dello Stato nelle cose individuali e piccole. La politica è quindi il campo speciale dello statista, l’amministrazione quella del funzionario tecnico…..La politica non fa nulla senza l’aiuto dell’amministrazione….. l’amministrazione non è quindi politica”. Ma la distinzione fra politica e amministrazione non era solo questione “pratica” di natura produttiva e/o di integrità dei singoli, quanto, ben al di sopra, una tematica da sciogliere al livello dei principi costituzionali della nazione. “Una visione chiara della differenza tra competenza del diritto costituzionale e competenza della funzione amministrativa non dovrebbe lasciare spazio ad equivoci; ed è possibile nominare alcuni criteri approssimativamente definiti su cui costruire tale visione. La pubblica amministrazione è l’esecuzione dettagliata e sistematica del diritto pubblico. Ogni applicazione particolare del diritto generale è un atto di amministrazione……I grandi piani di azione governativa non sono amministrativi; l’esecuzione dettagliata di tali piani è amministrativa……questa questione della distribuzione dell’autorità, se considerata nella sfera delle funzioni più alte e originarie del governo, è ovviamente una questione costituzionale centrale. Se lo studio amministrativo riuscirà a scoprire i migliori principi su cui basare tale distribuzione, avrà reso allo studio costituzionale un servizio inestimabile…. Scoprire il miglior principio per la distribuzione dell’autorità è forse il punto di maggiore importanza in un sistema democratico.” La questione del buono e corretto andamento delle pubbliche amministrazioni non poteva essere risolta solo con riferimento alla distinzione di ruoli fra politica e burocrazia; si poneva all’attenzione una questione di vigilanza dell’opinione pubblica sull’operato degli uffici pubblici. Per questo W. enunciò la necessità di un principio di responsabilità personale dei funzionari pubblici: “Tutti i sovrani diffidano dei loro servitori e il popolo sovrano non fa eccezione alla regola; ma come si può dissipare il suo sospetto attraverso la conoscenza?…… se tale vigilanza potesse essere aiutata da un’inconfondibile attribuzione di responsabilità, sarebbe del tutto benefica. La fiducia è forza in tutte le relazioni della vita; e, come è compito del riformatore costituzionale creare condizioni di fiducia, così è compito dell’organizzatore amministrativo dotare l’amministrazione di condizioni di chiara responsabilità che garantiscano l’affidabilità…..L’attenzione pubblica deve essere facilmente diretta, in ogni caso di buona o cattiva amministrazione, proprio all’uomo meritevole di lode o di biasimo”. Se il controllo “è centrato sui capi del servizio e sui capi dei rami del servizio, è facilmente sorvegliato e portato a verbale. Se per mantenere la sua carica un uomo deve ottenere un successo aperto e onesto e se allo stesso tempo si sente affidato con ampia libertà di discrezione, quanto maggiore è il suo potere, tanto meno è probabile che ne abusi, tanto più è nervoso e sobrio…. Minore è il suo potere, più sente di essere oscura e inosservata la sua posizione, e più facilmente ricade nella negligenza”. Era un’analisi critica sommamente raffinata su quale deve essere il rapporto controllo/fiducia nell’attribuzione di potere e autorità a un funzionario pubblico. Soprattutto il professor Wilson non si sottrasse dall’esame della questione centrale per il buon funzionamento di una burocrazia: i rapporti di forza fra politici e funzionari, alla luce del ruolo dell’opinione pubblica e degli elettori: “Quale ruolo avrà l’opinione pubblica nella condotta dell’amministrazione? Il nostro successo è messo in dubbio da quel nostro errore assillante, l’errore di cercare di fare troppo con il voto. L’autogoverno non consiste nell’avere mano in tutto, così come il governo della casa non consiste necessariamente nel preparare la cena con le proprie mani. Al cuoco bisogna affidare ampia discrezione nella gestione dei fuochi e dei forni. . . . Il problema è rendere efficiente l’opinione pubblica senza subire ingerenze….. Lasciamo che lo studio amministrativo trovi i mezzi migliori per dare alla critica pubblica questo controllo e per escluderla da ogni altra ingerenza. “ La prima risposta a questo problema è “preparare funzionari migliori come apparato governativo. . . . Bisognerà organizzare la democrazia inviando ai concorsi gli uomini della pubblica amministrazione decisamente preparati a sostenere prove liberali di conoscenze tecniche. Un servizio civile tecnicamente preparato sarà ormai diventato indispensabile….. un corpo di funzionari pubblici preparati con una formazione speciale e addestrati… accuratamente formati che prestano servizio durante la buona condotta: questa è una chiara necessità aziendale” . Ma ciò non è sufficiente, perché è necessaria “Una fedeltà ferma e sincera alla politica del governo che servono costituirà un buon comportamento.” Tuttavia la fedeltà alla politica del governo aveva come discriminante cardine la necessità che la politica non degenerasse in predominio elettorale e di partito. Lo spoils system inteso come scelta dei funzionari di fiducia del vincitore delle elezioni era il simbolo di ciò che Wilson e tutto il movimento democratico d’idee statunitense non voleva che avesse cittadinanza in un’amministrazione pubblica. In ciò W. non faceva che orientarsi sulla scia di quanto, quattro anni prima, aveva legiferato il Congresso U.S.A. emanando il cosiddetto “Pendleton Civil Service Reform Act” (1883), col quale si istituiva il “merit system”, al posto del precedente “sistema delle spoglie” (vedi qui).
Distinzione fra funzioni politiche e funzioni amministrative, quale principio cardine di buon funzionamento aziendale di un ufficio pubblico; controllo e vigilanza sulle amministrazioni pubbliche, da assolvere a cura delle assemblee rappresentative degli elettori; principio di responsabilità personale dei pubblici funzionari; necessità di una selezione dei migliori conseguita attraverso pubblici concorsi; formazione dei dipendenti pubblici e principio del merito individuale; rifiuto del “sistema delle spoglie” per impedire che il potere dei partiti travolga la necessaria imparzialità delle scelte amministrative. Ma, soprattutto, inquadramento delle problematiche della pubblica amministrazione e del diritto amministrativo come oggetto autonomo di studio, nel contesto dei principi costituzionali. Il pensiero di Woodrow Wilson costituisce la prima enunciazione teorica di come deve essere “disegnata” una burocrazia pubblica. Pensiero addirittura antecedente all’altro, altrettanto decisivo, del tedesco Max Weber che – a inizio ‘900 e in linea con le convinzioni espresse da Wilson (“Il sistema amministrativo della Prussia ci soffocherebbe”) – criticò l’amministrazione bismarkiana priva di un efficace controllo parlamentare e, delineando la medesima missione di servizio del funzionario pubblico descritta da Wilson (“sine ira et studio”), valorizzò al massimo le esperienze allora in atto nel Parlamento inglese.
Una fondamentale circostanza da sottolineare è, inoltre, quella secondo la quale il prof. Wilson non fu un pensatore isolato ( si veda qui in tal senso l’analisi di contesto a cura del prof. Arnaldo Testi), ma i suoi studi costituirono la punta d’eccellenza di un movimento comune d’idee che permeava i professori di Princeton, di Harvard, di Yale, della Johns Hopkins. Questo sentire comune si espresse anche nella sua designazione nel 1909 come presidente delll’APSA, l’American Political Science Association. Si ha, in altri termini, la rappresentazione di un mondo accademico/intellettuale che “faceva opinione” e che fu capace di orientare le scelte politiche che in seguito il Congresso andava a concretizzare con le leggi federali. Né fu avulso il pensiero del prof Wilson da un’attenta lettura di ciò che accadeva in altri Stati europei: è impossibile non collegare le sue enunciazioni teoriche sui concorsi pubblici e sulla professionalità dei funzionari senza ricordare che proprio questo era stato il centro delle raccomandazioni presenti nel rapporto Northcote-Trevelyan, sulle idee del quale William Gladstone istituì nel 1855 la “Civil Service Commission” britannica, tuttora funzionante sulla base dei medesimi principi.
Si vuole, in altre parole, qui significare – a beneficio di chi volesse relegare in un cantuccio le questioni di fondo poste dal presidente Wilson – che è esistito nelle democrazie occidentali un movimento omogeneo di idee che ha ispirato le legislazioni di (quasi) tutti gli Stati ed ha generato un modello di burocrazia pubblica che è stato migliorato e rigenerato dal movimento del New Public Management, ma non sovvertito quanto ai suoi principi cardine di funzionamento.
E l’Italia? Basti qui una dimostrazione “a contrario” del pensiero profondo del ceto dirigente di questo Paese dall’Unità d’Italia ad oggi: Woodrow Wilson, in un impeto d’entusiasmo e d’orgoglio molto “americano”, alla fine del suo saggio “The Study of Administration” scrisse queste testuali parole: “Il nostro compito è fornire la migliore vita possibile a un’organizzazione federale… Se risolviamo questo problema piloteremo nuovamente il mondo…..If we solve this problem we shall again pilot the world”. Il futuro presidente degli Stati Uniti legava la sua idea di supremazia degli Stati Uniti nel mondo al buon andamento e alla qualità dell’azione della burocrazia pubblica. C’è una voragine di lontananza dalla visione dominante nostrana di pubblica amministrazione, considerata come peso inaccettabile per l’economia e la società e come supposto impaccio alle libertà, da cui è necessario liberarsi ad ogni costo. Questo pregiudizio iniziale di fondo impedisce ancora oggi di poter perlomeno iniziare a immaginare una pubblica amministrazione italiana riformata.
Giuseppe Beato
Wilson “Lo studio dell’amministrazione
Wilson “The Study of Administration”. Testo integrale in lingua originale