Da segnalare sul Corriere della Sera del 16 giugno (vedi qui) l’intervento del prof. Pietro ICHINO, famoso per aver coniato nel lontano anno 2008 il termine “nullafacenti” per definire i dipendenti pubblici (da cui poi l’anno dopo i “fannulloni” dell’allora ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta). Da quei tempi non è stato modificato il taglio giornalistico con il quale vengono presentati sui grandi quotidiani del nord i pubblici dipendenti; fare di tutta l’erba un fascio è una pessima bugia, come se per altro verso si volesse definire tutti gli imprenditori come “evasori fiscali”, operando identica stupida generalizzazione.
Ichino afferma che lo Smart Working per i pubblici dipendenti è stata “nella maggioranza dei casi una vacanza pressoché totale pagata al 100%”: è un’affermazione basata sul nulla, solo a notare che gli atti delle pubbliche amministrazioni non hanno subìto stop e se hanno subìto rallentamenti la circostanza non ha riguardato solo i servizi pubblici, ma la comunità produttiva nazionale nel suo complesso.
Tuttavia, sul piano comunicativo, affermare che i dipendenti pubblici “sono stati a casa senza lavorare” vuol dire perseverare nell’azione di demolizione del lavoro pubblico e della “burocrazia”. Ichino opera oggettivamente sull’idea di contrasto fra settori diversi del lavoro dipendente italiano: la distinzione, su 18 milioni di lavoratori dipendenti, fra impiegati pubblici che avrebbero percepito durante il lock down la retribuzione intera senza far niente e lavoratori privati che hanno percepito l’80% della retribuzione a titolo di cassa integrazione alimenta pericolosamente l’odio sociale.
Smontare questo tipo di affermazioni è oltretutto perfino banale: dei 3 milioni di dipendenti pubblici, sanità, forze armate e scuola (composti da dipendenti pubblici che non si sono fermati e si sono comportati con onore durante la pandemia) costituiscono i 2/3 dell’intero mondo pubblico; per la parte restante (che comunque ha retto bene nel suo complesso), anche a voler considerare una quota di vuoto operativo dovuta tra l’altro in gran parte alla mancanza di adeguate strumentazioni informatiche in dotazione, la consistenza complessiva degli improduttivi totali o “semi-improduttivi” non supera il 10% del totale: allora, perché parlare del “100% di dipendenti pubblici in vacanza”? Si è dato carico l’esimio professore di verificare lo stato di arretratezza della digitalizzazione in “lavoro agile”, non certo addebitabile agli impiegati, ai dirigenti e ai professionisti pubblici? Un’analisi penosamente grossolana la sua, oltre che fuorviante.
La grande prova di abnegazione che tanti settori della PA hanno dato e stanno dando in questa fase critica deve essere considerata piuttosto un’opportunità di migliorare l’immagine della PA e quindi le dichiarazioni infelici contro il lavoro pubblico riportate a grandi titoli sui grandi quotidiani nazionali devono essere combattute con ogni mezzo lecito.
Non abbassiamo la guardia e difendiamo la Pubblica Amministrazione che ci onoriamo di servire!
Stefano Di Leo – Dirigente pubblico