Preferiamo utilizzare la foto di giovani al posto di quella di persone anziane per introdurre elementi del recente dibattito sulle pensioni, per sottolineare che i grandi assenti nelle proposte riportate dai quotidiani di questi giorni sono proprio loro. Si ha un bel ragionare sul limite di età in cui si dovrebbe andare in pensione (concetto sostanzialmente di corto respiro, perché mira soprattutto a “sistemare” coloro i quali oggi hanno un’età fra i 50 e i 60 anni), ma si dimentica (o meglio si omette di affrontare seriamente) il problema della sostenibilità di lungo periodo (venti/trent’anni) di un sistema previdenziale che presenterà a chi oggi è giovane carriere contributive non continuative e limiti di età futuri, a legislazione vigente intorno ai 70 anni, comunque perennemente “ballerini” fra una quota 100 e l’altra. Queste prospettive incerte aprono un futuro nero per chi grosso modo è nato dal 1970 in poi: pensione chissà quando e importi (tasso di sostituzione) penosi, vista la generale prevalenza di periodi non estesi di contribuzione causati dalla piaga dei lavori saltuari e il fatto che col sistema contributivo non esiste più l’integrazione al minimo (che fino a oggi supporta proprio le storie contributive “frastagliate” e “a macchia di leopardo”).
Riportiamo comunque tre articoli: la proposta della triplice sindacale di riportare l’età di pensione a 62 anni (chi paga?), la replica a stretto giro di Tito Boeri e la proposta – più equilibrata e “previdente” – di Alberto Brambilla.
BOERI abbassre età punisce i giovani
BRAMBILLA tre proposte per cambiare quota 100