Riprendiamo da Mariana Mazzucato alcuni concetti sul ruolo dello Stato federale U.S.A. nell’impulso della tecnologia verde in quel Paese. Svolgono una funzione fondamentale in quel contesto socio-economico due agenzie federali: Il Dipartimento per l’energia e l‘ARPA- E.
Il Dipartimento per l’energia – vedi qui gli approfondimenti – sorge nel 1977 sotto la presidenza Carter, sulle ceneri del “Progetto Manhattan”: si occupa del programma nucleare statunitense, sia in ambito civile che militare, del risparmio energetico, dello sviluppo di nuove forme di energia, della radioattività ambientale e l’energia prodotta in modo domestico. ” Il dipartimento dell’Energia ha contribuito allo sviluppo di quasi tutte le società nel campo dell’energia solare ed eolica negli Stati Uniti. La collaborazione con l’industria privata è frequente in America e il dipartimento dell’energia ha offerto attraverso sovvenzioni, prestiti e progetti di ricerca e sviluppo, facendo leva su un’ampia base di conoscenza fondata su finanziamenti alla ricerca universitaria e collaborazioni pubblico-privato in tutto il paese…..su un arco di cinque anni il dipartimento ha stanziato 777 milioni di dollari per finanziare università, laboratori nazionali, organizzazioni senza scopo di lucro e aziende private, in ogni parte negli Stati Uniti..Dispone direttamente di 17 laboratori nazionali, dando veste ufficiale e stabile alla rilevanza dell’innovazione energetica…. Distribuisce centinaia di milioni di dollari (attraverso fondi cofinanziati e programmi di prestiti) per sostenere lo sviluppo di impianti produttivi per pannelli solari, batterie per auto elettriche e progetti nel campo dei biocarburanti, oltre programmi mirati specificamente alla diffusione nel solare fotovoltaico nelle abitazioni private e nelle imprese. Queste recenti iniziative rappresentano un’enorme espansione della spesa pubblica per l’innovazione nell’economia civile” ( da “Lo stato Innovatore”, capitolo VI, pag.189).
L’ARPA- E – vedi qui approfondimenti – è stata creata nel 2007 all’interno del Dipartimento per l’Energia. Il suo modello di riferimento è il DARPA (Defence Advanced Research Project Agency) , la mitica agenzia del Dipartimento della Difesa (creata nel 1958 in occasione della sfida lanciata dall’Unione sovietica con il lancio dello Sputnik 1), che per prima elaborò i programmi di collegamento telematico fra 12 università statunitensi, all’origine dell’invenzione di Internet. Oggi la filosofia di quell’agenzia (effettuare investimenti chiave in tecnologie innovative per la sicurezza nazionale) è stata trasferita in ARPA- E, nel campo dei progetti di tecnologia energetica, con la seguente missione:
- Identificare e promuovere i progressi rivoluzionari nelle scienze fondamentali e applicate;
- Tradurre scoperte scientifiche e invenzioni d’avanguardia in innovazioni tecnologiche;
- Accelerare i progressi tecnologici trasformativi in settori che l’industria da sola non è in grado di intraprendere a causa dell’incertezza tecnica e finanziaria.
L’economista italo-americana osserva che “alla base della filosofia di ARPA-E é che l’insuccesso è un’eventualità prevista e tollerata….. è lo Stato che porta avanti progetti di ricerca e sviluppo, da cui il settore privato e anche organismi come il dipartimento dell’Energia, che subisce maggiore pressione affinché produca risultati, si tengono alla larga.“….”Gli scienziati sono liberi di esplorare le prospettive innovazione in campo energetico senza la pretesa che tutte le idee funzionino o producano valore commerciale nell’immediato. In sostanza, l’ARPA-E colma il research gap creato dalla presenza di interessi imprenditoriali troppo avversi al rischio per investire nelle tecnologie energetiche di domani ignorando le incertezze dell’oggi”.
In altri termini, solo lo Stato è in grado di finanziare investimenti strategici il cui successo non è garantito in partenza. Ma è proprio da queste iniziative pionieristiche che scaturiscono sempre alla fine le scoperte scientifiche e tecnologiche più radicali e innovative. Solo lo Stato può permettersi questo tipo di rischi. Indubbiamente il pensiero va alle teorie economiche di John Maynard Keynes sulla funzione equilibratrice dell’economia svolta dagli Stati. Ma la Mazzucato si spinge oltre affermando che gli organismi pubblici dei paesi che più hanno investito attraverso le banche per lo sviluppo (Cina e Brasile) “non si limitano a un’attività di credito in funzione anti-ciclica (come avrebbe chiesto Keynes), ma la “indirizzano” verso i comparti più innovativi della green economy” (pag. 5).
Sullo sfondo, la sfida intellettuale radicale che Mariana Mazzucato lancia verso i venture capital privati. Come noto, i fondi di venture capital sono stati da più parte acclamati per la loro caratteristica di investire su progetti d’impresa con alto tasso di rischio e, quindi, i più adatti a finanziare gli investimenti in settori innovativi quale quello delle tecnologie pulite: ebbene, su questi fondi l’economista afferma che “i venture capital preferiscono concentrarsi, sulle scommesse più sicure invece che sulle innovazioni radicali che sarebbero necessarie per trasformare le società e centrare l’obiettivo promuovere la crescita economica” ed anche quando abbiano finanziato imprese impegnate in progetti industriali d’avanguardia perseguono fini diversi dal successo industriale e “aspettano ansiosamente il momento giusto per uscire all’investimento, attraverso un collocamento in borsa, una fusione, un’acquisizione, in modo da monetizzare la quota del pacchetto azionario ricevuto in cambio dell’investimento: i venture capitalist preferiscono rastrellare cospicui profitti finanziari tramite le plusvalenze originate dalla vendita di azioni, invece di aspettare il rendimento del capitale investito attraverso il flusso di cassa originato dall’attività dell’azienda“.
Impossibilità, in conclusione, per i soli soggetti privati di governare i grandi cambiamenti economici epocali e ineludibilità di una scelta chiara per un ruolo di direzione strategica da parte dello Stato, con politiche pubbliche incentrate su incentivi alla ricerca e finanziamenti di rischio.
Giuseppe Beato