IL SISTEMA AMMINISTRATIVO ITALIANO 1982 CASSESE
Riteniamo di fornire ai più giovani un elemento di conoscenza fondamentale pubblicando un testo “antico” del 1982 – Il Sistema amministrativo italiano – che costituiva materia di studio per i partecipanti dell’epoca ai corsi della Scuola superiore della Pubblica Amministrazione.
L’errore più clamoroso sarebbe relegare la “fotografia in azione” che Sabino Cassese produceva 35 anni fa del sistema amministrativo italiano fra i materiali archeologici! Nulla di più attuale, invece! Certo – sembrerebbe – l’istituzione delle Regioni, allora ai primi passi, i principi di separazione fra politica e amministrazione (sic) di là da venire, la travolgente devoluzione di una massa enorme di competenze normative e amministrative dallo Stato alle Autonomie locali, la dirigenza pubblica all’epoca “inamovibile”, i CO. RE. CO. ancora funzionanti….quale vista si può trarre da un simile testo sull’attualità? Quasi tutto, diciamo noi…. Perché da allora, se per un verso sono mutati i soggetti in campo, le rispettive competenze, i poteri di questo o quello, non si sono affatto modificate le dinamiche e le problematiche di fondo del funzionamento delle pubbliche amministrazioni in Italia: dal testo di Cassese dell’epoca si può chiaramente trarre la trama immanente di un cantiere in continuo sommovimento, che cerca incessantemente un punto di equilibrio, senza che il ceto dirigente politico e amministrativo sia capace di trovare una cifra di riconoscimento, un ubi consistam accettato e generalmente condiviso.
Citiamo in ordine sparso i riferimenti che più vividamente raccontano “l’oggi” – identico al passato – non ancora positivamente definito: “mutamento dell’assetto organizzativo dell’Amministrazione italiana..costituito dalla crescita di strutture amministrative che si affiancano ai Ministeri, determinando la formazione di un’organizzazione multipolare dei poteri pubblici” (p. 21). “convinzione (del Nitti e di Alberto Beneduce – n.d.r.) che l’amministrazione statale non è in grado di svolgere i suoi compiti in maniera efficace perché è pletorica…ha troppo personale poco preparato..si presta facilmente al clientelismo ” (p. 24).”sul presupposto che l’Amministrazione statale non funziona si dà vita a strutture pubbliche fuori dallo Stato” (p. 26). La “proliferazione delle amministrazioni “parallele” (pag. 27). Sul rapporto Parlamento- amministrazione: “Il Parlamento emana una gran quantità di leggi sull’esercizio della funzione amministrativa, limitando sempre più la discrezionalità dell’amministrazione e rivendicando un ruolo centrale e di primazia nel sistema politico-amministrativo” (pag. 38). Una splendida disamina dei rapporti fra “politica, legislazione e amministrazione” (pagg. 46- 60), alla quale nulla si può aggiungere oggi: “L’alta burocrazia, pur avendo una funzione servente della dirigenza politica, non è integrata ad essa. In altre parole, la dirigenza amministrativa é funzionalmente, ma non strutturalmente, parte della classe dirigente”(pag. 47). “Mentre nel primo quarantennio di storia unitaria e nel primo ventennio del XX secolo vi era frequente accesso alla politica di alti burocrati (basti vedere quanti di essi sedettero in Parlamento e divennero Ministri) nel secondo dopoguerra non vi è più osmosi fra amministrazione e politica“..”l’assenza di osmosi fa sì che i ministri conoscano molto poco gli apparati, di cui pure sono i capi.” (pagg. 49-50). “L’estraneità della politica all’amministrazione dà luogo a una serie di reazioni a catena fra i due protagonisti della vicenda: a) la dirigenza, esclusa dal circuito della decisione, si mette in posizione difensiva, cercando di accrescere le sue prerogative di status; b) la “classe politica”, nel tentativo di porre rimedio alla situazione che si viene così a creare adotta rimedi inefficienti e controproducenti; c) la dirigenza, a sua volta, si rifugia nel legalismo, facendone baluardo contro le “intromissioni” dei politici; d) la “classe politica” moltiplica le leggi per tentare di guidare l’amministrazione; sull’attuazione delle leggi, a complicare il quadro, intervengono i giudici; e) alla fine del circolo, il risultato é che aumentano la vischiosità dei procedimenti e l’inefficienza dell’Amministrazione (pagg. 52-53)….”il problema dunque é quello di dare un posto alla dirigenza amministrativa nella classe dirigente del Paese. E, per la dirigenza, di mettersi in grado di assumere queste responsabilità” (pag. 59). “Il dato che risulta con maggiore evidenza é l’alto numero di leggi che regolano la potestà amministrativa. Il fenomeno é peculiare d’Italia” (pag. 63). Tre guai fondamentali: la cattiva fattura delle leggi, la complicatezza dei procedimenti, la mentalità bizantina dei soggetti chiamati ad applicare le leggi” (p. 64). Sulle Autonomie locali e sull’apparato generale delle Amministrazioni pubbliche previsto dalla Costituzione: “8074 comuni , 94 province, 4024 consorzi, 333 aziende speciali, 353 comunità montane, 760 distretti scolastici, 669 unità sanitarie locali: il cittadino ha difficoltà a orientassi in questo intrico, tanto più negativo in quanto, mentre si sopprimono enti nazionali, se ne costituiscono a livello periferico” (p. 119), “vi sono ancora 9 Ministeri con un’organizzazione decentrata in senso proprio” (p. 120), “la politica finanziaria rispetto ai poteri locali ha condotto a sperequazioni notevoli, perché il contenimento e le autorizzazioni di spesa si sono fondate sulla “spesa storica”….i rappresentanti regionali e locali chiedono ai loro elettori voti, ma non imposte; debbono invece chiedere entrate allo Stato. Si crea così una sorta di circolo vizioso di “irresponsabilità”, sia degli elettori che degli amministratori regionali e locali. Mentre si scaricano sullo Stato tensioni e conflitti.“.
Con pochi tratti Cassese fotografava un “assetto”, definiva un equilibrio malato di rapporti, descriveva una “foresta incantata” (vedi qui il suo “Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni” del successivo anno 1993 da Ministro per la funzione pubblica).
Sono lo stesso Cassese, nonché Guido Melis l’altro grande storico dell’Amministrazione pubblica italiana, a fornirci la chiave vera di lettura di una situazione tuttora ingovernabile: tutti i tentativi di “riforma” avvenuti nei 150 anni dall’Unità d’Italia furono e sono caratterizzati dalla “fuga dallo Stato“, dall’escamotage della costruzione di “amministrazioni parallele“. Aggiungiamo noi, più crudamente, che l’ottica di riforma è stata sempre guidata da un pervicace istinto di parte, con il quale le “riforme” sono state sempre concepite da una parte contro un’altra parte: lo Stato centrale contro le Amministrazioni “che sprecavano” negli anni ’10 e ’20 del secolo scorso, gli Enti del Parastato contro lo Stato “controllore” negli anni ’30. Le autonomie locali contro lo stato oppressore negli anni del secondo dopoguerra. I politici contro i burocrati e viceversa. Lo Stato contro gli sprechi delle Autonomie locali nella crisi economico finanziaria ancora in corso. La politica contro i Fannulloni e la dirigenza pubblica nel confuso presente. Un fastidio generalizzato dell’opinione pubblica contro tutta la pubblica amministrazione che, invece, dovrebbe e deve essere il punto di sintesi e di snodo di qualunque politica pubblica venga concepita dalle classi al Governo della Repubblica. L’Italia dei guelfi e dei ghibellini che non é capace di sollevare lo sguardo dal suo istinto di parte e di immaginare – come in tutte le altre nazioni civili – una governance amministrativa a più livelli, dove ciascun protagonista sappia recitare ordinatamente la propria parte. Con la perniciosa aggravante che in queste continue oscillazioni sia coinvolto e protagonista anche l’assetto confuso della “ripartizione dei poteri” previsto dalla nostra Carta costituzionale. C’è ancora molto, molto da lavorare per dotare l’Italia di un motore politico-amministrativo degno di una nazione moderna.
Giuseppe Beato