Non stupisca la ripresa di due articoli di oltre 20 anni fa sulla tematica dell’ordinamento delle carriere nel pubblico impiego. Attireranno l’interesse di ricercatori e storici di nicchia. Tuttavia, letti con un po’ di curiosità intellettuale, consentono di comprendere il vero e proprio terremoto che si verificò nei primi 10 anni del secolo in corso e i cui effetti operano ancora – perniciosamente – nel presente.
L’epoca qui evocata è quella della cosiddetta “seconda privatizzazione”, che contemplò fra l’altro una riforma delle carriere pubbliche disposta dal decreto legislativo n. 80 del marzo 1998 (vedi qui) i cui contenuti furono poi riversati integralmente nel testo unico d. lgs. 165/2001. Sottoposto in seguito quest’ultimo a svariate modifiche e integrazioni, è oggi ancora pienamente vigente.
I due studi in questione ricostruiscono il quadro generale delle innovazioni recate dai cosiddetti “decreti Bassanini” (vedi qui), del contesto politico/istituzionale dell’epoca (Antonio Zucaro) e delle logiche legislativo/contrattuali che portarono alle promozioni di massa degli anni 2001/2009 (Valerio Talamo). Una sintesi sommaria può essere la seguente: da un preesistente sistema di carriere basato su 4 ruoli, con accesso dall’esterno ai ruoli medesimi, avanzamento per anzianità all’interno dei ruoli, classi e scatti di stipendio automatici si passò con la legge n. 312/1980 (che dispiegò i suoi effetti nel ventennio successivo) alla previsione di nove qualifiche funzionali. Quella legge produsse nove “gabbie”, perchè precludeva qualunque possibilità di avanzamento al dipendente collocato in uno di quei livelli, se non partecipando a concorsi pubblici esterni per l’accesso ai livelli superiori (si veda in tal senso la sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del gennaio 1999); furono pertanto favoriti all’epoca i giovani che entravano dall’esterno attraverso concorsi. La normativa Bassanini “fece saltare” il sistema prima regolato dalla legge 312; fu devoluta alle previsioni dei CCNL la regolazione integrale sia dei sistemi di classificazione del personale pubblico, sia delle procedure selettive di assegnazione/passaggio fra i diversi livelli di carriera. Le operazioni di collocazione iniziale dei dipendenti in tre aree di inquadramento e le progressioni economiche (orizzontali) e “di carriera” (verticali) furono demandate alla competenza delle migliaia di amministrazioni pubbliche italiane e “presidiate” dagli rappresentanze dei lavoratori interni. Ne risultarono così centinaia di migliaia di promozioni di massa per “selezioni interne”, che non tenevano conto dei titoli di studio come in passato e un contemporaneo blocco quasi totale di assunzioni per concorso pubblico, grazie al seguente codicillo contenuto all’articolo 35 del d. lgs. 165/2001: “procedure selettive…che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno“. Chiaro che, per dieci anni, la “misura adeguata” di tali accessi fu ritenuta dalle pubbliche amministrazioni – ormai governate dall’alleanza fra vertici politici e influenti rappresentanze sindacali – prossima allo zero. Ciò in barba al principio dell’art. 97 della Costituzione che individua nel concorso bandito all’esterno lo strumento principale per l’immissione in qualunque funzione pubblica. Le due specifiche analisi, sotto allegate, dei mutamenti giuridici allora avvenuti sono preziose per comprendere a fondo gli effetti nel decennio 1999/2009 di un tale tsunami regolatorio.
Trascorso il decennio iniziale di “devoluzione” della materia degli ordinamenti professionali e delle selezioni interne alle contrattazioni sia nazionali che integrative, sono seguiti dal 2009 due altri passaggi regolatori – tutti e due promossi da Renato Brunetta come ministro della Pubblica amministrazione – che hanno lasciato immutata una situazione di disordine e di illegittimità costituzionale. Primo passaggio dell’anno 2009 (d. lgs. n. 150): si limitò la collocazione con promozione interne nelle posizioni economiche e giuridiche al 50% dei posti disponibili in dotazione organica (vedi qui ); da quel momento fino al ridosso del decennio in corso, tuttavia, quella disposizione non produsse alcun risultato concreto di immissione dall’esterno, sia a causa del permanere del blocco del turn over, sia perchè la problematica resasi endemica del personale precario da sistemare accumulatosi negli anni condizionava il ripristino di un efficiente e regolare sistema concorsuale. Il secondo passaggio è avvenuto nell’anno 2021, con un’inversione “Brunetta 2” (la vendetta) rispetto al precedente tentativo dello stesso Brunetta di riportare un minimo d’ordine nel sistema delle assunzioni e delle carriere. E’ stata, infatti, inviata al Parlamento una disposizione contenuta nel decreto legge n. 80/2021 che ha “ricucinato” ancora una volta l’articolo 52 del decreto legislativo n. 165: è rimasta la riserva del 50% delle posizioni disponibili per l’accesso dall’esterno, ma si è consentito al 50% dei candidati interni di accedere ai posti di aree professionali più elevate, non attraverso concorso pubblico bensì attraverso “procedura comparativa” (che non è concorso) basata su titoli di servizio e professionali e di studio. Nella legge di conversione dell’articolo del DL in questione, sono saltati altri paletti, perchè è stato previsto che nei CCNL del triennio 2019-2021 siano previste “tabelle di equiparazione” fra ordinamenti professionali vecchi e nuovi che consentiranno il transito da un’area all’altra senza concorso “e anche in deroga al titolo di studio“ solo “sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’amministrazione di appartenenza per almeno cinque anni” ( vedi qui il testo). Con il che la legislazione vigente si colloca completamente fuori dal dettato costituzionale e i giovani che hanno studiato potranno dimenticare di aspirare a posizioni apicali nelle aree di inquadramento, perchè quelle saranno state completamente occupate da impiegati interni sforniti di laurea.
Così oggi stanno le cose.
Giuseppe Beato
Antonio Zucaro 2000 – L’attuazione della riforma del pubblico impiego – GDA Ipsoa