La nascita e le fortune di Apple hanno alimentato un mito dei nostri tempi che vede tre o quattro ragazzi che partono dal garage di casa dei genitori, hanno l’intuizione giusta, creano una start up e divengono in pochi anni leader mondiali nella diffusione di prodotti rivoluzionari quali l’iPod, l’iPhone,l’iPad (Steve Jobs), ma anche Windows di Bill Gates e Facebook di Mark Zuckerberg.
Eppure c’è qualcuno che ci racconta una storia più completa che, insieme alla genialità dei singoli, mette in giusta luce il fatto che quella genialità si poggia sulle solide spalle di un sistema pubblico capace di stimolare e supportare l’innovazione. Mariana Mazzucato – ancora lei – ci racconta nei particolari nel suo volume “Lo Stato innovatore” (2014, Laterza) come dietro le strabilianti performance della Apple ci fossero decenni di ricerca e investimenti pubblici, che si erano tradotti nella realizzazione proprio di quegli strumenti che alla fine Steve Job e i suoi seppero assemblare nei prodotti iPod, iPhone e iPad. Il grafico presente al capitolo 5 del libro da’ una sintesi dell’esposizione lì contenuta.
Il merito e il genio di Steve Jobs e dei suoi collaboratori fu quello di integrare dentro un design moderno, fortemente attrattivo e facilmente gestibile moltissime tecnologie di avanguardia che erano “il risultato, spesso trascurato e ignorato, di sforzi di ricerca e di finanziamento del governo e delle forze armate degli Stati Uniti“. La Apple ha saputo “cavalcare l’onda di imponenti investimenti pubblici nelle tecnologie rivoluzionarie che sono alla base dell’Iphone e dell’iPad : internet, il Gps, lo schermo a cristalli liquidi, la gestione tattile dello schermo stesso, il recentissimo assistente vocale Siri e le tecnologie di comunicazione“(pag. 124) e ancora “le unità di elaborazioni centrali (Cpu) dipendono da circuiti integrati enormemente più piccoli e con una capacità di memoria enormemente maggiore“, rispetto a quelli prima usati per elaborare i dati e che traggono origine dalle ricerche condotte in seguito alle commesse dell’aeronautica statunitense e della NASA (pag. 138).
Un protagonista centrale dell’evoluzione straordinaria delle tecnologie informatiche fu il Darpa (Defence Advanced Research Project Agency- vedi qui), agenzia della Difesa U.S.A., non solo il luogo dove fu concepito Internet, ma che fu l’ente pubblico che “finanziò la formazione di dipartimenti di scienza informatica, fornì il supporto iniziale alla ricerca di molte aziende di nuova formazione, contribuì alla ricerca sui semiconduttori e sullle interfacce uomo-computer, sovraintese alle prime fasi di internet…le strategie impiegate diedero un contributo enorme allo sviluppo dell’industria informatica e di molte delle tecnologie che in seguito sarebbero state incorporate nel personal computer furono sviluppate da ricercatori finanziati dalla Darpa” (pag. 107). “I funzionari del Darpa compresero le potenzialità che offriva il nuovo contesto di innovazione e riuscirono a sfruttarle, concentrandosi inizialmente su aziende nuove e di dimensioni più piccole, che potevano essere finanziate con somme molto inferiori rispetto a quelle delle grandi aziende” (pag 109).”Nel campo della fabbricazione di chip per computer il Darpa si fece carico delle spese legate alla realizzazione dei prototipi finanziando un laboratorio affiliato all’Università della California meridionale (pag. 110). Negli anni ’80 il programma Sbir (Small Business Innovation Research) finanziato su impulso di Ronald Reagan “sostenne un gran numero di start-up altamente innovative” (pag112).
In sintesi, “Gli Stati Uniti hanno fatto ricorso a politiche attive, interventiste, per orientare l’innovazione del settore privato” (pag. 117). Lo Stato operò, non solo a vantaggio della Apple, ma di tutte le start up innovative, su tre fronti: 1. investimenti diretti nel capitale durante le prime fasi della creazione e della crescita dell’azienda; 2. l’accesso alle tecnologie frutto di importanti programmi di ricerca promossi dal governo; 3. politiche fiscali , commerciali e tecnologiche a sostegno delle aziende americane (pag. 132).
Quale il ruolo dei “capitali di rischio” e dei finanziamenti provenienti dai “venture capital“? “Il capitale di rischio scarseggia nella fase di avviamento di un’azienda perchè il grado di rischio è molto più elevato, essendo del tutto incerte lei potenzialità di una nuova idea, le sue condizioni tecnologiche e la domanda (pag. 70) “Lo Stato ha fornito finanziamenti iniziali, dove i “venture capitalist” avevano paura d’investire, e ha sostenuto attraverso appalti pubblici attività innovative di alto livello del settore privato, che non sarebbero diventate realtà senza politiche pubbliche pensate per sostenere una strategia e una visione (pag. 104).
Con una vena chiaramente polemica – assolutamente condivisibile, secondo noi – nei confronti delle teorie neo-liberiste che ascrivono i successi nel campo dell’innovazione tecnologica alle sole imprese e ai capitali di rischio, pretendendo di relegare il ruolo dello Stato a quello di semplice “facilitatore”, quando non peso e impaccio, la Mazzucato afferma sulla “storia Apple” che “Non sono soltanto I dirigenti e gli azionisti della Apple ad essersi accollati il rischio implicito nello sviluppo di prodotti innovativi come l’ iPod, l’ iPhone e l’iPad. Al contrario: il successo di queste tecnologie si deve in larga misura alla capacità del governo americano di immaginare innovazioni radicali nel campo dell’elettronica e delle comunicazioni già negli anni 60 e 70. Poiché nessuno aveva il coraggio di farsi avanti, fu il governo americano (e soprattutto le forze armate) a scendere in campo e vincere la partita. La Apple ha incorporato nella nuova generazione di iPod, iPhone e iPad tecnologie che erano state seminate, coltivate e portate a maturazione dallo Stato (pag. 244). Infine, se vale ciò che disse Steve Jobs nel 2005 all’atto del conferimento delle lauree dell’Università di Stanford incoraggiando i giovani a perseguire “quello che amate e non perdendo l’avventatezza” ,” è vero anche che ciò è molto più facile se vivete in un paese in cui lo Stato si fa carico delle tecnologie più rischiose, effettua gli ingenti e audaci investimenti iniziali e poi sostiene queste tecnologie fino alla fase in cui gli operatori privati sono in grado di entrare in gioco…. con buona pace dei profeti del “libero mercato”, che continuano a mettere in guardia dal pericolo che sia lo Stato a decidere che vince e chi perde, possiamo dire che sono state le politiche del governo americano a gettare le basi per gli strumenti che hanno consentito alla Apple diventare protagonista in uno dei settori high tech più dinamici dei XXI secolo” (pag 257).
In conclusione, lungi dall’alimentare uno sciocco dibattito su chi “sia più bello”, se lo Stato o i privati”, l’autrice prende posizione a favore di un “ecosistema” nel quale siano fluidi e orientati strategicamente i rapporti fra soggetti pubblici e player privati e in cui si stabilisca un sistema di relazioni e di azione utile – ciascuno nel proprio ruolo e con le proprie caratteristiche distintive – a sostenere il sistema economico delle comunità nazionali (e sovranazionali).
Giuseppe Beato