Il richiamo al famoso aforisma di Tomasi di Lampedusa (“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”) si attaglia alla perfezione alla “rivoluzione” proclamata dal suo presidente Tito Boeri per l’avvenuta riorganizzazione della tecnostruttura dell’INPS, a due anni dalla sua assunzione alla responsabilità di vertice – vedi qui. Notoriamente, la frase pronunciata nel 1860 dal giovane Tancredi al Principe Salina nel romanzo “Il Gattopardo” riassumeva in sè un riferimento storico specifico del tempo: la scelta consapevole della classe dei possidenti, dei baroni siciliani, dei cosiddetti “galantuomini” di appoggiare la “rivoluzione” istituzionale in atto con il “subentro” al vertice delle istituzioni del Meridione d’Italia del Re di Sardegna, al posto del Re delle Due Sicilie. Tale evento, come poi effettivamente accaduto, non spostò di un millimetro il potere sociale/istituzionale/economico detenuto dai proprietari terrieri del Meridione d’Italia. Qui il paragone con l’INPS necessariamente si arresta, nel senso che negli ultimi 10 anni si sono avvicendati 5 Presidenti e 4 Direttori generali, ma rimangono sostanzialmente inalterati (attraverso una serie di rotazioni che ricordano il ballo della quadriglia) gli equilibri delle posizioni al vertice della Direzione Generale (vedi il nuovo organigramma con i nominativi degli attuali responsabili) con 3 (tre) prudentissimi innesti di dirigenti ex INPDAP in posizioni centrali di responsabilità (Acquisti e appalti, Patrimonio e archivi, Relazioni esterne). Da qui la locuzione “in progress” che integra il “Gattopardo” del titolo.
Andrebbe, comunque, illustrato minutamente a chi non ne conosce le modalità interne il funzionamento dell’enorme quota di potere detenuto dalle “seconde linee” di comando della tecnostruttura dell’INPS, fino ad oggi occupate da dirigenti di 1a fascia quaranta/cinquantenni, tutti nominati nel corso della gestione Mastrapasqua/Nori (Presidente e Direttore generale INPS negli anni a cavallo dei due primi decenni del millennio) fra il 2008 e il 2010; poteri sotto alcuni aspetti più incidenti di quelli dei Direttori generali e dei Presidenti che via, via si avvicendano al vertice.
Il peso e la rilevanza di questo ceto dirigenziale nasce da lontano, cioè da quella nobile tradizione manageriale che vide negli anni ’80 e ’90 in Gianni Billia e in una straordinaria leva di dirigenti di vertice (i Trizzino, i Familiari, i Porrari, i Prauscello, etc.) i protagonisti di un vero cambio di passo amministrativo, che si tradusse nell’introduzione di modalità manageriali adeguate ai tempi (pianificazione delle attività, monitoraggio della produttività, mobilità interna, forti investimenti in formazione) e nella prima adozione massiccia negli uffici pubblici degli strumenti informatici prima, telematici poi. Quell’INPS rappresentò veramente un modello virtuoso di azienda pubblica e un esempio da seguire per tutti. I protagonisti di quella VERA rivoluzione furono appunto un gruppo di dirigenti di vertice che, da allora, venne a costituire il baricentro di comando gestionale dell’Istituto.
La poderosa forza inerziale dei cambiamenti sopra-ricordati consentì all’INPS di procedere su binari di eccellenza anche nei primi 10 anni del nuovo millennio, caratterizzati dal progressivo assorbimento in INPS di pezzi rilevanti della previdenza e assistenza pubblica (dopo lo SCAU (vedi), l’INPDAI (vedi), poi l’IPOST (vedi), nonché la gestione degli accertamenti sanitari delle invalidità civili). Eppure, qualcosa di profondamente negativo si insinuò nella gestione amministrativa: recenti indagini della Magistratura hanno segnalato al di là di ragionevoli dubbi che il direttore generale dell’epoca (Vittorio Crecco: 2004- 2009) era in stretti rapporti con centrali d’affari occulte che condizionarono o tentarono di condizionare importanti appalti acquisiti dall’Istituto (vedi qui maxi-appalto per il contact center INPS)
Quasi contemporaneamente si concludeva la parabola lavorativa della “leva ” dei dirigenti di vertice “storici” INPS: fu attuato nel 2008 da Mastrapasqua e Nori un improvviso e traumatico ricambio generazionale in tutte le posizioni dirigenziali generali.
La parabola virtuosa della tecnostruttura di vertice dell’INPS comincia ad appannarsi sul finire dell’anno 2011, al momento in cui la riforma Fornero sancì la soppressione dell’INPDAP, l’ente di previdenza dei lavoratori pubblici, ricco dei suoi 140 miliardi di denaro pubblico gestito (70 in entrata e altrettanti in uscita), 7000 dipendenti operativi su tutto il territorio nazionale e una compagine dirigenziale di qualità (come il resto del personale). La conseguente scelta gestionale di fondo del vertice dell’Istituto – con il convinto consenso di tutto il personale di provenienza INPS – fu quella di privilegiare l’appartenenza all’INPS al merito individuale dei vecchi e dei nuovi lavoratori dell’Istituto. Fu chiamato “integrazione” quello che in effetti fu un processo di presidio difensivo degli INPS “nativi” di posti, di funzioni e di ruoli, a tutti i livelli. Fu una scelta miope – ma chiara nella sua “filosofia” e nei suoi effetti – che si concretizzò nell’emarginazione dai posti di responsabilità del nuovo ente integrato del welfare pubblico di gran parte della dirigenza di prima e seconda fascia e dei funzionari ex INPDAP. Le Sedi provinciali furono in grandissima parte affidate a dirigenti di provenienza INPS, a volte freschi vincitori di concorso, a fronte di consolidate professionalità di diversa provenienza; al vertice furono creati a bella posta 14 posti dirigenziali generali denominati “strutture di progetto” dall’incerta ed evanescente sostanza amministrativa, affidati solo ai dirigenti di prima fascia ex INPDAP. Non furono solo “operazioni di potere”, perché a queste si accompagnò la scelta gestionale di destrutturare e omologare i servizi previdenziali ex-INPDAP nonostante le chiare specificità legislative e operative, con ricadute negative sull’efficienza e la tempestività dei relativi servizi pensionistici. In aggiunta a ciò, i controlli esercitati dal Collegio dei Sindaci, nonché le indagini della Magistratura fecero man, mano emergere casi di irregolarità gestionale perpetratisi per anni (vedi qui la vicenda degli archivi INPS), inefficienti meccanismi di contrasto alle truffe sul territorio (vedi qui) e una poco accorta gestione del recupero dei crediti contributivi (vedi qui i 104 miliardi di residui attivi iscritti al bilancio INPS): episodi diffusi sul territorio e consolidati nel tempo che manifestarono una diversa immagine della gestione INPS, tale da non giustificare l’orgogliosa autoraffigurazione con cui l’ex-direttore NORI si affannava a ogni piè sospinto a celebrare l’Istituto come l’”Ente pubblico più grande d’Europa”. La grandezza non equivale necessariamente a qualità.
L’avvento di Tito Boeri agli inizi del 2015 al vertice dell’Istituto e la contemporanea nomina di un Direttore generale esterno (Massimo Cioffi) al vertice della Tecnostruttura non ha, da ultimo, impresso alcun dinamismo, soluzione di continuità o superamento delle criticità in corso, anzi, il sunnominato Cioffi è stato costretto a dimettersi due mesi fa per una chiara situazione di conflitto d’interessi legata ad evasioni contributive risalenti al tempo in cui era a capo del personale all’ENEL (vedi qui). La successiva nomina di una dirigente generale interna – Gabriella Di Michele – al ruolo di Direttore generale marca un punto a favore della tradizionale tecnostruttura INPS come baricentro del potere gestionale. Da non dimenticare il ruolo, anch’esso “tradizionale” e consolidato – che potremmo definire metodologicamente di “osservatori partecipanti” – dei tre sindacati confederali CIGL, CISL e UIL.
Le vicende sopra descritte – che cercano di raffigurare a grandi linee le costanti storiche degli equilibri di potere in INPS – forse poco appassionano il grande pubblico, salvo riflettere, anche alla luce degli scandali emersi di recente, sul fatto che da tali equilibri discende la gestione circa 860 miliardi euro annui fra entrate e uscite, di 45 milioni di posizioni assicurative fra lavoratori e pensionati e – punto estremamente sensibile – la gestione di ben 4,3 miliardi annui di spese di funzionamento (circa la metà per costo delle 30.000 unità di personale dipendente e i restanti 2 miliardi e più per acquisto di beni di consumo, servizi, spese d’informatica, spese per patrimonio strumentale e a reddito, erogazione di contributi ai Patronati e CAF (vedi qui articolo di stampa su spesa patronati) .
Dai sopra richiamati vertici della tecnostruttura INPS i 45 milioni di cittadini utenti – ma non solo loro – si aspettano ora una rinnovata capacità di muoversi al servizio degli interessi generali del Paese in quella posizione di imparzialità loro garantita dall’articolo 97 della Carta costituzionale e lontani/indipendenti da qualsivoglia filiera di interessi di potentati economici o paraistituzionali.
Dal Presidente Tito Boeri tutti i cittadini italiani si aspettano, invece – piuttosto che proclami su “rivoluzioni”, di tono simile a quelli già sentiti a suo tempo dal predecessore Mastrapasqua (vedi Sole 24 ore apr 2012) – alcune risposte cardine di sua stretta competenza:
– un sistema di monitoraggio chiaro e visibile dei tempi di liquidazione ai neo pensionati delle prime rate di pensione;
– un sistema di valutazione pubblico, esterno e neutrale sulle performance della sua dirigenza, cui sono affidate responsabilità gestionali di straordinaria delicatezza;
– un’ipotesi tecnica di piano generale di sostenibilità della previdenza pubblica che assicuri a favore dei lavoratori oggi quarantenni e cinquantenni un decoroso futuro pensionistico;
– la programmazione di un servizio di consulenza allo sportello a beneficio dei suddetti lavoratori pubblici e privati che non si limiti a consigliare loro di “rivolgersi al Patronato” ;
– un riscontro sugli interventi posti in essere a fronte delle 11 criticità della gestione INPS che egli denunciò pubblicamente nel 2015 alla Commissione bicamerale di controllo delle gestioni previdenziali pubbliche (vedi qui)
– la conferma dell’INPS come Ente pubblico italiano, lontano da qualunque tentazione possibile di gestione privatistica del welfare di questo Paese.
Dalle risposte a queste domande, semmai ci saranno, sarà possibile agli Italiani comprendere dove si dirige il Gattopardo in progress.
Giuseppe Beato