Non è detto affatto che, sempre, una persona di buona cultura sia in grado di associare contenuti concettuali adeguati alla locuzione “Intelligenza Artificiale”. Alle volte c’è solo qualche vago riferimento a processi mentali umani replicati da calcolatori elettronici di inaudita potenza e nulla più. Scandagliando più a fondo, invece, ci si può avvicinare al concetto di IA pensando alle classiche macchine calcolatrici (la memoria va alla “pascalina” dal nome del filosofo francese Blaise Pascal che la realizzò e la presentò nel 1645 al cardinale Richelieu): un congegno meccanico (poi digitale) che effettua in tempo reale procedimenti che il cervello umano compie generalmente in più tempo. Con l’evoluzione dell’informatica il concetto di “calcolatore” si è esteso enormemente, arrivando alla capacità di replicare i processi mentali che permettono alla mente umana di raccogliere una serie di esperienze – sia visive che semantiche – ed essere in condizione, sulla base di queste, di indirizzare i meccanismi decisionali verso un obiettivo definito. Dall’enorme capacità che hanno gli attuali sistemi elettronici di immagazzinare dati e dalla capacità di elaborare programmi (software) che indirizzano strumenti meccanici abbiamo, ad esempio, le modalità di guida senza conducente di automobili o oggetti volanti. Oppure la gestione con la telemedicina di una serie di rapporti automatici in relazione a necessità e/o urgenze di un malato. Oppure la previsione della domanda di mercato attraverso sistemi di machine learning (vedi). I campi di applicazione dell’intelligenza artificiale sono innumerevoli.
Nessuna comunità nazionale organizzata può sperare di giocare la sfida della modernità e del futuro senza essere in grado di capire e gestire gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale. Le conoscenze STEM (science, technology, engineering and mathematica) sono alla base della capacità di gestire questi processi.
A che punto è l’Italia? Come in molti altri campi è indietro. E’ illustrato nel piano triennale italiano di IA che qui si allega, che il nostro Paese si attarda a causa della frammentarietà della ricerca, di una insufficiente attrazione di talenti dall’estero, di un divario di genere significativo e di una limitata capacità brevettuale (l’Italia genera pochi brevetti). Siamo in dietro rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna come spesa per la ricerca , numero di ricercatori, pubblicazioni, investimenti aziendali e investimenti pubblici.
Il documento che qui alleghiamo, emanato dal governo Draghi lo scorso 15 ottobre, espone una strategia nazionale per uscire da queste minorità. Anche in questo settore della vita nazionale alla pubblica amministrazione viene assegnato un ruolo cardine.
IA-programma-strategico 2022:2024