Nel nostro Paese, la terminologia digitale si appresta a sostituire quella giuridica in una gara di terminologie da iniziati, incomprensibili ai più o di non immediata comprensione. Peccato, perché dietro locuzioni tipo “interoperabilità dei dati“, “once only“, “catalogo della semantica dei dati“, “e-service” si articola una problematica fondamentale per la democraticità di un’amministrazione pubblica moderna. La questione consiste essenzialmente nell’eliminazione della defatigante consuetudine secondo cui il cittadino deve certificare, ricorrendo alla sua documentazione personale, dati già in possesso della pubblica amministrazione, per i quali una delle sue molteplici propaggini chiede la presentazione, quale condizione esimente per rendere un servizio pubblico. A nulla fino ad oggi sono servite le grida manzoniane costituite da disposizioni di legge che obbligano le pp.aa. “ad acquisire d’ufficio le informazioni…, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni” (così recita l’art. 43 del dPR 445/2000- vedi). In questo contesto – caratterizzato anche da un misto di pigrizia e ostilità all’innovazione da parte di molte amministrazioni pubbliche – la tecnologia digitale si è inserita con l’obiettivo di creare le condizioni affinché i dati ricevuti e gestiti da un’amministrazione pubblica siano fruibili per tutte le altre; poi ha chiamato tutta l’operazione “once only” oppure “interoperabilità dei dati”(clicca qui).… in questo modo il lettore si è smarcato i primi due termini oscuri.
La predisposizione di strumenti digitali a sostegno del progetto di interoperabilità dei dati è stata valutata come obiettivo strategico all’interno del PNRR, con un investimento di 650 milioni di euro collocati all’intervento 1.3. della Missione n. 1 “Digitalizzazione, innovazione, comptetitività“. La questione centrale è costituita dalla modalità di definizione uniforme dei dati immessi a sistema, precisamente da un “vocabolario” (detto “catalogo della semantica dei dati“) cui tutte le aa. pp. devono attenersi nell’immettere e definire i dati relativi ai processi di lavoro di propria competenza. La seconda questione è la messa a fattor comune, a beneficio delle altre amministrazioni, dei dati prodotti, collocando gli stessi in idonei “bacini di riferimento” da cui attingere (“e-service“). Di ambedue le questioni si fa carico l’ISTAT, cui l’articolo 2 del D.P.R. n. 166/2010 attribuisce il compito di “definire i metodi e i formati da utilizzare da parte delle pubbliche amministrazioni per lo scambio e l’utilizzo in via telematica dell’informazione statistica e finanziaria, nonché a coordinare modificazioni, integrazioni e nuove impostazioni della modulistica e dei sistemi informativi utilizzati dalle pubbliche amministrazioni per raccogliere informazioni utilizzate”. L’Istituto ha provveduto a predisporre, a cura della dr.ssa Giovanna Bellitti e del dr. Massimo Fedeli, due manuali – da definire meglio come vere e proprie istruzioni – a beneficio di enti e società di forniture di software: il primo dal titolo “Regole per il trattamento digitale e la produzione dei dati” (vedi qui) e il secondo dal titolo “Metodi per l’interoperabilità per lo sviluppo dell’E-service“. Il punto di discrimine diventa ora la verifica puntuale dell’assolvimento da parte delle amministrazioni pubbliche delle modalità operative ufficialmente dettate in applicazione del Piano di Ripresa e Resilienza.
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