La dichiarazione del presidente di “Nuova Etica Pubblica” Antonio Zucaro
Se riflettiamo un attimo a mente fredda e sgombra, non c’è molto di nuovo nelle esternazioni riservate – che, proprio per questo, riflettono al meglio il pensiero di chi le fa – dell’energumeno Rocco Casalino: affermare che i dirigenti del Ministero dell’Economia sono dei “pezzi di merda” è solamente un modo diverso, all’altezza di una volgarità che tutto travolge e distorce, di esprimere un’antica diffidenza e ostilità nei confronti della dirigenza pubblica e della burocrazia in generale.
Questa rappresentazione della burocrazia come fonte di tutti i mali non la inventa Rocco Casalino, ma vede schierati da tempo immemorabile, insieme a un’opinione pubblica stanca e irata, legioni di politici e parti non esigue della grande stampa italiana e del mondo accademico settentrionale. Immaginiamo, pertanto, che, al di là delle proteste di circostanza, una fetta molto consistente di osservatori e di opinione pubblica plaudirà in cuor suo alle affermazioni di questo figuro perchè convinti che abbia “detto finalmente la verità”.
Casalino, infatti, esprime concetti perfettamente in linea con un pensiero pervicace, propagandato da settori finanziari e intellettuali fin dai tempi dell’Unità d’Italia e della costituzione della nostra amministrazione pubblica. Se ascoltiamo le argomentazioni che sostengono la sua tesi, notiamo la perfetta consonanza con un pensiero antico: da una parte un ceto politico volenteroso (quello oggi al Governo come quelli che lo hanno preceduto) che enuncia le sue direttive e, dall’altra parte , “persone che stanno lì da decenni e che proteggono il solito sistema e non ti fanno capire niente”. Colpevoli costoro di “non trovare 10 miliardi del cazzo” che sono reperibili i qualunque manovra economica (peccato che questo individuo dimentichi che i “10 miliardi da trovare” sarebbero quest’anno in più e non in meno, come le manovre finanziarie di questo disastrato Paese costringono a fare il Parlamento da decenni). I dirigenti del MEF – e come loro i dirigenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri – sarebbero dediti, chissà per quale motivo, a sabotare le direttive che provengono dal vertice politico del Paese (ma qualcuno del Governo, magari il presidente del Consiglio, ha provveduto a fornire direttive politiche precise e circostanziate agli uffici del Tesoro?).
Questi giudizi non sono di oggi, ma richiamano discorsi e affermazioni più volte ripetuti negli articoli dei giornali, nei convegni ed, infine, nei programmi di governo. L’accusa dell’”inamovibilità”, della “resistenza al cambiamento” e del “sabotaggio delle riforme” costituisce da decenni il piatto forte dei ragionamenti sul sistema amministrativo del nostro Paese. La “burocrazia” vista come un carrozzone, le ricette oniriche di riforma, tutte basate sul sogno dello “spoils system”, del “rapporto fiduciario”, degli “incarichi a tempo determinato”, del licenziamento dei dirigenti (ma dietro i dirigenti si manifesta anche un astio per gli impiegati pubblici in generale che hanno “il posto di lavoro sicuro”), di un’amministrazione pubblica “leggera”, dell’esternalizzazione delle funzioni pubbliche a soggetti privati.
La burocrazia e i suoi dirigenti vengono presentati come colpevoli dei mali del Paese, a dispetto della verità dei fatti che racconta una storia ben diversa. Piace raccontare bugie clamorose e nascondere verità imbarazzanti. Vediamone alcune: non sono troppi i dipendenti pubblici italiani né “costano di più” della media dei Paesi OCSE (vedi qui); nè i dirigenti pubblici nella loro stragrande maggioranza sono pagati di più della media (vedi qui); in nessun Paese occidentale avanzato esiste lo spoils system (Stati Uniti compresi); in nessun Paese avanzato esiste un coinvolgimento oltre i limiti della giusta e necessaria difesa dei lavoratori dei sindacati del pubblico impiego; in nessun Paese avanzato esiste un sistema di valutazione delle performance individuali “a pioggia”; in nessun Paese avanzato, anche quelli più compiutamente federali, il rapporto fra Stato e Autonomie è congegnato in modo tale da paralizzare qualunque iniziativa di investimento infrastrutturale e la prevalenza dello Stato centrale nelle questioni che investono l’intera comunità nazionale amministrata; in nessun Paese occidentale avanzato esistono tempi della giustizia più lunghi di quelli della nostra giustizia civile e amministrativa. Questo il contesto anarchico e sgovernato nel quale dirigenti e funzionari si trovano ad operare.
Ma il danno più grave che arrecano le teorie distorte sulla burocrazia come “baraccone” e sullo “Stato leggero” è un altro: si inocula nelle persone l’idea che, più che l’attuale sistema amministrativo italiano, è la pubblica amministrazione IN SE’ ad essere il male da eliminare. Idea quest’ultima storicamente assurda, visto che tutti gli Stati moderni e contemporanei più potenti hanno avuto ed hanno burocrazie influenti, stabili ed efficienti. Soprattutto hanno un concetto di Stato che gode del rispetto esteso della popolazione. Non solo, lo Stato in queste nazioni: a) è il supremo regolatore dell’economia e della libertà d’impresa, in modo tale da tutelare i cittadini da eventuali prepotenze economiche; b) INVESTE in infrastrutture e ricerca, ponendosi sempre al centro dei meccanismi di sviluppo del sistema socio-economico.
In Italia la politica è debole e nevrotica perché lo Stato è debole e male ordinato.
Ma queste nostre rischiano di essere ancora parole affidate al vento. Di conseguenza, per una volta, vogliamo inserirci anche noi di Nuova Etica Pubblica nel gioco della “ricerca del colpevole”; con la differenza tuttavia che , secondo noi, l’individuazione del colpevole coincide con l’individuazione delle cause di fondo della scarsa qualità della pubblica amministrazione del nostro Paese (non tutta sia chiaro! Esistono degli splendidi e non isolati esempi di eccellenza in Europa e nel mondo).
La nostra pubblica amministrazione, è questo il nostro pensiero, subisce la deleteria influenza di un orientamento storico che è contemporaneamente causa ed effetto della debolezza dello Stato italiano, fin dal momento della sua fragile Unità nel 1861: è l’idea, propria della grande imprenditoria italiana, ma poi propagatasi in tutti i settori della nostra comunità civile, che lo Stato debba avere un ruolo di semplice comprimario della grande industria, con scarsissimi poteri di regolazione e d’intervento sul mondo finanziario e industriale. Dai settori più influenti, più ricchi e più potenti del questo mondo filtra l’idea di fondo che è più “conveniente” un’amministrazione pubblica debole, inefficiente, poco o niente presente sugli snodi più importanti del sistema economico e sociale e del suo territorio. Uno Stato che svolga la sola funzione di soggetto “pagatore” di tutto e di tutti. Quest’idea viene fatta filtrare attraverso i grandi organi di stampa, nella stragrande maggioranza di proprietà di questi signori. Mai, da 160 anni a questa parte, il ceto industriale e finanziario del nostro Paese si è fatto carico in prima persona di far convergere la propria influenza nella direzione dell’efficienza dell’amministrazione pubblica: ha sempre preferito “sparare sull’ambulanza”. Piuttosto che porsi il problema di uno Stato autorevole che avrebbe portato sviluppo al Paese nel suo complesso, ha preferito e preferisce tuttora privilegiare rapporti con il ceto politico, qualunque ceto politico, improntati sulla lusinga, sull’ offerta di interessata collaborazione ai singoli, sulla promozione di soggetti politici proni ai propri interessi economici. Da questo equilibrio di fondo sono scaturiti, soprattutto in questo secondo dopoguerra, i sussidi pubblici ai potentati economici, le operazioni di sgravio fiscale ad usum delphini, i piani regolatori delle grandi città continuamente “variati”, gli affidamenti di grandi appalti e di concessioni mai sottoposti a stretta vigilanza, le scandalose tariffe di servizio imposte dai gruppi industriali operanti in regime di monopolio. Inutile aggiungere i nomi e i cognomi dei grandi player economici che questo tipo di rapporto hanno coltivato da sempre nei confronti dello Stato. Uno Stato debole e disorganizzato è molto più utile ai propri ristretti interessi di bottega. Perché modificarlo allora?
Saggezza vorrebbe, tuttavia, che si comprendesse che da questa perversa impostazione di fondo discende, a nostro avviso, tutto il resto: la latitanza di molti pubblici uffici, la corruzione, i disservizi, il profluvio di leggi astruse e inefficaci, l’autoreferenzialità blindata di molte amministrazioni pubbliche. Saggezza vorrebbe anche che qualcuno di questi signori comprendesse prima o poi che la rimozione di questo vero e proprio “equilibrio istituzionale dei poteri” arrecherebbe vantaggi enormi alla nostra comunità nazionale.
Va, infine, sottolineato, che, in un simile contesto malato, è un vero miracolo che esistano, ad esempio, i Vigili del Fuoco, i Carabinieri e la Polizia, i funzionari del Ministero dell’Economia, i medici e gli infermieri del Servizio sanitario nazionale, i tanti insegnanti bravi e i tanti impiegati integerrimi al lavoro nelle nostre pubbliche amministrazioni.
Il primo dovere politico e morale del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte sarebbe quello di licenziare in tronco il suo portavoce, tal Rocco Casalino, che ai tempi in cui era concorrente del Grande Fratello implorava le persone influenti che aveva avuto la ventura di conoscere chiedendo loro: “Mi fai fare politica?”. Ma ciò non accadrà, perché questo signore interpreta in modo ineccepibile il perverso sentire di molti potentati economici di questo povero Paese.
Roma, 24 settembre 2018
Il presidente di “Nuova Etica Pubblica” , Antonio Zucaro