Alla CGIA di Venezia Mestre (acronimo che non si sa in qual modo corrisponde ad “Associazione Artigiani e Commercianti e Piccole Imprese“) sono proprio delle sagome! Dicono di avere un “ufficio studi” e invece hanno solo un “ufficio propaganda”, che sforna a ripetizione delle supposte ricerche/studi sulla pubblica amministrazione italiana. L’ultimo lancio di qualche giorno fa quantifica gli sprechi della burocrazia nel “doppio dell’evasione, oltre 200 miliardi di euro”. La presentazione di tale “studio” è stata pubblicata nel sito dell’Associazione (vedi qui) e ripresa acriticamente dalla gran maggioranza degli organi d’informazione italiana (si vedano qui le decine di servizi giornalistici basati sui dati offerti dalla CGIA) .
SCONCERTO GENERALE!!!!
Ebbene, quei dati non sono il frutto di una ricerca degna di un ufficio studi, ma l’assemblaggio disordinato di “pezzi isolati” e di analisi condotte in anni trascorsi da vari soggetti non sempre ben esemplicabili. Ma c’è di peggio: la CGIA aveva già diffuso lo stesso identico materiale lo scorso anno 2019, sempre nel mese di settembre, con dati e informazioni identiche a quelle di qualche giorno fa (si vedano qui le evidenze). Come è possibile una tale operazione di “disinformatia” in un Paese che si autoqualifica come democratico e libero?
Semplice!…… facendo “ammuina” con i dati, ma preoccupandosi di presentarli con forme retoriche tali da indurre un’idea di “oggettività” – non verificata né verificabile – degli stessi. E’ vero che il dr. Paolo Zabeo, responsabile dell'”Ufficio studi”, si è preoccupato di mettere le mani avanti chiarendo fra le righe che “L’Ufficio studi della CGIA tiene a precisare che, quello appena richiamato, è un raffronto che non ha alcun rigore scientifico: gli effetti economici delle inefficienze pubbliche che gravano in particolar modo sulle imprese sono di fonte diversa, i dati non sono omogenei, gli ambiti in molti casi si sovrappongono e, per tali ragioni, non si possono sommare. La riflessione, tuttavia, ha un suo rigore concettuale“. Per avanzare seri dubbi sul “rigore concettuale” della ricerca – è più giusto qualificarla come “manifesto periodico di propaganda” visto che gli identici contenuti vengono pubblicizzati periodicamente (oltre al 2019, abbiamo trovato anche riferimenti informativi identici e di identico tenore nell’anno 2016 – vedi qui) – é sufficiente dar conto dell’assemblaggio di dati, effettuato estrapolando a piacere da studi compiuti in anni anche molto lontani.
Intanto, la sommatoria delle varie cifre indicate nella “ricerca” non è 200 miliardi, ma molto di più; per quale motivo? perchè il lettore meno “avveduto” pensi che, pure se non verificati alla virgola, tuttavia “la sostanza è quella”!….e invece la sostanza NON E’ quella. Ci siamo dati pena di verificare, voce per voce, le “informazioni” riportate dalla CGIA – acchiappate qui e là “come il web le manda” – e possiamo dimostrare che gli importi indicati sono segnalati in modo improprio e la qualificazione di “sprechi della pubblica amministrazione” data agli stessi non é corretta. Vediamo di seguito.
- Costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la PA (burocrazia) è pari a 57 miliardi di euro (Fonte: The European House Ambrosetti): la fonte è uno studio molto buono del club Ambrosetti presentato a Cernobbio lo scorso anno 2019 (vedi qui) che aveva tuttavia un taglio ben diverso dall’incitazione all’inimicizia sociale che hanno i comunicati di CGIA: lì si prendeva atto di una situazione assolutamente negativa della PA italiana, ma si proponeva alla politica e alle forze sociali ed economiche un percorso di fuoriuscita dalla crisi. Peraltro va chiarito che gli “sprechi” segnalati non sono ascrivibili alle pubbliche amministrazioni, ma al sistema economico-produttivo in generale (partendo da una stima del 4% di “costi della burocrazia” per le piccole imprese, come segnalato alla pagina 125 del rapporto). E qui segnaliamo la prima possibile sovrapposizione di importi fra fonti diverse e diversamente citate: nei 57 miliardi di “spreco” ci sono anche i costi per i ritardi delle pp.aa. a pagare i debiti commerciali? Probabilmente sì: ciò significa che esistono importi – non si sa di quale entità – SOVRAPPOSTI con la voce successiva.
- debiti commerciali della PA nei confronti dei propri fornitori: ammontano a 53 miliardi di euro (Fonte: Banca d’Italia): in effetti è quanto stimato dalla Banca d’Italia nella relazione annuale del Governatore dello scorso anno 2019 (vedi), alla pagina 145. Peccato che la CGIA manchi – maliziosamente e insolentemente- di segnalare che l’importo di 53 miliardi è frutto di un’azione di riduzione dei tempi di pagamento, iniziata nel 2012, anno nel quale tali debiti erano stimati in 90 miliardi (quasi il doppio). Il fenomeno dei debiti commerciali rimane senz’altro inaccettabile e ancora da risolvere in modo strutturale nel nostro Paese, ma presentare il dato 2018 senza citare gli antefatti (vedi qui studio Banca d’Italia del 2015) e i recentissimi dati del MEF (vedi qui report dei quest’anno), manifesta un intento chiaramente aggressivo e derisorio. Inoltre l’importo dei debiti non e’ né un stock fisso patrimoniale, né una spesa corrente, bensì l’ammontare complessivo degli importi di spesa non ancora pagati: ciò significa che tali importi sono sì un sintomo di inefficienza grave , MA non sono “sprechi”: chi si esprime così non dimostra rigore definitorio e intellettuale.
- deficit logistico-infrastrutturale: per un importo di 40 miliardi di euro all’anno (Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti): qui , addirittura, la “fonte” è dell’anno 2017, governo Gentiloni e ministro Delrio, ed era un piano generale di riforma delle Infrastrutture italiane presentate dal quel governo (vedi qui). Anche qui, il contesto di ragionamento era TOTALMENTE DIVERSO e riguardava i possibili ed auspicabili risparmi che il Paese conseguirebbe ove la riforma fosse (stata) attuata: alla pagina 24 di quel rapporto si dice che il “gap logistico” esistente a causa del prevalere attuale del trasporto su gomma potrebbe essere colmato e si quantifica il vantaggio economico nel superamento di “un extra-costo nella “bolletta logistica” italiana di circa l’11% in più rispetto alla media europea, corrispondente a circa 13 miliardi di euro all’anno. Di questi, solo circa 5 miliardi di euro all’anno sono imputabili a caratteristiche intrinseche del Paese, mentre ben 8 miliardi di euro all’anno sono invece riconducibili ad inefficienze operative o di sistema. In una visione più estesa del perimetro logistico il valore del mercato che l’Italia può puntare a recuperare è di circa 40 miliardi di euro all’anno“. Lo studio ometteva di specificare in cosa consistesse quella “visione più estesa del perimetro classico” né tantomeno chiariva come si pervenisse all’importo di 40 miliardi di possibile recupero. Ciò non ha impedito all’ufficio studi della CGIA di gridare allo scandalo (vedi qui) segnalando un “deficit”, presto riqualificato come “spreco della pubblica amministrazione“, e riproposto quell’anno e in tutti gli anni successivi come componente di “spreco” complessivo della PA: quanto a dire che i benefici stimati e non conseguiti di una mancata riforma debbano essere qualificati come “sprechi della pubblica amministrazione”: lasciamo ai lettori il commento.
- Tempi della giustizia civile: se quella italiana avesse gli stessi tempi di quella tedesca, il guadagno in termini di Pil sarebbe di 40 miliardi di euro all’anno (Fonte: CER-Eures); l’inefficienza della giustizia civile (e penale) italiana sono inaccettabili e questo fenomeno è oggetto di un infinito numero di report e relazioni ufficiali (vedi qui i dati aggiornati del ministero della Giustizia). Tuttavia, citare uno studio della Confesercenti dell’anno 2017 (vedi qui) nel quale tali ritardi vengono stimanti in 40 miliardi di euro (pari a 2,5 punti di PIL) é un’operazione che meriterebbe adeguati riscontri critici (perchè 2,5 punti di PIL e non 2 , oppure 3?). Ma sopratutto – qui come in quasi tutte le voci richiamate nell’esposizione della CGIA – si qualificano erroneamente e maliziosamente i fenomeni rilevati (o meglio, stimati): ascrivere una delle tante mancate riforme istituzionali di questo Paese a “spreco” della pubblica amministrazione significa, non solo e non tanto denunciare un problema, quanto additare un colpevole (la pubblica amministrazione e chi lavora al suo interno).
- Spesa pubblica in eccesso: 24 i miliardi (Fonte: Discussion paper 23 Commissione Europea). E’ la più cervellotica delle voci presentate nello studio CGIA, non essendo peraltro adeguatamente verificabile la fonte, nonostante un loro articolo del lontano anno 2016 (vedi qui) rimandasse tale dato a una non ben annotata “recentissima analisi elaborata da due economisti italiani occupati presso la Direzione Generale Affari Economici e Finanziari dell’Ue“. Non sembra tuttavia necessario il riferimento specifico, perchè il contenuto stesso della citazione manifesta la filosofia perversa di tutto l’impianto presentato: cosa vuol dire “spesa pubblica in eccesso” ….”che non consente di abbassare le nostra pressione fiscale alla media UE”? Che dovremmo rinunciare a un pezzo di Stato sociale? oppure meglio, che le spese delle pubbliche amministrazioni potrebbero essere più utilmente allocate evitando spese inutili e “sprechi”? Benissimo!….Ma allora questa voce è la sintesi e il doppione di tutte le altre voci segnalate dall’ufficio studi della CGIA!
- Sprechi e la corruzione nella sanità: 23,5 miliardi di euro ogni anno (Fonte: ISPE); domanda: ma chi è questa ISPE?? Navigando adeguatamente si scopre sul web che è una rispettabile associazione privata che effettua studi nel campo della Sanità, operando in un mondo ricchissimo di fonti e indicatori della corruzione. I dati presentati si riferiscono all’anno 2013 (vedi qui) e sono esposti alla pagina 87 del lavoro, con una tabella a propria volta desunta da una “percentuale di corruzione” del 13% della spesa sanitaria totale, stimata dalla PriceWaterHouseCooper (accidenti che giro!!!). Domanda: che senso ha riferirsi a situazioni stimate risalenti a 7 anni fa, senza alcun riferimento o menzione delle evoluzioni intervenute nella situazione denunciata? Il fenomeno si è aggravato? Oppure è in regresso? Evidente che non si avverte questa necessità di conoscenza, perchè è sufficiente trovare un numero qualunque da gettare in campo come un frutto avvelenato.
- Sprechi e le inefficienze nel settore del trasporto pubblico locale ammontano a 12,5 miliardi di euro all’anno (Fonte: The European House Ambrosetti-Ferrovie dello Stato – vedi qui lo studio). La logica attraverso cui l’ufficio studi della CGIA di Mestre avvelena i pozzi è la medesima dei precedente punti 3 e 4: i risparmi stimati (alle pagg. 52-54) in uno studio di tre anni fa in caso di successo di una riforma infrastrutturale ipotizzata sono qualificati come “sprechi”. Che importa spiegare che l’importo del mancato risparmio stimato riguarda una delle sofferenze del sistema economico italiano nel suo complesso e quindi del sistema Paese? Più facile scrivere che si tratta di uno “spreco della pubblica amministrazione”. Il lettore dia un suo voto sull’onestà intellettuale di operazioni di questo tipo.
Cosa induce un’associazione che difende i legittimi interessi di una categoria di lavoratori italiani a costruire e presentare ai suoi associati, ai quotidiani (che si guardano bene dal verificare) e al Paese un assemblaggio improvvisato di dati come quello sopra esaminato? Semplice: l’obiettivo esclusivo é quello di accreditare come vero un titolo di giornale: “Gli sprechi di 200 miliardi della pubblica amministrazione sono IL DOPPIO dell’evasione fiscale stimata”. Non si rendono nemmeno conto che quest’affermazione implica una sorta di “excusatio non petita” per la categoria delle piccole imprese rappresentata. Il messaggio rozzo vuole essere: “i veri distruttori della ricchezza del Paese non siamo noi, ma chi opera nella pubblica amministrazione”.
Allora qui è il caso di dire che quest’operazione di disinformazione è un triste cortocircuito che denota impotenza e stanchezza: si evocano problemi gravi con l’unico obiettivo di additare colpevoli; si alimenta astio e inimicizia verso un’altra categoria di lavoratori, quella del pubblico impiego, presentandola come fautrice (e beneficiaria) di enormi sprechi. Perché ragionare in termini così scadenti? Sui piccoli imprenditori c’è da dire che sono una categoria debole e mal tutelata, probabilmente la più colpita dalla terribile pandemia di quest’anno; lavoratori che aspettano trattamenti meno cervellotici e inefficienti dagli uffici pubblici e una diversa agibilità della normativa fiscale che non colpisca chi è debole, ma i grandi evasori. Dall’altra parte il lavoro pubblico, che trabocca di cittadini che si comportano con disciplina e onore (quando non veri eroi come molti operatori della Sanità hanno mostrato in questi mesi), ma che sopporta da troppo tempo vaste sacche d’inefficienza generate da mancate riforme istituzionali e amministrative. Perché evocare odi e fantasmi? Ce lo spieghino.
Giuseppe Beato