Come noto è in discussione in seconda lettura al Senato il cosiddetto disegno di legge sulla concretezza n. 920- B (vedi qui il testo e il calendario dei lavori), predisposto dal Ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno. Ella si era presentata mesi fa ai sindacati e all’opinione pubblica affermando che non intendeva mettere mano all’ennesima “grande riforma”, ma che preferiva piuttosto procedere con interventi mirati su temi specifici.
La premessa era accettabile, salvo poi manifestare, negli interventi normativi proposti al Parlamento, un chiarissimo intento propagandistico, tutto mirato all’individuazione del colpevole di turno. Il colpevole è stato subito individuato: la dirigenza e il personale della pubblica amministrazione. Troppo difficile e complicato proporre ad un’opinione pubblica giustamente insoddisfatta e insofferente per le croniche deficienze delle pubbliche amministrazioni italiane una diagnosi complessiva della situazione e indicare una via d’uscita. La Ministra ha ritenuto sufficiente inventarsi uno strumento da applicare a tutti (in effetti non tutti, ma una parte consistente) i lavoratori pubblici: la verifica biometrica e videosorveglianza – prevista dall’articolo 2 del ddl – di tutti gli impiegati pubblici, da trattare alla stregua dei controlli anti-terrorismo agli aeroporti. A smentire un’impostazione di questo genere, a fronte della quale impallidiscono anche le intemerate del Ministro Brunetta sui “fannulloni” (prima di lui Pietro Ichino inventò il termine “nullafacenti”), sta, paradossalmente, la stessa relazione al disegno di legge in discussione, che riepiloga 77 (settantasette) casi di scoperta in flagrante di impiegati infedeli colti a manomettere i sistemi di registrazione delle presenze, su un panorama di tre milioni e 200mila dipendenti pubblici circa.
La reazioni dei sindacati a quella che si presenta come null’altro che una “legge manifesto/propaganda” (che comporta, peraltro, ingenti costi all’Erario per la sua applicazione) è stata durissima. Fra le altre presentiamo qui la lettera aperta inviata dalla Federazione CIDA dei dirigenti e delle alte professionalità al Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e recapitata a tutti i Senatori della Repubblica. La CIDA chiede l’abrogazione, sic et sempliciter, dell’articolo 2 in questione, per evidente contrasto sia col principio comunitario della proporzionalità, sia col principio costituzionale della parità di trattamento. Il testo della lettera sviluppa argomentazioni specifiche rispetto all’intera questione.
Memoria per Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato