La parsimoniosa integrità di Donato Menichella

In un Paese ossessionato dall’idea dei “poteri forti” – come l’araba fenice “che vi siano ciascun lo dice, dove siano nessun lo sa” – la figura dimenticata dai più di Donato Menichella (1896-1984) costituisce una sorta di irridente provocazione. Egli fu governatore della Banca d’Italia nel periodo drammatico del primo dopoguerra dal 1948 al 1960, dopo essere stato direttore generale dell’IRI al seguito di Alberto Beneduce. Stretto collaboratore di Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi, ebbe insieme a loro il “potere della scelta” su tutte le questioni di politica economica in un Paese che usciva stremato dalla guerra. Fu tra i “gestori” delle risorse del Piano Marshall –  chi guardi alle vicende in corso sull’attuazione del PNRR potrà trarre paragoni intuitivi – e fu tra i promotori della nascita della Cassa del Mezzogiorno, che, al di là di qualunque altra critica, ebbe il merito storico di convogliare importanti risorse finanziarie verso il martoriato Meridione d’Italia.

Degli uomini “potenti” incuriosiscono spesso alcuni dati di indole personale, che completano la descrizione delle loro azioni. Lo storico Guido Melis riporta qui di seguito una testimonianza sull’integrità morale dell’uomo. Invitiamo a consultare il suo articolo apparso sul sito IRPA e a leggere anche un ricordo di suo figlio: “Mio padre era uno “specialista dell’autoriduzione”. Autoridusse il suo stipendio nell’anteguerra a meno della metà. Non ritirò, quando fu reintegrato all’IRI, due anni e mezzo di stipendio; al presidente Paratore rispose: ‘Dall’ottobre 1943 al febbraio 1946 non ho lavorato!’. Fissò il suo stipendio nel dopoguerra a meno della metà di quanto gli veniva proposto; lo mantenne sempre basso. Se il decoro del grado si misura dallo stipendio, agì in modo spudoratamente indecoroso! Il 23 gennaio 1966, al compimento del settantesimo anno, chiese ed ottenne che gli riducessero il trattamento di quiescenza, praticamente alla metà, giustificandosi così: ‘Ho verificato che da pensionato mi servono molti meno danari!’. Ai figli ha lasciato un opuscolo dal titolo: ‘Come è che non sono diventato ricco’, documentandoci, con atti e lettere, queste ed altre rinunce a posti, prebende e cariche. Voleva giustificarsi con noi: ‘Vedete i denari non me li sono spesi con le donne; non ci sono, e perciò non li trovate, perché non li ho mai presi!’ Mia madre (gli voleva molto bene) ha sempre accettato, sia pure con rassegnazione, tali sue peregrine iniziative (anche quando dovemmo venderci la casa e consumare l’eredità di lei); però ogni tanto ci faceva un gesto toccandosi la testa, come a dire: ‘Quest’uomo non è onesto, è da interdire’ poi sorrideva e si capiva che era orgogliosa di lui”. (Donato Menichella, Roma, “Giornata Menichella”, 23 gennaio 1986). Il fatto che in Italia ci siano anche uomini come Menichella ci conforta non poco.

Guido Melis a proposito di Donato Menichella: la funzione pubblica non consente di accettare altre cariche o riconoscimenti

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