La scandalosa carenza di risorse umane informatiche interne nelle pubbliche amministrazioni.

Ci fu un tempo lontano – anni ’60, ’70 e inizio ’80 del secolo scorso – nel quale, affianco a una prevalente gestione “antica” delle procedure, alcune amministrazioni pubbliche si avviarono nei terreni allora impervi dell’informatizzazione. Furono esperienze d’avanguardia ispirate e dettate da pionieri innovatori. Si possono ricordare fra gli altri il Ministero del Tesoro, con i servizi contabili della Ragioneria Generale dello Stato e i Servizi Periferici per il pagamento degli emolumenti ai dipendenti statali; o  l’INPS del direttore generale Gianni Billia che rivoluzionò i servizi dell’Istituto introducendo a tappe forzate la telematica e la gestione automatizzata della liquidazione e del pagamento delle pensioni. Ebbene, in questi come negli altri casi di informatica pubblica, le amministrazioni operarono con risorse tecnico-professionali informatiche interne, capaci di gestire in autonomia le operazioni di analisi delle procedure e di predisposizione dei software di supporto. Esisteva cioè un patrimonio autonomo pubblico di risorse professionali. Tale patrimonio è stato clamorosamente dilapidato nel corso degli ultimi 25 anni, anche per effetto del drastico blocco del turn over degli impiegati pubblici.

Le pubblica amministrazioni hanno progressivamente intrapreso e mai più abbandonato la strada dell’acquisto di forniture esterne,  non solo di hardware, ma anche di tutti gli applicativi necessari per gestire i processi di lavoro.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non reca in alcun punto del suo progetto programmatorio – ne’ sul fronte degli investimenti né su quello delle riforme – il tema del reclutamento di professionalità tecnico informatiche interne alle pubbliche amministrazioni; il loro skill professionale è totalmente diverso dalle sole conoscenze digitali “lato utente”, necessarie per gestire le procedure digitalizzate: si prevedono   nella componente 1 della missione 1 (M1C1) due linee di investimento, la 2.2. (task force di 1000 professionisti per la reingegnerizzazione di 600 procedure amministrative, per un importo previsto di 730 milioni di euro) e la 2.3. (competenze e capacita’ organizzativa – lato utente – per un importo previsto di 490 milioni di euro). Due gocce nel mare dei circa 40 miliardi euro d’investimenti previsti per la digitalizzazione del Paese.

L’assenza di risorse informatiche professionalizzate interne pone le amministrazioni pubbliche in condizione di grave debolezza strutturale e danneggia gli interessi generali della collettività. Infatti, il non poter disporre di risorse proprie in grado intervenire sugli applicativi o sulle problematiche di rete costringe gli uffici pubblici, nella vita di tutti i giorni, a dipendere da fornitori esterni di servizi informatici per la manutenzione ordinaria dei programmi o per apportare variazioni tecniche minime, magari derivanti da novità normative che impongono di modificare un parametro tecnico o un iter procedurale. A questa situazione di sudditanza ordinaria si aggiungono danni molto più ingenti quando l’azienda pubblica si avventura nel mercato informatico per reperire un prodotto nuovo, necessario per svolgere i compiti d’istituto. In questi casi all’ordine del giorno, manca per definizione una capacità autonoma di valutare i prodotti e/o servizi che vengono offerti da ditte esterne e non esistono know howinterni che consentano di valutare il rapporto prezzi/qualità dei servizi in vendita. Ne risulta un soggetto pubblico incapace per definizione di curare la migliore qualità dei servizi affidati e di garantire livelli di spesa controllati.

E’ ovvio, a questo punto, specificare che la presenza di operatori privati sul mercato dei servizi informatici pubblici è un fattore comunque virtuoso, che arricchisce il panorama delle possibilità e dei vantaggi per un ufficio pubblico! Ma questa presenza non può essere monocorde e assorbente, pena la lesione degli interessi generali alla qualità dei servizi pubblici e al controllo della spesa. C’è una grande differenza fra un atteggiamento di disponibilità al mercato e quello di subalternità dell’interesse collettivo agli interessi privati. L’unico presidio possibile per salvaguardare interessi generali e la qualità dei servizi sta in una politica di reclutamento di professionalità informatiche interne, in numero congruo per garantire una sufficiente autonomia di gestione e di valutazione dei servizi informatici offerti dal suo esterno.

Il vuoto programmatorio e attuativo presente nel PNRR su questo tema costituisce un elemento di grave debolezza di tutto l’impianto innovatore dei servizi informatici pubblici. Ministeri ed enti pubblici medi e grandi devono avere fra i loro skill professionali un congruo numero di risorse professionali informatiche interne, ben retribuite e di alto profilo professionale. Sono altresì necessari presidi stabili a rete per il supporto tecnico ai piccoli comuni. Senza ricostituire un patrimonio pubblico di professionalità informatiche come si può pensare a un processo di digitalizzazione degli uffici pubblici realmente vincente?

Nel senso sopra enunciato si e’ espresso  il presidente della Confederazione CIDA, Mario Mantovani, rappresentando tale posizione al tavolo di Partenariato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, coordinato dal presidente del CNEL Tiziano Treu.

Mario Mantovani – PNRR: per la transizione digitale valorizzare le risorse umane interne alla PA

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