Su Il Foglio dello scorso 8 ottobre 2018 –vedi qui – è apparsa una recensione a cura di Adriano Sofri sull’ormai notissimo testo di Guido Melis “La macchina imperfetta“: vi è esposta una tesi originale rispetto alla descrizione dell’autore, che fa emergere nelle strutture dello Stato-amministrazione fascista una sorta di continuismo fra Stato liberale-Stato fascista-Stato democratico: la tesi di Sofri è che – al di là della capacità di reciproco adattamento fra classi politiche emergenti e classi dirigenti burocratiche – con l’avvento del fascismo fu compiuta un’operazione a incidere sul profondo della società civile: “Il totalitarismo era ciò cui la rivoluzione fascista aspirava. In quella nozione c’era soprattutto il sequestro della persona e la sua consegna al corpo sociale disciplinato e al suo capo, la politica “totale”. Il punto sta nella degradazione della democrazia e delle libertà“. Si trattò in altri termini di una cesura profonda che abbracciò le coscienze della società civile dell’epoca, a prescindere dai destini dei ceti dirigenti statali e amministrativi, tanto da anestetizzarne completamente tali coscienze al momento in cui il regime varò le leggi razziali.
A questo punto, il parallelo con la situazione attuale del popolo italiano discende con limpida linearità.
Sofri 8 ottobre 2018 – L’ombra del ventennio