Gli investimenti in opere pubbliche (ed in infrastrutture in genere) costituiscono in tutti gli Ordinamenti statuali uno dei segnali più evidenti e concreti della presenza dello Stato nel sistema economico: senza buoni investimenti il sistema economico langue e deperisce. In questi giorni si sono susseguiti molti articoli di stampa – vedi una rassegna sul sito http://www.sbloccacantieri.it – originati più o meno tutti dai segnali d’allarme lanciati dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili che per bocca del suo presidente Gabriele Buia denuncia una situazione prossima al collasso: amministrazioni pubbliche lente e norme del nuovo codice degli appalti non efficaci “che neanche le amministrazioni che devono applicarle riescono a comprendere” – vedi qui l’articolo. Si parla di circa 260 gare per grandi opere non ultimate bandite dal 2002 al 2014 e di un valore non utilizzato di circa 48 miliardi di euro sui 137 inizialmente impegnati.
Sono cifre da capogiro, che segnalano la situazione di un Paese bloccato. Chi volesse riprendere la rassegna stampa sopra consigliata vedrà che il leit-motiv (Corriere delle sera in primis) è quello di indicare la fantomatica “burocrazia” come il responsabile di tanto sfacelo. Il pezzo de “La Repubblica” dello scorso 6 maggio di Marco Ruffolo, che qui sotto riprendiamo, mette invece sotto la lente d’ingrandimento i comuni italiani che “non sanno fare appalti”; ma nemmeno questa chiave di lettura ci pare efficace ed esaustiva. A noi sembra che il grande imputato di questa situazione sia l’assetto istituzionale complessivo dei poteri politico-amministrativi rivisti dal titolo V della Costituzione, tanto per essere chiari. La congerie e l’intreccio confuso di competenze e attribuzioni, malamente distribuito fra i diversi Organi costituzionali, crea sempre un’inestricabile selva di passaggi amministrativi, senza la possibilità di ricondurre ad unità una procedura o una qualunque scelta: chi sta all’esterno della pubblica amministrazione, come gli imprenditori privati, legge solo il segnale di una indefinita “burocrazia asfissiante”. Ma i tanti intellettuali, giuristi e giornalisti che, invece, conoscono e ricordano le funamboliche sbandate riformiste costituzionali dei primi anni 2000 prudentemente tacciono.
Giuseppe Beato
NB: ci corre comunque l’obbligo di segnalare l’opinione del prof. Sabino Cassese in materia, tendente invece a rimedi non basati su alcuna “grande riforma”, ma costituiti da “interventi mirati, da realizzare subito, mobilitando quei buoni amministratori che abbondano nello Stato italiano, ma sono poco ascoltati, talora emarginati, e comunque frustrati dall’andazzo corrente” – vedi qui sua intervista a “Il Foglio” del 24 aprile 2018.
Repubblica 6 maggio 2018 – I Comuni non sanno fare gli appalti.