Le piccole guerriglie sociali sotto le spoglie di “studi”

La CGIA di Mestre (sedicente ufficio studi dell’Associazione Artigiani Commercianti e Piccole Imprese) ci delizia ogni anno di cosiddetti “report” sulla piccola amministrazione nei quali, invariabilmente, si evidenziano, con cifre e riferimenti “circostanziati”, gli sprechi annuali delle pubbliche amministrazioni. Tali sprechi sono sempre esposti in ammontare di euro nell’ordine delle centinaia di miliardi annui. Quest’anno, con lo “studio” che riprendiamo qui sotto e con somma ingenuità, si mettono a paragone gli sprechi della Pa con l’ammontare dell’evasione fiscale, associando così due affermazioni egualmente rozze. 

Noi non pensiamo che gli artigiani, i commercianti e la piccole imprese siano qualificabili come “evasori fiscali”, anche perché essi rappresentano il nerbo della vitalità economica del nostro Paese. Ciò detto, non ci diamo carico nemmeno di contestare i numeri sparati dalla cosiddetto ufficio studi, perchè compimmo questa operazione qualche anno fa, in un nostro articolo intitolatoLa CGIA di Mestre e la pubblica amministrazione: un minestrone di dati per l’inimicizia sociale” -vedi qua; lì si dimostrava con dovizia di particolari che non uno dei dati riportati dal cosiddetto ufficio studi presentava evidenza e connessione con i dati di realtà, certificati altrove e ripresi dalla CGIA medesima senza rigore scientifico alcuno.

Non ci cimentiamo in eguale fatica quest’anno, lasciando libero spazio al giudizio del lettore. Ora come allora, questi “studi”, più che rivestire carattere scientifico, hanno un obiettivo meramente politico – di bassa politica: prontamente ripresi dagli organi d’informazione nazionali – che eccellono sempre nella volgarizzazione di tesi già di per sé volgari (si veda qui il titolo di Dagospia “Ogni anno buttiamo nel cesso 180 miliardi di euro“) – il risultato perseguito è quello di additare la burocrazia italiana come peso dell’economia e causa dei mali del Paese. Fermo restando che ogni possibile critica all’efficienza delle nostre pubbliche amministrazioni è, non solo lecita, ma spesso aderente alla realtà, rimane il fatto gravissimo che, altro è indicare la burocrazia pubblica esistente come oggetto spesso mal funzionante e da riformare (citiamo fra i tanti un report purtroppo dimenticato della Studio Ambrosetti a Cernobbio nel 2019), altra cosa è additare la burocrazia come “male in sé” e i pubblici dipendenti come “fannulloni” nella loro totalità; la seconda tesi è perversa, da annoverare nell’ambito di  prodotti di sottocultura e indegna di un Paese occidentale avanzato.

Giuseppe Beato

 SPRECHI-EVASIONE-27.01.2024

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