Giungono sempre graditi e illuminanti gli scritti dei pochi studiosi italiani di pubblica amministrazione, decano dei quali è il prof. Sabino Cassese e ottimo “allievo” il prof. Giulio Napolitano. In questo mese di agosto 2023 registriamo due loro articoli apparsi su “Il Corriere della Sera” del 20 e su “Il Foglio” del 19/20, che qui sotto riprendiamo. Lasciamo alla curiosità del lettore gli approfondimenti sui mali e sui rimedi che ravvisano i due professori: eccessiva presenza di “leggi-provvedimento” con il quale il governo si sostituisce alla funzioni di pertinenza della dirigenza pubblica; illeggibilità del quadro legislativo con conseguente necessità di predisporre dei “codici di settore” (leggi quadro?) sulle materie di pertinenza di ciascun ministro; istituzione di una “Conferenza Amministrativa” deputata a produrre raccomandazioni sul funzionamento della macchina; chiusura dei piccoli tribunali; chiusura di scuole lì dove sia evidente l’impatto della denatalità; evitare di assumere “all’ingrosso” 200.000 nuovi impiegati pubblici, senza adeguate valutazioni sui fabbisogni necessari di professionalità vecchie e nuove.
Sono tutte misure condivisibili e necessarie, sia chiaro. Tuttavia, estrapolate da un contesto generale di riferimento complessivamente considerato, si presentano come ottime “ricette” impartite da una nonna o da un papà a figli e nipoti ritardati e/o svogliati. Queste “raccomandazioni” sparse, pur nella bontà del loro contenuto, integrano un pensiero di fondo, la politica del cacciavite, che sottintende la bontà complessiva del modello strutturale della macchina amministrativa in essere, con conseguente necessità di porre in essere utili migliorie, ma niente più. Invece così non è. La riforma strutturale della burocrazia italiana è stata concepita e legiferata una trentina danni fa, ma non ha affatto raggiunto i fini che si prefiggeva, cioè una maggiore efficienza qualità e attenzione all’utenza dell’attività svolta dalle oltre 10.000 amministrazioni pubbliche del Paese.
Una generazione ancora alle leve di comando, tanti anni dopo, rifiuta ancora di prendere atto dell’evidenza. Noi auspichiamo che passi presto questo “compiacimento del poco fatto” e si ponga mano a una riforma strutturale complessiva della burocrazia italiana. Una riforma nella quale non operino dotti soloni intenti a reinventare la ruota, ma in cui siano prese a modello le amministrazioni occidentali più antiche della nostra, che funzionano e sono avanti a noi. In queste amministrazioni (federale U.S.A., inglese e francese, per citarne solo tre) sono ben regolati gli aspetti cardine del buon funzionamento di una burocrazia pubblica. Osservando e studiando le buone pratiche di altri Stati democratici si potrebbe porre finalmente mano ad almeno cinque grandi ambiti di operatività, oggi malamente regolati (il difetto è del legislatore nazionale):
- Un sistema di reclutamento, di retribuzione e di carriera attrattivo di giovani professionalizzati e desiderosi di spendere la propria esistenza lavorativa al servizio delle istituzioni;
- l’articolazione dei poteri della Repubblica al centro e sul territorio: le regole di funzionamento – secondo i principi costituzionali di “sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” – dei 5000 piccoli comuni, delle province, delle aree metropolitane, delle regioni e dei ministeri, ciascuno di loro con profili identitari e funzionali affatto diversi;
- la valutazione costante del Parlamento e delle assemblee regionali sulle performance delle amministrazioni, con il supporto di “autorità indipendenti”. Qui si intenda per valutazione, NON la valutazione diretta dei singoli, MA la valutazione delle amministrazioni nel loro complesso, con un meccanismi che vedano responsabilizzati congiuntamente amministratori politici di vertice e dirigenza delle diverse aziende pubbliche. La valutazione della amministrazioni NON PUO’ essere affidata, né al solo giudizio “a babbo morto” degli elettori, né a falsi “organismi indipendenti di valutazione” – in realtà prescelti e retribuiti dai soggetti che essi dovrebbero valutare – ma ad autorità indipendenti sul modello del Government Accountability Office (GAO) statunitense (vedi qui) o del National Audit Office (NAO) britannico (vedi qui).
- l’autonomia e imparzialità delle scelte gestionali della dirigenza;
- le politiche del personale – fabbisogni, premialità e carriere – da restituire alle responsabilità politiche e dirigenziali, sottraendole alla cogestione con i sindacati;
Senza un telaio di regole di base valido per tutti, diventa sdrucciolevole e velleitaria qualunque iniziativa di miglioramento degli assetti e del funzionamento degli uffici pubblici italiani.
E’ altresì evidente che riforme strutturali di tale portata non sono mai state effettuate in altri paesi senza il supporto preventivo di commissioni di studio bipartisan, composte da politici, imprenditori, dirigenti, sindacalisti, giuristi ed economisti.
Senza por mano alla predisposizione di buone regole sulle “costanti” di buon funzionamento della burocrazia pubblica non ci sarà sviluppo nel nostro Paese.
Giuseppe Beato
Cassese 2023 – TRE RISPARMI POSSIBILI
Giulio Napolitano – Una PA più virtuosa