La riforma della pubblica amministrazione italiana raccontata in forma di thriller politico, nel corso del quale 20 governatori di Regione decidono di incatenarsi nudi di fronte a Palazzo Chigi e l’Unione Europea è costretta a intervenire per contrastare l’ennesimo sfondamento dello spread fra titoli pubblici italiani e tedeschi. Ecco un bel libro sulla burocrazia del nostro Paese – autore Marco Ruffolo, già caporedattore dell’Economia a La Repubblica – non “grave alla lettura”, ma scorrevole e vivace che ci parla di problemi ancora drammaticamente aperti.
Un gruppo di giornalisti viene invitato a Palazzo Chigi nel prossimo anno 2022 e sequestrato da un innominato Presidente del Consiglio che li tiene fermi per due giorni come l’Angelo sterminatore del film di Luis Bunuel. Essi sono paralizzati all’ascolto della GRANDE DIAGNOSI prima e del GRANDE PROGETTO poi di una riforma della pubblica amministrazione. Ma il riferimento al capolavoro cinematografico è principalmente diretto alla situazione di una pubblica amministrazione italiana bloccata che blocca il Paese, paragonato agli ospiti della casa posta da Bunuel in Calle de la Providencia: burocrazia paralizzata, ferma, incapace di acquisire quel minimo di dinamismo che le consenta di “varcare la soglia della propria casa” e camminare normalmente nel contesto sociale ed economico di un Paese occidentale avanzato.
Il fantomatico Presidente del Consiglio (anonimo e vindice) sviluppa nella prima parte del libro la GRANDE DIAGNOSI dei mali della pubblica amministrazione con gustosi titoli di presentazione (“la grande tenaglia”, “tre camere al posto di una”, “mirini storti e munizioni a salve”, “la livella universale”), ciascuno a raffigurare una patologia presente nel corpaccione sparso delle nostre amministrazioni pubbliche. La raffigurazione – qui ci pare di intravedere un chiaro charme cassesiano – si incentra soprattutto nella sovrabbondanza dei controlli preventivi e dei giudizi interdittivi, con chiare chiamate di colpevolezza: la conferenza Stato-Regioni, i TAR, il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, l’ANAC, la Ragioneria Generale dello Stato. Valutazioni pesanti e severe nei confronti di tali Istituzioni, dimenticando – almeno per le ultime tre – di ricordare alcuni meriti che le critiche mettono sempre in sordina: l’essere la Corte dei Conti un argine di controllo (sicuramente improprio in quanto tale) verso i comportamenti di amministratori territoriali sottratti ai controlli ordinari dalla riforma del Titolo V del 2001; l’essere stato l’ANAC il soggetto che ha consentito ad EXPO 2015 di uscire dalle secche degli scandali in cui era piombato e di trasformarsi in un successo per il Paese; di essere la Ragioneria Generale dello Stato, da decenni, l’unico baluardo vero rispetto agli scatenamenti continui degli innumerevoli centri di spesa a Roma e sul territorio nazionale.
La “grande diagnosi” si sviluppa, comunque, attraverso la descrizione di temi condivisibili: il sistema dei controlli, tanto invasivi quanto inutili a contrastare la malamministrazione; le degenerazioni derivate dalla riforma del Titolo V della Costituzione; il fallimento delle conferenze dei servizi; il depauperamento grave delle competenze professionali interne che rende la burocrazia subordinata e dipendente dai soggetti privati ai quali esternalizza le sue funzioni più importanti (qui Ruffolo fa riferimenti precisi al sistema delle opere pubbliche, ma dimentica la gestione dell’informatica che vede le pubbliche amministrazioni totalmente sguarnite di competenze tecniche interne e a completo ricatto delle strategie di vendita delle grandi ditte informatiche esterne); il cancro della valutazione a pioggia (che giustamente qualifica come “la grande livella”); la selva inestricabile di leggi, spesso fra loro contraddittorie, che inducono gli amministratori a “non fare”, a non decidere nulla e a coltivare una complice inerzia.
L’anonimo Presidente del Consiglio, dietro il quale opera la penna dell’autore, non sottolinea e precisa con il vigore secondo noi necessario il potere incombente di altri “angeli sterminatori”, oltre a quelli sopra ricordati: i sindacati, che la legislazione degli ultimi trent’anni ha incardinato nel ruolo ultroneo di baricentro – anche organizzativo – della burocrazia italiana e di cogestore e interlocutore privilegiato della politica; le grandi aziende informatiche che fanno mostra di incentivare l’innovazione in convegni e conferenze annuali, ma sono interessate solo (come del resto legittimo) a incrementare i propri profitti, lucrando un forte vantaggio dalle carenze di professionalità informatiche interne; molti apparati ministeriali centrali privi di significative spinte propulsive e ormai ridotti e arroccati in una dimensione da “deserto dei tartari”; gli ottomila angioletti degli Enti locali i quali, con il poderoso decentramento voluto dal ministro Bassanini negli anni ’90, sono diventati il vero nucleo e front office dell’amministrazione pubblica italiana; camminano ciascuno per conto proprio in ordine sparso e sono governati da una triade tipologica costituita da: singoli dirigenti/funzionari eroi che si sobbarcano le inefficienze di sistema, una schiera di dirigenti/funzionari inerti che stanno a guardare e, infine, un’agguerrita coorte di politici spregiudicati e di soggetti acquisiti dall’esterno disponibili a qualunque avventura; la magistratura civile, che con i suoi insopportabili tempi di giudizio non garantisce la certezza del diritto e fa fuggire le imprese straniere. Più che “angeli sterminatori” è appropriato qualificarli come “corporazioni”, protagoniste e schiave di una costante storica: la resilienza verso qualunque progetto e idea di cambiamento e/o di evoluzione del proprio ruolo dentro una logica prioritaria di interesse generale del Paese. E’ proprio la loro “resilienza al cambiamento“ a meritare, secondo noi, l’appellativo di Angelo Sterminatore!
Comunque, l’audace e innominato presidente del Consiglio – deciso a sconfiggere l’Angelo Sterminatore – procede nel secondo giorno di conferenza stampa a illustrare agli stupefatti giornalisti le linee portanti del GRANDE PROGETTO che intende porre in atto. Sotto le spoglie del suo personaggio protagonista l’Autore espone le sue idee, provocatorie ma quasi sempre condivisibili: “più potere ai burocrati “ eliminando il sistema delle leggi attuali che entrano troppo nei particolari e dove “il dirigente esperto in interdizione trova mille ragioni per non applicare le leggi stesse…spezzare questo intreccio, obbligando prima di tutto la politica a fare leggi d’indirizzo con pochi e chiari obiettivi” e creando le condizioni per cui il dirigente sarà indotto a operare utilizzando la leva di una maggiore discrezionalità (con connessa parallela responsabilità). Farla finita col formalismo giuridico secondo il quale “l’amministratore può fare solo ciò che è previsto dalla legge” (dottrina Zanobini) e consentire invece di “fare tutto ciò che NON è espressamente vietato dalla legge” (altra citazione cassesiana); “abrogare la sterminata produzione legislativa e condensare le norme in un numero limitato di testi unici”; “abolire i controlli preventivi” (ma dove sono più i controlli preventivi sugli atti delle regioni e degli enti locali dopo che la riforma costituzionale del 2001 li ha abrogati?); abolire l’attuale sistema delle gare d’appalto in favore di procedure negoziate da avviare “a rotazione” solo con imprese individuate in precedenza “sulla base dei requisiti tecnico-operativi, del know-how e delle competenze”; “gli incarichi dirigenziali non saranno a termine….via lo spoils system”; “assunzioni, promozioni, incarichi, ruoli, organizzazione del lavoro, valutazione dei risultati ottenuti, con conseguenti premi non saranno più neppure marginalmente oggetto di contrattazione sindacale” (qui è prevedibile che Marco Ruffolo sarà condannato dai sindacati alla “damnatio memoriae” ed emarginato da qualunque dibattito futuro sulla pubblica amministrazione); valutazione delle pubbliche amministrazioni come un intero da “un’autorità indipendente esterna”; drastica riduzione dei Ministeri e istituzione di Agenzie statali di programma sul modello svedese cui siano affidati compiti predeterminati “con programmi quinquennali”; altra provocazione ferale, “abolizione delle Regioni e delle Province, in favore dell’istituzione di una Trentina di distretti” con vertici elettivi e competenza di coordinamento delle attività degli enti locali in materie definite dallo Stato, “sbaraccare il titolo V della Costituzione”; ducis in fundo , “riforma del Senato come Organo massimo di vigilanza della pubblica amministrazione italiana”, cioè delle agenzie governative e dei distretti sul territorio, con funzionamento analogo a quello del Government Accountability Office federale statunitense.
Nella trama a sorpresa de “l’Angelo Sterminatore” le proposte del fantomatico Presidente del Consiglio – sopra sommariamente richiamate – provocano una vera sommossa nell’opinione pubblica e nel mondo politico (sia maggioranza che opposizione), che, a propria volta, provocherà esiti assolutamente imprevisti. Nella realtà vera, crediamo che nessun Presidente del Consiglio dotato di elementari doti di prudenza politica si sognerebbe mai di proporre un simile pacchetto di proposte di riforma della pubblica amministrazione italiana! Provocherebbe la paralizzante opposizione degli Angeli Sterminatori sopra evocati.
Peccato, tuttavia, che ciò che in Italia viene considerato eretico, in Paesi come U.S.A. , Francia, Inghilterra e Germania è – nelle forme adeguate ai sistemi socio-economici di ciascuno di questi Stati – già stabilmente acquisito da molti decenni, quando non da secoli. La cattiva regolazione della burocrazia costituisce, quindi, una grave anomalia italiana nel contesto delle democrazie occidentali.
Lodevole l’impegno dell’Autore a proporre idee di riforma, anche se per queste idee, sarebbe cosa sensata “obbligare” mondo politico e accademico a studiare PRIMA i modelli già funzionanti di pubbliche amministrazioni di altri paesi, i loro equilibri interni e i caposaldi non eludibili e, solo in seguito – facendo leva su un atteggiamento di sana umiltà che oggi manca – procedere a un ridisegno/adattamento di qualcuno di quei modelli alla nostra realtà nazionale; senza cercare sempre di reinventarsi la ruota, quando esistono già i modelli reali da analizzare e assimilare.
Il valore più importante del lavoro di Ruffolo sta, tuttavia, in altro: precisamente in un concetto di fondo che egli mette in bocca al suo Presidente del Consiglio, quale PRECONDIZIONE di qualunque ragionamento della pubblica amministrazione italiana “NON MI PARLATE PIU’ DI BUROCRAZIA. ANZI, VI ORDINO DI CANCELLARE QUESTA PAROLA DAL VOCABOLARIO……SE IL PROBLEMA LO RIDUCETE ALLA BUROCRAZIA, ALLA OSTINATA RESISTENZA PASSIVA DI QUALCHE DIRIGENTE…AL PRESUNTO SABOTAGGIO DI UNA SORDA CASTA DI SUPER-TRAVET, ALLORA SIGNIFICA CHE NON AVETE CAPITO NULLA DI QUESTO NOSTRO MALEDETTO E BENEDETTO PAESE”. Questa precondizione di fondo per qualunque altro ragionamento colloca il testo di Marco Ruffolo in una per ora ristrettissima cerchia di contributi intellettuali realmente coscienti dell’importanza di una riforma radicale della nostra malandata burocrazia; un’antica cultura intellettuale di questo Paese – che attinge non solo al pensiero liberale dei primordi del secolo scorso (Croce ed Einaudi, tanto per fare i nomi più famosi), ma anche a quello più genuinamente progressista (il Gramsci che operava un cortocircuito intellettuale fra piccola borghesia meridionale e burocrazia nazionale) – non ha mai fatto alcun conto dell’insegnamento di Max Weber – nel resto del mondo pacificamente assimilato – secondo cui la burocrazia pubblica non è un’ entità mostruosa da evocare come incubo, ma uno degli assi portanti del buon funzionamento di un sistema economico moderno. Per cui bisogna porvi la più grande attenzione, rispetto e impegno riformatore da parte del ceto dirigente imprenditoriale, politico e intellettuale.
Giuseppe Beato