Meridione d’Italia: vent’anni di occasioni perse.

Per coloro i quali, come chi scrive, sono convinti che da circa un ventennio il nostro Paese é fermo offriamo il supporto documentale di un’indagine del Parlamento alla sua XIII legislatura (anni 1998-1999) sulla situazione del Meridione d’Italia e sui programmi all’epoca ritenuti necessari per la riduzione/eliminazione del gap economico/sociale esistente fra diverse parti del territorio nazionale. Sono riportate qui sotto la Relazione della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione del 16 giugno 1999  e  la relazione d’accompagno al “Rapporto sul Mezzogiorno” affidato all’epoca a un gruppo di lavoro coordinato da Giuliano Amato (gli illustri componenti del quale sono indicati alla pagina 106 della Relazione della Commissione V). Era in carica, al momento dell’avvio dell’indagine, il primo governo Prodi (caduto in Parlamento per un solo voto contrario in seguito a una votazione di fiducia del 9 ottobre 1998), con tutto il suo carico di ipotesi/auspici di rinnovamento dell’Italia in coincidenza con l’entrata nell’euro.

Sono lì diffusamente illustrati gli snodi istituzionali di fronte ai quali il Sistema Paese era chiamato ad operare, a cominciare dai contenuti e dalle procedure del Documento di programmazione economica e dagli istituiti vincoli del cosiddetto “patto di stabilità”. Anche una scorsa superficiale di quei documenti ci racconta esplicitamente, pur con le dovute cautele formali, non solo dei programmi allora immaginati, ma anche delle analisi sui vincoli storici e ambientali entro i quali l’Italia si muoveva: la Relazione della Commissione Bilancio costituisce un prezioso elemento di conoscenza e di studio del contesto legislativo e istituzionale (anche europeo) che faceva da cornice e da auspicato fattore propulsivo dei programmi di crescita del Meridione d’Italia.

La relazione al Rapporto Amato, che pure riportiamo qui sotto,  getta , tuttavia,  lo sguardo più illuminante sui giudizi e sulle valutazioni che allora vennero poste alla base dei programmi immaginati. iniziando  da una valutazione sull’operato della Cassa del Mezzogiorno proprio allora in liquidazione. La Cassa, fondata nel 1950 dal sesto Governo di Alcide D Gasperi , ebbe nei suoi primi decenni di vita il merito incontrovertibile di aver sollevato le regioni meridionali da una situazione che non è esagerato definire come medioevale, portando a tutto il Sud l’elettricità (40.00 chilometri reti elettriche), i collegamenti stradali (16.00 chilometri), gli acquedotti (23.000 chilometri), le scuole (1.600) e gli ospedali (160), non una credibile rete ferroviaria. Tuttavia, questi interventi non furono sufficienti a creare una rete di solida vita industriale, causa sia di persistenti gravi carenze infrastrutturali sia di un contesto sociale e istituzionale che, per dirla con un eufemismo, non aiutava. “L’intervento straordinario, concepito come un grande disegno politico di sostegno, ha certamente contribuito alla grande crescita del Mezzogiorno negli anni dal 1951 al 1992. Tuttavia, accanto agli effetti positivi, vi sono numerose analisi che documentano le ragioni per le quali lo sviluppo indotto dall’intervento pubblico non ha determinato il decollo di una crescita autonoma ed anzi ne ha compromesso in parte le possibilità. La gestione dei 15 anni finali dell’intervento straordinario ha determinato una grave erosione del “capitale sociale”, inteso come sistema dei valori dominante nella società meridionale. Infatti, l’erogazione non connessa a logiche di mercato di risorse finanziarie ingenti ha introdotto effetti pervasivi e duraturi nei comportamenti economici e sociali, scoraggiando la propensione all’impresa ed alimentando, invece, il ruolo dell’intermediazione politica nella distribuzione delle erogazioni e le aspettative di assuefazione all’assistenzialismo.” E ancora: “L’approccio economico tradizionale ha posto in luce i vincoli allo sviluppo delle regioni meridionali derivanti da carenze dei meccanismi di integrazione nel mercato (carenze di infrastrutture, perifericità, minore produttività dei fattori), ma oggi va integrato con l’analisi dei condizionamenti e del contesto sociale e culturale del Meridione. In una società caratterizzata da una storica arretratezza del tessuto civile e da una forte presenza della criminalità organizzata, le “cattive politiche” assistenziali hanno inciso con effetti disgreganti sul già fragile “capitale sociale”. La vicenda dell’intervento straordinario ha certamente indotto trasformazioni gigantesche e altrimenti non immaginabili nella vita e nella morfologia stessa dell’Italia meridionale, ma ha lasciato dietro di sé anche una grande deriva perversa, come l’enorme potere corruttore esercitato, non solo sugli individui, ma soprattutto sulle istituzioni, il deterioramento della classe dirigente, il rafforzamento della criminalità, i fenomeni di arricchimento rapido.”…”Il funzionamento scarsamente efficiente o distorto delle istituzioni ha dunque costituito, in una fase di cambiamento, forse l’ostacolo principale, generato dall’interno della società meridionale, alla capacità di risposta dell’ambiente locale alle opportunità ed ai vincoli economici esterni e ha finito per depotenziare gravemente l’efficacia stessa degli strumenti d’intervento mirati allo sviluppo economico ed all’occupazione.” A maggior chiarimento dei concerti precedenti: “Istituzioni inefficienti e che mostrano tolleranza per i comportamenti illegali (evasione dei tributi locali, lavoro nero o grigio, abusivismo edilizio, microcriminalità ed illegalità diffuse) costituiscono poi un ostacolo allo sviluppo non meno grave di quello rappresentato dalla criminalità organizzata.

Quali correttivi strategici la Commissione Amato riteneva indispensabili per una radicale inversione di rotta?L’obiettivo dello sviluppo del Mezzogiorno va perseguito creando una rete di procedure, interventi e strumenti che compongano un insieme ragionato e coerente di misure, che si integrano a vicenda e che coinvolgono sia l’amministrazione centrale che quella regionale e locale. Il coordinamento di queste misure deve perseguire la duplice funzione di eliminare gli ostacoli che impediscono di raggiungere gli effetti desiderati e di convogliare le risorse sugli strumenti che garantiscono, alla resa dei fatti e anche temporaneamente, risultati migliori di altri. Diviene perciò centrale ai fini di una politica per il Mezzogiorno il seguito dei processi organici già in atto per la riforma della pubblica amministrazione, per il decentramento e per la semplificazione amministrativa nella attuazione delle leggi Bassanini. Nel caso specifico gli strumenti legislativi, sono stati approntati e sono dotati di vasto consenso, organicità e flessibilità sufficiente. La loro attuazione richiede tuttavia, come e’ stato chiarito dallo stesso ministro-autore, un’azione politica molto più grande, estesa e permanente, che coinvolge tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte e la mobilitazione di energie e capacità diffuse. Occorre perseguire i risultati delle politiche con una gestione forte e attiva degli strumenti, adeguandoli progressivamente alle esigenze del loro reale funzionamento. Lo Stato deve far bene lo Stato: bisogna andare oltre una concezione parlamentare delle politiche che le fa coincidere con la approvazione di leggi o la emanazione norme, e occorre far funzionare le leggi esistenti fornendo i servizi pubblici e dunque perseguendo innanzitutto l’efficienza dell’amministrazione. ..La prospettiva di una maggiore autonomia può essere un potente fattore di maturazione e di crescita per il ceto politico locale, chiamato ad assumere, anche grazie alla legge elettorale che attribuisce ai sindaci una maggiore responsabilità personale, un ruolo centrale nello sviluppo dell’area. Anche nella prospettiva di un federalismo più o meno accentuato o di un decentramento comunque in corso, bisogna considerare che le autonomie locali hanno indiscutibili vantaggi di informazione rispetto al centro, per cui gli va dunque riconosciuto un ruolo decisivo nella politica di sviluppo. Tuttavia, gli enti locali sono anche esposti al rischio di distorcere le politiche di sviluppo dirette ad obiettivi conseguibili solo nel medio- lungo termine verso risultati di immediata resa elettorale. Di qui l’esigenza che il decentramento si accompagni a un sistema di incentivi-disincentivi che garantisca da questo rischio. I soggetti locali – specie nell’ottica di uno sviluppo non provocato del Mezzogiorno – rivestono un ruolo strategico evidente. Per assecondare il funzionamento delle istituzioni locali, lo Stato può organizzare una struttura di consulenza destinata sia a diffondere sul territorio l’utilizzo di strumenti di successo che a rimuovere ostacoli che le singole amministrazioni dovessero segnalare”.

A vent’anni di distanza tutti possiamo facilmente osservare gli esiti manifestatisi in seguito a quei generosi auspici: la funzione centrale che le pubbliche amministrazioni ministeriali e locali italiane dovrebbero avere ha miseramente mancato tutti i suoi obiettivi. Sono al lumicino ancora oggi  “Efficienza, trasparenza e credibilità, in una parola autorevolezza delle istituzioni…Politiche civili, dunque, di portata generale, particolarmente urgenti nel Mezzogiorno, perché il vero nodo cruciale è quello del funzionamento delle istituzioni locali, nelle sue implicazioni non solo economiche, ma anche socio-culturali”.

Il rapporto Amato, infine, toccava solo di lato un altro fattore fondamentale, sul quale Giorgio Ruffolo (già Segretario Generale della Programmazione economica negli anni ’60) affondò la lama di coltello in un articolo di commento su La Repubblica del 19 luglio 1998, intitolato “Quella società arretrata antico male del Sud”:  egli affermò che la situazione del meridione era condizionata da una  “immutata impronta storica di subordinazione della sua società civile“….”Temo però che queste misure, che sarebbero certo efficaci su un terreno civile normale, rischino di essere ingoiate, ancora una volta, dalla grande spugna di una società ancora arretrata“. Sul finire dell’articolo la prese alla larga citando una frase dell’economista Antonio Serra (XVI-XVII secolo): “il più grave di tutti i mali é “la provision di quel che vi governa“, e cioè, diremmo noi oggi, la mentalità della sua classe dirigente“. Ruffolo omise pietosamente di informare che il calabrese Serra affermava in quello stesso scritto di fine ‘500 ( Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni di oro di argento dove non sono miniere ) che, oltre alla ” provision di quel che vi governa”, una delle cause che impedivano l’afflusso dell’oro e dell’argento nel Regno Di Napoli era “la qualità delle genti“: “Come, dall’altra parte, la cittá di Napoli sará quella, insieme col suo Regno, dove il predetto accidente non se ritrova, ma vi è tutto il contrario, poiché l’abitatori del paese sono tanto poch’industriosi, che non traficano fuora del loro proprio paese; e non solo non traficano nell’altre province di Europa, come Spagna, Francia, Alemagna e altre, ma neanco nella propria Italia; né fanno l’industrie del paese loro istesso, e in quello vengono a farle gli abitatori d’altri luoghi, principalmente della loro medesima provinzia, come sono genoesi, fiorentini, bergamaschi, veneziani e altri. E, con tutto che vedeno le predette genti far l’industrie nel loro medesimo paese e per quelle arrichirsi, pure non sono di tanto d’imitarli e seguir l’essempio, fatigando nelle proprie case”. Quest’affermazione ingiusta e autolesionista viene ovunque smentita dai meridionali che si fanno onore quando emigrano in altri lidi, ma lascia intatta l’idea che in quei territori la società civile e la politica  non riescono da sempre a fare il salto nella modernità.

Dell’immobilità successiva al 1998 vi è traccia chiara in ogni accadimento o notizia successivi: basti solo pensare agli esiti disastrosi dei finanziamenti con fondi strutturali europei, mai utilizzati per intervenire nel tessuto infrastrutturale del Sud (vedi qui).

Rimane intatto per tutti il monito finale del Rapporto Amato  del 1999, che citò una frase di Giuseppe Mazzini: “L’Italia sarà quello che sarà il suo Mezzogiorno”.

Giuseppe Beato

 Sintesi del Rapporto Amato sul Meridione 1998.

Giorgio Ruffolo 1998 – Quella società arretrata antico male del Sud.

 Camera dei Deputati Relazione della V Commissione 1999.

 

 

 

 

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