Nota CIDA al ministro Paolo Zangrillo

In una nota inviata  al ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, CIDA – Confederazione sindacale dei dirigenti pubblici e privati  – ha sottoposto all’attenzione cinque ordini di problemi meritevoli di attenzione dal punto di vista legislativo e delle politiche pubbliche del governo in carica (ma non solo).

Da ricordare che CIDA non rappresenta solo le voci dei dirigenti pubblici amministrativi, scolastici e sanitari attraverso Federazione Funzione Pubblica e CIMO, ma anche quella dei dirigenti privati, attraverso le federazioni Federmanager e ManagerItalia.

  1. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE/PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Le problematiche connesse alle diverse amministrazioni e problematiche di lavoro meritano un’attenzione diversificata, pur dentro i principi costituzionali e la programmazione politica generale. Non è una semplice questione terminologica il riferimento ai soggetti “pubbliche amministrazioni”, nelle loro pluralità e specificità di ciascuna, invece della locuzione “pubblica amministrazione”. Il legislatore italiano ha sovente inquadrato, fin dal tempo del decreto legislativo 165/2001, le materie relative all’impiego pubblico e alle funzioni svolte dai dipendenti – dirigenti compresi – a volte in una cornice unica di contesto, accompagnata da limitate deroghe regolatorie per altri plessi istituzionali, altre volte lasciando vuoti normativi per determinate categorie di funzioni pubbliche. Occorre superare la visione di una PA come un unico enorme ufficio dove tutti siano collocati nella medesima “postura” specificamente “amministrativo/ministeriale”, con lievi differenziazioni di ruolo e di funzione.

I circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici operano in contesti variegati: il mondo della Scuola e dell’Università e Ricerca occupa più di un terzo del totale (1.260.000 unità circa) e la Sanità ben 670.000 dipendenti fra medici e paramedici. Il mondo specificamente “amministrativo” va ulteriormente distinto a seconda si riferisca a funzioni e ruoli dei ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici (circa 200.000 unità), oppure alle autonomie locali (circa 500.000 unità), ulteriormente articolate a seconda siano regioni, province, comuni piccoli e grandi; risultano, invece, regolati a parte gli ordinamenti delle forze armate e di polizia, nonché le amministrazioni “non contrattualizzate” (circa 570.000 unità). In tale panorama vanno evidenziate tre grandi problematiche regolatorie:

  • non sussistono disposizioni congrue in ordine ai sistemi di valutazione nel mondo della Scuola;
  • non sussiste una regolazione ad hoc per i dirigenti sanitari coerente con la peculiarità della loro funzione, nonché per tutto il mondo del lavoro pubblico nel Servizio Sanitario Nazionale;
  • le norme che regolano il funzionamento dei Comuni non possono essere eguali per un comune con centinaia di migliaia di residenti e un piccolo comune con meno di tremila abitanti (sono circa 5.500 e servono 10 milioni di italiani).
  1. IL PERICOLO DI SVUOTAMENTO DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA DI LAVORO

E’ in atto un progressivo deterioramento dell’efficacia della contrattazione collettiva pubblica. I gravi ritardi/moratorie nell’avvio dei Tavoli stanno procurando una vera e propria deriva e depotenziamento dell’istituto stesso della trattativa sindacale. Avviare i Tavoli a triennio ormai scaduto o in scadenza significa, da un lato, imprimere una pressione nociva alla chiusura – spesso insoddisfacente per tutte le parti – delle trattative. D’altro lato, la corresponsione – giustamente doverosa di acconti in anticipazione – restringe il campo di proposte e di azioni innovative, a causa della quota effettiva di finanziamento negoziabile al tavolo, detratto il complesso dei finanziamenti già distribuiti.

  1. L’IMPARZIALITÀ E LA DEMOCRATICITÀ DEI SISTEMI DI VALUTAZIONE

Di valutazione e di merito si parla e si legifera nel nostro Paese da almeno venticinque anni, considerando l’emanazione del decreto legislativo n. 286 del lontano anno 1999. Né le statuizioni e regolamentazioni specifiche innescate dalla “riforma Brunetta” hanno spostato più di tanto quella situazione più volte lamentata, di erogazione “a pioggia” dei compensi incentivanti, con riflessi diretti sulla differenziazione dei trattamenti, che costituisce l’anima stessa del principio del merito. Senza entrare nel vivo di una problematica che esige un approfondimento di analisi ben più corposo della presente sintetica relazione scritta, sono dirimenti due aspetti che riteniamo in questa materia decisiva:

  1. Si parla di valutazione prevalentemente con riferimento alle persone – dirigenti e funzionari – e rimane in ombra un tema che è invece prioritario in ordine logico/materiale e condizionante la valutazione dei singoli: la valutazione delle amministrazioni pubbliche nel loro complesso, quanto ai risultati generali di performance conseguiti nel loro servizio all’utenza. In Italia, differentemente dagli altri Paesi a democrazia avanzata, sono completamente in ombra due funzioni fondamentali:
  • la funzione di controllo politico bipartisan del Parlamento sull’andamento delle politiche pubbliche, così come poste in attuazione dalle amministrazioni; si intendono con ciò non le episodiche interrogazioni/interpellanze rivolte ai ministri, ma un’attività sistematica, di pari rilevanza rispetto a quella legislativa, svolta nei confronti dei vertici burocratici degli enti;
  • un’autorità indipendente a supporto neutrale e professionale del controllo politico del Parlamento. Non sta a noi suggerire chi possa essere il soggetto adatto per tale fondamentale funzione in Italia; tuttavia, un tale organismo dovrebbe essere regolato per legge in modo da svolgere funzioni di pari efficacia rispetto a quelle svolte dal Government Accountability Office (GAO) statunitense, dal National Audit Office (NAO) britannico o ancora dalla Cour des Comptes francese.
  1. Gli organismi indipendenti di valutazione (oo.ii.vv.) – cui la legge assegna il compito di validare le relazioni sulla performance delle amministrazioni pubbliche e di garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione posti in essere – non hanno prerogative istitutive tali da contrastare la naturale autoreferenzialità delle organizzazioni pubbliche. Il presidente e i componenti degli oo.ii.vv., infatti, sono nominati dagli organi di vertice delle amministrazioni e retribuiti, non da soggetti esterni, ma da queste ultime. Mancano i requisiti di base necessari per indurre imparzialità nelle valutazioni rimesse a tali organi. Ne risulta in tal modo condizionato tutto il sistema di valutazione del merito attualmente vigente nelle amministrazioni pubbliche.

4. I DIRIGENTI E I FUNZIONARI PUBBLICI E IL PRESIDIO DELL’IMPARZIALITÀ DEGLI ATTI DELLE PP.AA

Dato per pacifico che, a termini di Costituzione, “gli uffici pubblici sono organizzati in modo che siano garantiti il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” e che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” (e non dei partiti), risultano sostanzialmente evasi tali principi dalla legislazione sulla dirigenza pubblica in vigore dagli anni ’90. Non c’è alcuna nostalgia per la figura del dirigente “inamovibile” di passate stagioni storiche, ma allo stesso tempo, si registra il manifestarsi diffuso di una dirigenza precaria, intimorita e in perenne tensione quanto alla gestione del proprio ruolo naturale. Una malaugurata interpretazione del principio fiduciario che permea il rapporto vertici privati/dirigenza porta ad applicare sic et sempliciter tale principio alla dirigenza pubblica, quando tutti gli altri paesi limitano questo vincolo di fiduciarietà ai soli vertici burocratici, facendo prevalere nel corpo esteso della dirigenza e dei funzionari l’altro principio – squisitamente pubblico – dell’imparzialità. La deriva della “fiduciarietà” in Italia si manifesta oggi in forme più o meno esplicite di spoils system, derivanti essenzialmente da tre ordini di regole legislative:

  • gli incarichi dirigenziali a tempo;
  • le assunzioni senza concorso, ben oltre i limiti residuali assegnati dalla Costituzione, di dirigenti non di carriera a tempo determinato;
  • le frequenti riorganizzazioni generali operate in modo surrettizio, al fine di spostare a piacimento, senza valutarne meriti e demeriti, i dirigenti, prima della scadenza naturale dei loro pur brevi incarichi. 
  1. I PROFESSIONISTI E LE ELEVATE PROFESSIONALITÀ

Questi due profili professionali svolgono funzioni decisive per la qualità dei servizi delle pubbliche amministrazioni. Si può affermare che è in atto, proprio in questi anni, una vera e propria concorrenza fra occasioni di lavoro pubbliche e occupazione in aziende private o lavoro autonomo, nelle quali i giovani laureati, come naturale, rivolgono le proprie attenzioni alle situazioni più promettenti dal punto di vista sia retributivo che di carriera e/o di status. Il mondo pubblico è fortemente in affanno in questa contesa e non sembra offrire, agli occhi dei migliori, prospettive attraenti: retribuzioni insoddisfacenti, carriere bloccate, esercizio del ruolo non all’altezza degli studi effettuati. Rientra in questa problematica anche l’impropria collocazione delle elevate professionalità nel settore dei comparti dei contratti collettivi di lavoro, tematica questa che vede la CIDA battersi per un loro diverso e più logico inserimento nell’area dirigenziale di contrattazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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