Replichiamo anche sul nostro sito gli scritti – già pubblicati sul web da iris/Uniroma1 – comparsi nell’anno 2015 sul numero 3 della “Rivista trimestrale di diritto pubblico“, in occasione del centenario della nascita di Massimo Severo Giannini. La sua figura viene descritta da diverse angolature; soprattuto: il costituzionalista (Cesare Pinelli), il “padre costituente” (Sabino Cassese), l’analisi dello Stato alla luce della democrazia industriale (Aldo Sandulli). A noi piace sottolineare soprattuto l’articolo di Marco D’Alberti che, riprendendo i giudizi di Giannini “editorialista” o illustre “intervistato”, ne dipinge il pensiero nei suoi contorni più diretti e polemici: “il tracollo del sistema istituzionale e le riforme necessarie“, questo è il titolo che bene sintetizza il contenuto di quegli interventi di Giannini. Ci sono dei giudizi che potremmo definire borderline, del tipo la critica severa (anno 1947) sulla prima parte della Costituzione, dedicata ai principi e ai diritti: soprattutto per i troppi rinvii al legislatore ordinario e per la genericità delle norme di principio: «su 20 articoli dedicati ai diritti di libertà ve ne sono 16 che rimandano alla legge e quindi soggiacciono alla volontà del legislatore futuro; gli articoli di principio sono redatti in modo larghissimo, sì da perdere ogni efficacia”. Giannini avrebbe preferito un altro modo di redazione delle norme, consistente «nel mettere nella Costituzione norme molto minuziose, per quanto attiene alla libertà dei cittadini, sì da segnare il punto preciso fino al quale le libertà stesse sono tutelate. È un criterio del quale vi sono precedenti illustri e che garantisce il cittadino contro le velleità del legislatore futuro e contro l’autorità, perché se questa supera il limite il cittadino può immediatamente azionare i congegni per chiamarla responsabile» pag. 914) Sulla seconda parte della Costituzione, “se essa «resterà al procedimento di formazione delle leggi previsto dal progetto, ogni minoranza sarà in grado di impedire qualunque legge; se la seconda Camera resterà come è previsto, avremo un generatore di disordini in più”. Più volte Giannini si è mostrato a favore di assetti costituzionali che consentano un’efficace decisionalità, non solo nel processo di formazione delle leggi. Del Parlamento dice (anno 1985) che «non sa lavorare» ; e che le Camere si muovono come «orsi bianchi […] i quali procedono secondo la loro natura di tardigradi» (pag. 914); individua gli aspetti negativi legati a una cattiva gestione della governance dello Stato democratico a suffragio universale (si veda qui il teso del suo famosissimo “Lo stato pluriclasse” del 1979), affermando in suo scritto del 1986 che “Quando i partiti politici eccedono di numero, le “forme di governo” funzionano male e procedono suscitando risentimenti: […] i partiti si dedicano a vendere lucciole e grilli, i sindacati a simulare rivoluzioni tascabili, gli enti di vasta area passano il tempo a fare crisi di giunte, i grandi Comuni organizzano circenses col denaro pubblico, le burocrazie propongono solo avanzamenti dei propri appartenenti e chiedono moltiplicazioni degli uffici dirigenziali” (pag. 915).
Sul personale delle pubbliche amministrazioni Giannini parla (agosto 1979) di tracollo decisionale. I dipendenti pubblici sono ancora «separati […] in tante cittadelle ciascuna con il suo organico, la sua carriera, i suoi ruoli […] abbiamo ministeri e uffici in cui il personale è sovrabbondante rispetto ai compiti da svolgere e ministeri che invece soffocano sotto montagne di pratiche arretrate” (pag. 916). L’apparato centrale dello Stato «è oggi ingovernabile» ( pag 918). Sui corsi di formazione, ossia “corsi a cui vengono inviati, per alcuni mesi, giovani funzionari che abbiano vinto un concorso; corsi di limitata utilità e anzi spesso controproducenti, perché mal ricevuti dai giovani che li frequentano. Da scuole straniere certi ci guardano stupiti: questo ricco Paese che è l’Italia, che si permette il lusso di ripetere ai suoi giovani funzionari corsi universitari! “(anno 1995 a pag. 919).
Vi è, poi, il problema dei sindacati del pubblico impiego. All’inizio del ventesimo secolo, il sindacalismo nella pubblica amministrazione aveva conosciuto esperienze di grande impegno civile e sociale….”sarebbe quindi auspicabile che i grandi sindacati, raggiunta ormai la coscienza di avere ruolo determinante nella scelta delle decisioni politiche, ragionassero in termini di Stato, nel senso di collettività generale, anziché in termini paracorporativi. La tutela delle classi lavoratrici e la partecipazione di esse alle determinazioni politiche non si può ottenere se non guardando lontano». (anno 1973 a pag. 920)
Le riforme legislative, in realtà, non sempre sono necessarie. E il grande problema è che, quando intervengono, spesso restano sulla carta. L’inattuazione delle norme è uno dei fattori che maggiormente frenano il movimento riformatore (anno 1973). Anche perché le leggi sono troppe: da questo punto di vista, non vi è una crisi, semmai un eccesso, di legalità; c’è, invece, una crisi di autorità, per debolezza di chi è chiamato ad applicare le leggi: «A me pare che, se ci si pone il quesito dell’esistenza della crisi della legalità, si debba dare risposta negativa. Infatti, oggi c’è crisi della legalità, cioè di coloro che debbono fare le leggi, o c’è invece la crisi di coloro che debbono applicare le leggi? (Non importa come, se come amministrazione o come potere giudiziario). A me pare che, nel nostro Paese, c’è un eccesso di legalità. La repubblica italiana, rispetto ad altre repubbliche che sono nate dalla stessa tradizione ottocentesca, può vantare un cumulo incredibile di leggi, di regolamenti, di norme eterogenee emanate dalle autorità, le più diverse e non collegate tra loro” (anno 1977 a pag 921).
Un Giannini che impietosamente evidenzia la debolezza delle nostre istituzioni politiche e delle nostre pubbliche amministrazioni. L’espandersi dello Stato pluriclasse e del pluralismo ha allargato le basi della democrazia e della partecipazione alle scelte pubbliche, ma non può tradursi in un groviglio inestricabile di interessi contrapposti suscettibile di paralizzare le decisioni pubbliche: occorre un pluralismo equilibrato e sono necessari meccanismi istituzionali che consentano decisioni rapide ed efficienti. (anno 1984 a pag 923).
Le pubbliche amministrazioni soffrono di un «tracollo alluvionale». L’amministrazione centrale «è ingovernabile». Stato e regioni «si disturbano a vicenda»; i comuni, per funzionare, dovrebbero essere mille e non ottomila. I sindacati dei pubblici dipendenti “sono troppo attratti dalle rivendicazioni corporative e non guardano l’insieme dei problemi dell’amministrazione e dello Stato“. (anno 1984 “Introduzione al diritto costituzionale”, pag. 923)
Da leggere e studiare con attenzione: al calibrato, articolato e profondo giudizio del pensatore – come lo rinveniamo nei suoi scritti accademici – si aggiungono qui intuizioni profetiche, formulate 30 anni prima che divenissero patrimonio condiviso di conoscenza. Tuttavia – nei suoi interventi “da giornalista” – si nota anche una modo diremmo febbrile e tranciante di analizzare e immaginare le soluzioni possibili: spunti e provocazioni stimolanti, ma alla ricerca di una conseguente progettualità sistematica, all’altezza di tali grandi intuizioni. Così ci pare.
Giuseppe Beato
Scritti in onore di Massimo Severo Giannini nel centenario della nascita.