Cosa dovrebbe interessare nel 2020 la Costituzione di Weimar, entrata in vigore in Germania centouno anni fa (1919) dopo la sconfitta del primo dopoguerra e squassata gli effetti rovinosi del trattato di Versailles? Fu, peraltro, proprio quel complesso di regole istituzionali a consentire, 14 anni dopo, l’elezione a larga maggioranza di Adolph Hitler a Cancelliere del Reich.
Il crollo della democrazia tedesca del primo dopoguerra, invece e al contrario delle apparenze, costituisce un monito ancora attualissimo per coloro che credono sufficiente una “Carta” con principi democratici ben delineati e declinati per tenere al riparo un popolo da impazzimenti improvvisi e/o da esiti inaspettati. Espone bene questi concetti il professor Sabino Cassese, in un intervista a “Il Foglio” dello scorso 24 dicembre. Se è consentita una sintesi sommaria del suo pensiero, la questione vera sta – oltre che alcuni punti di tecnica giuridica (in primis il procedimenti di revisione costituzionale e il sistema di check and balances fra gli organi dello Stato)- nella tenuta democratica della comunità nazionale che esprime e gestisce una Carta Costituzionale. Montesquieu parlava di esprit general, cioè di quel contenuto psicologico e morale di cui si innerva la società civile, che può imprimere sia forza che debolezza ad un impianto giuridico. In quest’ottica vale per la Germania la lungimirante affermazione di Helmut Khol: “Sul suolo tedesco bisogna camminare con cautela, perché i demoni sono sepolti poco sotto la superficie“. Per l’Italia, invece, il vizio del particolarismo è sempre in agguato e si traduce spesso in anarchia istituzionale con forme da operetta, tipo le leggi che “si interpretano per gli amici e si applicano per i nemici“(cit. Giovanni Giolitti). Sul tema della legislazione italiana che gioca con le leggi è utile, anche qui, consultare un articolo di Cassese apparso su “Il Corriere della Sera” dello scorso 11 gennaio 2020 (vedi qui “I rischi che si corrono a giocare con le leggi“).