I recenti scandali, qualificati ovunque come “politici”, sono in realtà “amministrativi” perché’ attinenti alla gestione di servizi alla collettività curata da burocrazie pubbliche.
Ciò che ci delizia in Liguria, in Puglia, in Sardegna e in ogni contrada del Bel Paese dove di frequente scattano le manette puo’ (e deve) essere visto NON nell’ottica pruriginosa del gossip politico ma in quella della corruzione amministrativa, generata a danno dei cittadini e delle imprese. Prima ancora di riguardare fatti da codice penale, queste vicende debbono essere lette come conseguenze di scelte malaugurate di soggetti pubblici gestori di licenze, autorizzazioni e concessioni che non applicano il principio d’imparzialità dettato dalla Costituzione, ma favoriscono parenti, amici, compagni di cordata politica.
Esilarante anche la circostanza secondo cui – a fronte di una situazione di corruttela diffusa (su ogni caso che finisce sotto la lente della magistratura, quanti altri rimangono impuniti?) – le pubbliche amministrazioni regionali e comunali sono obbligate a redigere diligentemente un piano triennale di misure anticorruzione la cui effettiva conduzione ed efficacia nessuno controlla. Anzi, capita pure che sia proprio il dirigente responsabile dell’anticorruzione a incappare nei provvedimenti restrittivi delle procure!
La presentazione che viene fatta degli scandali come gossip politici e non come forme di disservizio amministrativo endemico consente, fra le altre cose, a tanti studiosi di pubblica amministrazione italiana un po’ attempati di continuare a mirare le proprie analisi e studi (e conseguentemente discettare) sull’inerzia e sull’immobilismo dei ministeri. Il piccolo mondo degli studiosi continua a ragionare come se – in seguito al decentramento alla carlona promosso dall’ex ministro Bassanini con le leggi n. 59 e 127 dell’anno 1997 – da 27 anni il grosso degli atti pubblici e il baricentro della burocrazia italiana non si fosse spostato dagli uffici centrali al territorio; è lì il luogo dove la burocrazia pubblica s’incontra coi cittadini: la grandissima maggioranza degli atti amministrativi e’ gestita da regioni, province e comuni. Residua al centro il tradizionale immobilismo dei ministeri (non tutti per la verità) e continua a colpire ancora quando si tratta di predisporre leggi scritte male e/o di ritardare per anni l’emanazione dei decreti applicativi conseguenti, inceppando così l’intera macchina pubblica. Tuttavia la cura amministrativa DIRETTA dei diritti ai cittadini non sta più là, ma negli uffici dei comuni, delle province e delle regioni: licenze edilizie, provvedimenti sulle farmacie, polizia urbana, gestione dei rifiuti e del sistema fognario, appalti per acquisti di beni e servizi, gestione di servizi assistenziali (spesso affidati a cooperative private), trasporto scolastico, gestione della viabilità urbana e delle strade, licenze agli esercizi commerciali, gestione dei porti, reclutamento al lavoro, formazione.
Gli scandali di cui quotidianamente abbiamo notizia attengono a fatti di mala gestione amministrativa che per legge non spetterebbe ai vertici politici degli enti pubblici, ma che viene estorta ai detentori naturali, i dirigenti pubblici, sfruttando una legislazione che la stessa politica nazionale mantiene in uno stato di voluta indeterminatezza. Nel Paese della commedia dell’arte sono colpiti da provvedimenti giudiziari e messi alla pubblica gogna ora questo ora quel politico, in un balletto continuo legato alle lotte per la supremazia politica continuamente in corso. Ciò fa la gioia dei media, ma distorce completamente la visuale dalle falle regolatorie dei tre terreni di cultura dai quali germogliano impuniti i comportamenti scorretti di molti amministratori. Essi sono:
- la totale assenza di qualunque controllo/audit esterno – non “interno” perché i controlli interni, da soli, sono ridicoli – sui comportamenti e gli atti posti in essere dagli amministratori. In questo ambito, l’annosa querelle sui controlli preventivi degli atti, che fu condotta per decenni e si tradusse infine nell’espunzione dagli articoli 125 e 130 della Carta Costituzionale di qualunque forma di controllo sull’operato delle regioni e degli enti locali (vedi qui), produsse un vergognoso “tana libera tutti”. Quanto lontana la legislazione, per esempio, inglese che ha istituito la Public Sector Fraud Authorithy, cui è demandato il compito di “sviluppare la capacità di individuare, prevenire e rispondere a frodi ed errori, sia a livello organizzativo che individuale”. Non è che dalle altre parti del mondo manchino le persone male intenzionate! Tuttavia ovunque nelle altre democrazie esistono forme di prevenzione e di contrasto attive contro i comportamenti fraudolenti possibili negli uffici pubblici. In Italia no;
- la totale assenza di qualunque forma di valutazione ESTERNA – anche qui, NON interna come i ridicoli organismi indipendenti di valutazione – che sia in grado di misurare i risultati complessivi e i costi relativi che gli uffici pubblici ottengono nello svolgimento delle loro missioni istituzionali;
- la possibilità per i vertici politici degli enti territoriali, in dispregio dell’articolo 97 della Costituzione, di prescegliere ben il 50% dei dirigenti da collocare nei settori sensibili a rischio corruzione, NON attingendo dai ruoli dei dirigenti di carriera assunti con concorso, ma reclutando amici e sodali con contratti di lavoro a tempo determinato. Questa prassi sarà forse vigente in alcuni paesi africani, ma non certo negli Stati Uniti dove vengono reclutati dall’esterno fuori concorso SOLO i dirigenti da adibire a compiti di programmazione delle attività. E’ evidente che la legislazione italiana consente ai politici al vertice degli enti di disporre a proprio piacimento di funzioni gestionali che non competono loro, attraverso l’utilizzo surrettizio di personale “fiduciario” (sic).
E’ molto più “attraente” descrivere le vicende di questo o quel politico caduto in disgrazia, piuttosto che por mano a regole di buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Così, proprio così, si alimenta ad arte un atteggiamento di diffidenza, di sfiducia e di rancore verso la burocrazia pubblica, che prevale fortemente nei cittadini e nelle imprese che quotidianamente si approcciano agli uffici pubblici.
Giuseppe Beato