Su questo sito siamo soliti raccogliere materiali storici che diano al lettore senso e misura di come i ceti dirigenti italiani abbiano affrontato nei tempi il tema della burocrazia del nostro Paese. Qui riproponiamo un celebre discorso tenuto alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia da Filippo Turati circa 101 anni fa, il 26 giugno 1920,
nel pieno ribollire delle rivolte sociali e dei drammatici problemi del primo dopoguerra nazionale. Turati, insieme ad Anna Kuliscioff fra i fondatori e i massimi dirigenti del Partito Socialista Italiano, ne fu espulso il 3 ottobre 1922 perchè “riformista”, per poi fondare il Partito Socialista Unitario con segretario Giacomo Matteotti.
La “proposta Turati” su come “Rifare l’Italia”, in occasione dell’insediamento dell’ultimo Governo Giolitti, ha un’ampiezza che travalica di molto l’analisi della pubblica amministrazione dell’epoca.
Colpisce, in particolare modo la descrizione di un’Italia industriale allora arretratissima, con quasi nulle risorse industriali siderurgiche, elettriche, chimiche e totalmente a ricasco dei ricatti economici delle più ricche economie d’Oltralpe. (Abbiamo evidenziato in giallo i punti che ci apparivano più significativi di questa descrizione). Dà una sensazione di forte stupore e sollievo confrontare quell’Italia con quella attuale: non era affatto scontato che si producessero i progressi clamorosi osservabili in controluce dalla lettura di quella situazione di partenza.
Il discorso di Turati si articola nel quadro di una posizione politica riformista, sintetizzabile con le sue stesse parole. “....si parla, non da noi soltanto, di periodo rivoluzionario, di crisi di regime: di regime politico, di regime sociale” (pag. 2432); il governo Giolitti è “l’ultima carta su cui la borghesia italiana possa ancora puntare” (ivi); “… la borghesia, in questo momento, non è più capace di reggere il potere; il proletariato non è ancora pronto a riceverne la successione” (ivi); ” bisognerà pure, a dispetto di tutti i preconcetti, che qualcuno o qualche cosa, assuma la gestione sociale: qualcuno che non può più essere la borghesia quale fu, che non può ancora essere il proletariato quale sarà, che deve essere qualche cosa di mezzo fra proletariato e borghesia“ (pag. 2433). Una politica “socialdemocratica” , detto in termini linguistici posteriori.
Nel disegno generale di riforme per l’Italia (descritto dalla pagina 2445 degli Atti parlamentari fino alla pagina 2458) quale ruolo intravedeva Turati per lo Stato? Eccolo! “…. è indispensabile l’intervento dello Stato. La sola industria privata, che ignora il mercato del domani, è impossibile che vi sopperisca. Solo lo Stato può affrontare i brevi rischi di qualche anno, per la ricostituzione nazionale..….Il coordinamento è essenziale…presuppone un vero piano regolatore di Stato, sarà il nostro programma di domani se per forza dovessimo accollarci la gestione dello Stato…Il coordinamento, per altro, dovrà essere decentrato ragionevolmente”(pag. 2456). Sembra di leggere alcune delle precondizioni che vengono ritenute indispensabili oggi, anno 2021, per l’utilizzo del Recovery Fund.
Parimenti illuminante (e deprimente) é l’illustrazione che fa Turati delle condizioni in cui versava la burocrazia italiana dell’epoca dalla pagina 2438 all pagina 2442. Pare di leggere il testo di un libro di Boeri e Rizzo! “Da tutti i competenti, anche da quelli che sono stati al governo, sento dirmi che questi organi, per gli accertamenti fiscali e per tutto il resto, mancano in Italia e, dove sono, molto spesso sono corrotti….La moralità delle Amministrazioni é scaduta in modo fenomenale“; “L’Italia, nazione povera, si permette, o si permetteva fino a ieri, il lusso di tre Aeronautiche, fra loro indipendenti, una militare, una civile, ed una marinara!”; ” si sperperano decine di milioni“, “l’amministrazione delle poste, per esempio, si sanno cose addirittura inverosimili“; “con la sfacciataggine che deriva dalla consuetudine del reato, per la richiesta di certi lavori, si offriva alla corruzione, ricattando per parecchie centinaia di migliaia di lire il sollecitatore. Il sollecitatore era un ricchissimo, che avrebbe fratto profitto di milioni subendo il ricatto, ma, da uomo onesto, preferì denunciare il funzionario al ministro. Il ministro chiamò il funzionario, e gli sottopose l’alternativa (e forse fece male): o firmare un atto di dimissioni, oppure denuncia al procuratore del Re. Il funzionario, allibito, accettò di firmare. Ma poi, ricorse al Consiglio di Stato, sostenendo che la sua dimissione era stata coatta, quindi nulla, e ottenne la riammis sione nel posto, e spinse la disinvoltura fino a sporgere querela contro il denunciatore. La querela è ancora pendente e, almeno moralmente, coinvolge evidentemente anche il ministro, il quale, ripeto, può avere mutato il portafoglio, ma è ancora oggi al Governo“. .”….Il Mezzogiorno è il gran vivaio, e quasi il solo vivaio, di tutta la burocrazia italiana, di tutti i gradi, dal capodivisione oramai alla guardia carceraria. Da noi nell’Alta Italia, regione industriale si può dire che non vi non vi sia un solo alunno dei nostri Politecnici, delle nostre scuole superiori, ed anche delle medie, che aspiri ad un ufficio di Stato“.
Queste le osservazioni di Filippo Turati sullo stato della burocrazia dell’Italia del 1920. Dopo un secolo la burocrazia del nostro Paese risulta grandemente trasformata – sufficiente osservare il trasferimento di moltissime competenze prima ministeriali alle Autonomie territoriali. Tuttavia la narrazione che di essa viene trasferita alla pubblica opinione rimane in grande misura identica dopo un secolo. E’ come imbattersi in una foresta del pensiero inesorabilmente incantata. In troppi ne denunciano i mali, senza avere i talenti o la volontà d’intraprendere la strada di un cambiamento vero.
Giuseppe Beato
Filippo Turati – Rifare l’Italia – 26 giugno 1920