L’INPS, ente delle previdenza obbligatoria pubblica italiana, è un Istituto pubblico di dimensioni colossali: sedi sparse in tutto il territorio nazionale , con numero di dipendenti nell’ordine dei 30.000, bilancio gestito pari a circa 350 miliardi di euro (sia in entrata che in uscita). Pur costituendo un esempio unico di pubblica amministrazione in Europa, ciò nondimeno opera secondo logiche organizzative fortemente assimilabili a quelle in auge nella gran parte dei plessi amministrativi pubblici del Paese. Una delle patologie più gravi cui è esposta la sua organizzazione è costituita proprio dall’irrefrenabile tendenza al ripensamento continuo della stessa, che dà luogo a mutamenti di funzioni, programmi e responsabilità, al ritmo di una ogni due o tre anni (sempre in coincidenza col cambio dei vertici politico-amministrativi). In data odierna scatta l’ennesima rotazione delle responsabilità, voluta dal neo-presidente Pasquale Tridico, dei contorni politici della quale hanno parlato vari quotidiani (vedi La Repubblica -giro di poltrone e vedi Il fatto quotidiano la fretta). Negli ultimi dieci anni sono intervenute ben 5 deliberazioni generali di riorganizzazione degli uffici centrali e territoriali dell’Ente, con relativa mobilità di tutto il personale dirigenziale di prima e di seconda fascia. La vera motivazione di questa febbrile motilità è l’esigenza di spostare un piccolo nucleo di dirigenti “non di fiducia”, operazione per la quale l’ordinamento istaurato col decreto legislativo n. 165/2001 offre la grande scappatoia: assumere un atto di riorganizzazione generale. I guasti che da questo tipo di operazioni discendono sono ben illustrati dal comunicato della CIDA, organizzazione dei dirigenti e dei professionisti INPS che di seguito si allega.
La rotazione come pratica di trasformazione organizzativa